Mons. FellaySaint Nicolas du Chardonnet

Caro Superiore del Distretto, cari sacerdoti, carissimi fedeli,

Abbiamo appena ascoltato, nel Vangelo, la parabola della zizzania; misteriosa, proprio misteriosa questa realtà della zizzania. È Nostro Signore che ce la insegna. E che ci dice che il Regno di Dio – quand’Egli parla del Regno di Dio è innanzi tutto e prima di tutto la Chiesa – è paragonabile ad un campo, e il Padrone, il Padrone è Dio, ed Egli fa solo del bene, e pianta solo del buon grano. Così fa Dio con la sua grazia, la sua bontà. Questo mistero si può estendere al di là della sola Chiesa, al mondo intero.

Dio è anche il Signore di tutto questo mondo, ed ecco che tutt’a un tratto, in mezzo a questa azione benefica, benevola – noi sappiamo che Dio è il Signore di tutto – ecco che tutt’a un tratto compare la zizzania, l’erba cattiva, il male.
Stupore, stupore degli Angeli, stupore di questi operai del campo: «Ma, Signore, non avete piantato solo del buon grano?». Risponde il Padrone: «È il Nemico che ha fatto questo». Questa risposta, com’è formulata, potrebbe lasciar supporre che Dio non può farci niente. Comprendiamo bene, non è Dio che l’ha fatto… Certo, ma Egli rimane il Signore! Il mistero diventa ancora più grande. Dio lo permette. Egli avrebbe potuto impedire quest’erba cattiva. Egli la permette. Permette che il Nemico, il Demonio, pianti l’erba cattiva. Permette che noi stessi – perché ci ha fatti liberi – possiamo decadere, fare del male. Egli non lo vuole; vuole solo del buon grano.

Ma ecco, che nella storia, nella storia della Chiesa: il male, la sofferenza, la zizzania si diffondono nel mondo provocando scandalo per tante persone. Ma lo scandalo va ancora più in là. Ed ecco che gli Angeli, ministri di Dio, potenti, forti, che vogliono solo il bene, si offrono per estirpare l’erba cattiva, per strapparla… finirla, finirla con il male. E il Signore dice: «No, no, bisogna lasciarla, bisogna lasciare questa mala erba!».

Questo è tutto il mistero che riscontriamo nella Chiesa, che d’ora in avanti deve dirsi militante. Bisogna combattere, vi sarà una battaglia fuori e anche dentro…  fino alla fine. Tuttavia è proprio il Signore che ci dice, come avete sentito nell’epistola,  che prima di tutto è l’amore che sarà il segno stesso dell’autenticità della Chiesa, e l’amore è l’unione. San Paolo ci dice questa parola terribile, ma che corrisponde al senso della parabola della zizzania: «Oportet heraeses esse». Bisogna che vi siano delle divisioni. Ciò sembra contraddittorio. Allora Nostro Signore spiega ai Suoi Angeli che strapparla, strappare questa mala erba, farà più male che bene. Dunque bisogna lasciarla. Questo non vuole assolutamente dire che Dio tutt’a un tratto non sarebbe più il Signore di tutte le cose. Oh, no! E d’altronde Egli afferma questa sovranità, dicendo che al momento del raccolto si farà la distinzione. A quel punto, l’erba cattiva verrà bruciata, separata dal buon grano. Quelli che fanno il male, che pensano di farlo impunemente perché non vedono la punizione immediata, stiano attenti! Dio resta Dio. Verrà il giorno in cui Egli manifesterà la Sua Sovranità. Non ci si prende gioco di Dio. È la sacra Scrittura che ce lo dice.

Tuttavia vi è questo mistero di Dio che permette che quaggiù, a causa del peccato, a causa delle conseguenze del peccato, noi dobbiamo batterci. Questo mistero ci ha toccati un po’ più intimamente in questi ultimi mesi. Abbiamo visto fin nella nostra cara Fraternità: una confusione, una mala erba, una zizzania, un turbamento. Dio l’ha permesso, come lo permette nella Chiesa, come lo permette, si può dire, in ogni società. È il grande mistero di Dio.

Gesù, allo stesso modo, ha detto ai suoi apostoli:  “Se un ramo non porta frutto, il contadino lo taglia”. E continua dicendo, “ma anche quelli che portano frutto saranno tagliati… affinché portino dei frutti più abbondanti”.  (Gv 15,1-2) E’ un grande mistero quest’annuncio di sofferenze che, nel piano di Dio, sono necessarie, e che noi comprendiamo così male.

Ogni volta che facciamo del bene, ogni volta che facciamo uno sforzo verso il bene e che riusciamo in questo sforzo, automaticamente ci aspettiamo da Dio uno sguardo benevolo, una ricompensa, qualcosa che ci ripaghi. Quando Dio risponde con un colpo…, non si capisce più. E tuttavia non si tratta di un brutto scherzo, è un colpo, certo. Tagliare un ramo, è un’opera distruttrice, ma la si compier perché  l’albero porti più frutto… Che grande mistero!

Quali lezioni dobbiamo tirare dalle sofferenza interne e dalle contraddizioni romane?

Vorrei parlarvi, molto brevemente, degli ultimi mesi che hanno causato non poche sofferenze, per trarne qualche lezione e per poter meglio comprendere questi eventi. Parlo di questi tempi di turbamento; delle nostre relazioni con Roma, delle reazioni fra i nostri e di questa dolorosa conseguenza che è stata la perdita di uno dei nostri vescovi… che non è cosa da poco! Tengo qui a precisare e a confermare che non è stato il problema delle nostre relazioni con Roma ad essere la causa di ciò. Questa è stata l’occasione, la conclusione di un problema che durava da tanto, tanto tempo. Un problema di disciplina interna alla Fraternità che alla fine si è manifestato con una sorta di ribellione aperta contro l’autorità, diciamo, sotto un falso pretesto.

Cerco di spiegarvi un po’ meglio. Cos’è successo in tutti questi mesi? Dove si trova la causa di tutti questi trambusti? Penso che essa sia molteplice, ma alla base, c'è una contraddizione a Roma. Contraddizione che avevamo constatato, che avevamo già spiegata fin da almeno il 2009. Contraddizione che, direttamente per noi, si manifesta nelle decisioni, nelle dichiarazioni della stessa autorità, cioè della Santa Sede, ma che proviene da diverse persone della Santa Sede, persone diverse che sostengono cose opposte e persino contraddittorie. Ci sembra che questo si verifica perché a Roma, le persone che sono là hanno delle posizioni divergenti, anche in rapporto alla crisi, e poi in nei nostri confronti. D’altra parte, si vede proprio che a Roma vi è un frazionamento nell’esercizio dell’autorità. Da questo proviene una difficoltà che esiste già da diversi mesi, da diversi anni, di comprendere cosa voglia veramente il capo, cioè il Santo Padre, il Sommo Pontefice. In linea di principio, ciò che si chiama la Santa Sede, il Vaticano, è nelle sue mani. Non si fa distinzione tra la Santa Sede e il Papa. Quando diciamo Roma, parliamo di questo insieme, di questa autorità nella Chiesa. È così che dovrebbe essere. Ma nella realtà, abbiamo constatato più di una volta che sono presenti quelli che chiamiamo sabotaggi dell’autorità, in particolare quando le decisioni sono state prese a favore della Tradizione. Uno dei più manifesti è quello relativo alla Messa. Questa volta l’opposizione non è stata solo a Roma, ma un po’ dappertutto nelle diocesi. Questo sabotaggio proviene da vescovi che ostacolano, che impediscono ai sacerdoti e ai fedeli di accedere alla Messa di sempre.

In questo clima, abbiamo avuto delle discussioni, dei colloqui dottrinali che sono finiti in niente. In una constatazione di non-intesa. Nondimeno, dopo questi colloqui – cosa che per noi è stata causa di grande stupore, di sorpresa – la Santa Sede fa una proposta di soluzione canonica. Mentre da un lato – dal canale ufficiale della Congregazione della Fede e della Commissione Ecclesia Dei – ci vengono consegnati dei documenti da firmare o da discutere, contemporaneamente riceviamo da persone che lavorano negli stessi ambienti, negli stessi uffici Ecclesia Dei o tramite un cardinale, un messaggio che differisce dalla linea ufficiale, più o meno in questo senso: “Fra poco il Papa riconoscerà la Fraternità come ha fatto per le scomuniche, senza contropartita da parte della Fraternità”. La cosa evidentemente pone molti problemi in una situazione del genere, poiché questo messaggio non dice la stessa cosa che i testi ricevuti.

Queste stesse persone lo riconosceranno: “Questi testi che vi si propongono non corrispondono a quello che vuole il Papa”. Questo doppio messaggio continuerà per dei mesi. Ai messaggi ufficiali, in cui ci si chiede di accettare quello che nei colloqui non abbiamo accettato, la nostra risposta è no. Non possiamo. Ma nello stesso momento in cui riceviamo le risposte ufficiali, continuano messaggi di benevolenza, di cui è impossibile mettere in dubbio la loro origine: l'apice della gerarchia.

Vi ripeto alcune di queste frasi: “che la Fraternità sappia che risolvere i problemi della Fraternità è al cuore delle mie preoccupazioni”, oppure “è una priorità del mio pontificato”. Questo con l’intenzione di risolvere il problema. Quanto ai mezzi, altre frasi del genere: “Vi sono dei nemici a Roma che sabotano tutte le iniziative del Papa a favore di una restaurazione”; oppure: “Che Mons. Fellay non si inquieti, dopo questo riconoscimento egli potrà continuare ad attaccare tutti i punti come prima”. O ancora più fortemente: “Il Papa è al di sopra della Congregazione della Fede. Se la Congregazione della Fede prende una decisione contraria alla Fraternità, ebbene, il Papa interverrà per cassare tale decisione”.

Potevamo ignorare totalmente questa seconda linea? Bisognava necessariamente verificarla, verificare la sua autenticità, la sua veridicità. Ma era strettamente impossibile parlarne, farla conoscere, perché questo avrebbe reso le cose ancora più complicate.

Alla fine, si può dire a partire dal mese di maggio, le cose hanno incominciato a schiarirsi, e nel mese di giugno, si è giunti infine alla chiarezza. Perché? Perché sono riuscito ad unire, per così dire, questi due canali, scrivendo. Tramite lettera, scrivo al Papa dicendogli questo: “Visto che Lei conosce la nostra opposizione al Concilio e visto che nondimeno vuole riconoscerci, per un istante ne avevo dedotto che era disposto a mettere da parte o a rimandare a più tardi questi problemi del Concilio". Tra l’altro, questo vorrebbe dire degradare il Concilio, renderlo soggetto a opinioni, a discussioni – poiché si parlava di discussioni possibili, perfino legittime. Dunque, io ho pensato questo: “Visto che Lei fa questo gesto verso di noi, malgrado il problema, vuol dire che Lei stima più importante dichiarare cattolica la Fraternità piuttosto che mantenere ad ogni costo questo Concilio; ma poiché mi accorgo che, alla fine, Lei stesso sembra imporre il Concilio, devo dedurne che mi sono sbagliato. Allora, ci dica, per favore, cos’è che Lei vuole veramente”.

Ho ricevuto una risposta, una lettera, una risposta scritta, datata 30 giugno. Questa lettera del 30 giugno manifesta che è effettivamente lui, il Papa, che è intervenuto per obbligare ad accettare il Concilio, per reintrodurre nel testo tutto quello che io avevo tolto e che non potevamo firmare. Questo è stato rimesso. Egli continua dicendo che per arrivare ad un riconoscimento giuridico vi sono tre condizioni. Tre cose da accettare da parte della Fraternità.

Accettare che “il magistero è il giudice della Tradizione apostolica”, vale a dire che è il magistero che ci dice ciò che appartiene alla Tradizione. Questo è di fede. Evidentemente, nel contesto, il Papa l’ utilizza per obbligarci ad accettare le novità.

Soprattutto, ci ha chiesto di accettare che “il Concilio fa parte integrante di questa Tradizione”. Ciò significa che il Concilio sarebbe “la Tradizione”, sarebbe tradizionale. È da quarant’anni che affermiamo il contrario, non per nostro piacere, ma secondo questa affermazione consacrata, che si ritrova tante volte nella bocca del nostro venerato fondatore: “siamo obbligati a constatare”, sono i fatti che ci dimostrano che questo Concilio ha avuto la volontà, ferma di fare qualche cosa di nuovo.  Non si tratta di una novità qualunque, di una novità superficiale, ma di una novità profonda e logicamente in opposizione, in contraddizione con ciò che la Chiesa aveva insegnato e perfino condannato. Non è per nostro piacere che ci troviamo in questa battaglia da tanti e tanti anni, contro queste novità, queste riforme conciliari che demoliscono la Chiesa e la riducono in rovina. Ed ecco che ci si dice: la condizione da accettare è che “il Concilio fa parte integrante della Tradizione”.

Infine un’altra condizione che riguarda questa volta la Messa: dobbiamo accettare la validità della nuova Messa, ma non soltanto la validità. Si dovrà accettarne anche la liceità. Si parla di validità quando si tratta della cosa in sé. Quando si dice che una Messa è celebrata validamente significa che il Signore è presente. Non si parla allora delle circostanze nelle quali essa è celebrata. Anche una Messa nera può essere valida. È terribile, è un sacrilegio terribile, ma è così, purtroppo vi sono dei preti che consacrano in quella che si chiama una Messa nera. Ebbene, essa è valida. Prendendo quest’esempio scioccante, si capisce  bene che questo non è permesso, non è lecito perché è cattivo. Ebbene, lecito vuol dire permesso perché è buono. Noi abbiamo constatato le devastazioni di questa nuova Messa, abbiamo constatato com’è stata fatta, a quale scopo è stata fatta: per l’ecumenismo. Ne vediamo i risultati: la perdita della fede, le chiese svuotate; e diciamo: essa è cattiva. È questo che ho risposto a Roma. Di solito non parliamo neanche di liceità, diciamo semplicemente che essa è cattiva. Questo basta.

La situazione è bloccata ma noi continuiamo la battaglia

Ecco, miei cari fratelli, la situazione. Ed ecco perché è evidente che dal mese di giugno – l’abbiamo annunciato alle ordinazioni – le cose sono bloccate. È un ritorno al punto di partenza. Noi ci troviamo esattamente allo stesso punto di Mons. Lefebvre negli anni 1975, 1974. Dunque la nostra battaglia continua. Non abbandoniamo l’idea di riguadagnare un giorno la Chiesa, di riconquistare la Chiesa alla Tradizione. La Tradizione è il suo tesoro, il tesoro della Chiesa. Ebbene, noi continuiamo, in attesa del giorno felice… Esso verrà ma non sappiamo quando. Lo vedremo. Esso sta nel segreto di Dio. Verrà questo giorno in cui la zizzania sarà estirpata, questo male che fa soffrire la Chiesa. Quella che noi viviamo è probabilmente la crisi più spaventosa che la Chiesa abbia mai sofferto. Dove si vedono i vescovi, i cardinali, che non conducono più le anime al Cielo, ma che benedicono le vie dell’Inferno. Che non avvertono più le anime dei pericoli che esse corrono qui sulla terra. Che non le richiamano più allo scopo della loro esistenza… Questo scopo è Dio, è l’andare in Paradiso. Non vi sono mille vie per andarci, ma solo la via della penitenza, il cammino della rinuncia. Non tutto è permesso. Vi sono i Comandamenti di Dio. Se non li si vuole rispettare, ci si prepara per l’Inferno. Quante volte ascoltiamo queste parole dalla bocca di un vescovo? Quanti vescovi probabilmente non le avranno mai pronunciate? Conosciamo dei seminaristi, moderni, che sono arrivati alla fine del loro seminario e che ci hanno detto: “Non abbiamo mai sentite queste parole in seminario!” Eppure, è la conseguenza diretta del peccato.

La nostra vita sulla terra è una prova. Dobbiamo dimostrare a Dio che Lo scegliamo, e che dunque rinunciamo ai nostri amori, all’amore per le cose della terra, per preferire Lui. Non bisogna scoraggiarsi al cospetto della zizzania. Questa può essere una reazione di fronte al male che è dappertutto, che invade tutto e sempre di più. Potrebbe essere una reazione, ma una reazione troppo umana. Nella Colletta di oggi, la Chiesa ci dice che essa si appoggia solo alla grazia, per tutto ciò di cui abbiamo bisogno, per tutta la nostra battaglia. Volersi appoggiare sulle proprie forze può facilmente condurre allo scoraggiamento. La nostra forza, lo diciamo tutti i giorni:  Adiutorium nostrum in nomine Domini, il nostro aiuto e dunque la nostra forza è nel nome del Signore. È solo su Dio che bisogna contare. Sappiamo bene che se Dio permette le prove mai Egli permette una qualche prova senza darci la grazia proporzionata per trionfare. Queste parole bisogna prenderle come sono, e per vere. Tutto coopera al bene di coloro che amano Dio. Tutto; e sicuramente innanzi tutto le prove.

Dunque, se abbiamo delle prove, non lasciamoci scoraggiare. Raddoppiamo le nostre preghiere. Volgiamo lo sguardo verso Dio. Facciamo qualche sforzo, qualche sacrificio, e contiamo sulla Sua grazia. La Chiesa ci ha sempre detto che vi è uno sguardo, un pensiero, che è la soluzione di ogni problema, e che ci darà la forza, il coraggio, qualunque sia il nostro stato. Si tratta dello sguardo che posiamo su Gesù crocifisso, sul Crocifisso, su Gesù che è sul punto di morire sulla Croce per noi, per amore nostro. Avrebbe potuto benissimo abbandonarci. Egli è Dio. Infinitamente al di sopra delle Sue creature che Lo hanno offeso, in maniera talmente ingrata. Ebbene, cos'ha fatto? Invece di lasciare le cose così, è venuto a riparare. Si è fatto uomo, in un annientamento indicibile. Nella Sua Passione, Egli prende i nostri peccati su di Sé, li porta, paga in nostra vece. Egli prende su di Sé il castigo che meritiamo noi per i nostri peccati. Questo è l’amore di Gesù per noi, e noi avremmo un dubbio sul fatto che Egli voglia soccorrerci, che voglia aiutarci? Stiamo attenti. Reagiamo con fede.

Anche se si è nascosto, se raddoppia la prova, non fa niente, Egli è il Signore assoluto di tutte le cose. E' capace di salvarci nella situazione della Chiesa attuale, come nel migliore dei tempi. Questo mistero và così lontano, miei carissimi fratelli, che il potere, la potenza di santità, di santificazione, risiede ancora oggi, in questa Chiesa che noi vediamo a terra. Se abbiamo la fede, è in questa Chiesa; se i riceviamo la grazia dal battesimo fino all’ultimo sacramento, è in questa Chiesa e per questa Chiesa. Chiesa che non è un’idea, ma una realtà di fronte a noi, che si chiama Chiesa cattolica e romana; la Chiesa con il Papa, con i vescovi, che possono essere debilitati. Ma malgrado ciò, Dio non abbandona la Sua Chiesa. Spetta a noi non lasciarci turbare, non dire che… siccome c’è assistenza divina, tutto è buono! Certamente no. Vedete, questo è il problema che abbiamo con Roma nelle nostre discussioni. Noi diciamo loro: “C’è un problema e questo problema viene chiaramente dal Concilio e dai suoi derivati”. E ci si risponde: “ E’ impossibile. No, non ci sono problemi. Non possono esserci dei problemi perché la Chiesa gode dell’assistenza dello Spirito Santo. Dunque non può fare nulla di cattivo. Non è possibile. Dunque il Concilio dev’essere necessariamente buono. Quello che voi dite, non vale. Vi è qualche abuso, qui o là, ma questo non conta. La nuova Messa è stata fatta dalla Chiesa. La Chiesa è assistita. Non avete il diritto di dire che la nuova Messa è cattiva, essa è necessariamente buona”.

Ecco ciò a cui siamo confrontati e così rispondiamo: “Noi accettiamo la fede fino al più piccolo iota, la fede nella Chiesa, nelle sue prerogative, e nell’assistenza dello Spirito Santo. Tuttavia, è parimenti vero che accettiamo la realtà. Non possiamo negare la realtà. Sappiamo bene che tra le due cose non v’è contraddizione. Un giorno ci sarà sicuramente una spiegazione, anche se oggi non c'è".

Questo è il mistero della Croce; quando Gesù è sulla Croce, la fede ci obbliga a professare che Egli è Dio, che è Onnipotente, che è Eterno, immortale. Egli non può morire, non può soffrire. Dio è infinitamente perfetto, è impossibile che Dio soffra. E Gesù, sulla Croce, è Dio. Tutto questo ce lo dice la fede e siamo obbligati ad accettarlo, totalmente. Senza alcuna diminuzione. Ma al tempo stesso, l’esperienza umana ci dice che questo Gesù soffre, e anche muore. Ai piedi della Croce, sono nel vero unicamente coloro che mantengono le due cose, anche se sembrano contraddittorie. Si può dire che questo problema si intravede attraverso tutta la storia della Chiesa: la grande maggioranza si arresta a ciò che dice la conoscenza umana, e conclude: “Quindi non è Dio. Egli è veramente morto. È morto e sotterrato. Tutto è finito”. Questo sostiene la gran parte dei nemici della Chiesa, degli atei, degli eretici e dei modernisti che si nascondono nella Chiesa. Fanno credere di aver la fede e invece non ce l’hanno. Si distinguerà abilmente un Cristo della storia, il Cristo reale che dicono che è morto e non è mai risuscitato, dal cosiddetto Cristo della fede, quello a cui la Chiesa ci obbligherebbe a credere, e per il quale si sarebbe inventata una risurrezione. Questo è assolutamente falso. Non è reale. Egli è veramente risuscitato. Immaginatevi che altri eretici, al contrario, hanno insistito per dire: “Ma sì Egli è Dio. Dunque questa morte, queste sofferenze, sono solo delle apparenze. Egli non è veramente morto”. Esiste anche questo errore, benché meno diffuso.

Oggi, riguardo alla Chiesa, si presenta lo stesso problema. Se si vuole rimanere nella verità, bisogna conservare questi due dati, i dati della fede e anche i dati della constatazione della ragione. Questo Concilio ha voluto mettersi in armonia col mondo. Esso ha fatto rientrare il mondo nella Chiesa e oggi abbiamo il disastro. Tutte le riforme che sono state fatte a partire dal Concilio, sono state fatte dalle autorità per questo.

Oggi ci si parla di continuità, ma dov’è? Ad Assisi? Nel bacio del Corano? Nella soppressione degli Stati cattolici? Dov’è questa continuità? Quindi, molto semplicemente noi continuiamo, miei carissimi fratelli, continuiamo senza cambiare niente, fino a quando Dio vorrà..! Certo, questo non vuol dire che bisogna restare inattivi, tutti i giorni abbiamo il dovere di conquistare le anime. Sappiamo bene che la soluzione verrà da Dio e, si può anche dirlo, tramite la Santa Vergine. Lo si può dire, è un’evidenza dei nostri tempi, significata da queste apparizioni, belle, magnifiche: la Madonna di La Salette, la Madonna di Fatima, che annunciano quest’epoca, dolorosa, terribile. Roma diventerà la sede dell’Anticristo, Roma perderà la fede… è questo che è stato detto a La Salette. La Chiesa sarà eclissata. Non sono parole da poco. Si ha veramente l’impressione che è oggi che si vede tutto questo.

Non bisogna perdere la testa. È terrificante, certo, ma allora bisogna ancor più rifugiarsi presso la Santa Vergine, presso il Suo Cuore Immacolato. È questo il messaggio di Fatima: Dio vuole dare al mondo la devozione al Cuore Immacolato di Maria. Non è per cose da poco! Chiediamo in tutte le nostre preghiere, in ogni Messa, la grazia della fedeltà, di non cedere in niente, costi quel che costi. Che Dio ci protegga e ci guidi, fino in Paradiso.

Così sia.

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Amen.

Fonte: DICI

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