Il 2 aprile 2005, al termine di uno dei più lungi pontificati della storia, moriva Karol Wojtyla, eletto papa il 16 ottobre 1978 col nome di Giovanni Paolo II. Questo pontificato di una durata eccezionale – più di un quarto di secolo – si rivela anche di una rara densità. Giovanni Paolo II ha pronunciato migliaia di discorsi, ha pubblicato 14 encicliche e centinaia di altri documenti pontifici, ha visitato 130 nazioni nel mondo, concesso quasi 3000 udienze pubbliche o private nel corso delle quali ha ricevuto quasi 20 milioni di persone, ha accolto i vescovi del mondo intero in 10.000 incontri, accordato più di 1000 interviste a personalità politiche o diplomatiche, ecc.

Questa enumerazione, che sarebbe facile proseguire, manifesta la difficoltà che si ha nel pronunciare un giudizio sereno e circostanziato su Karol Wojtyla, anche limitandosi al periodo del pontificato. Come valutare il suo giusto valore quando numerosi suoi atti e decisioni non hanno ancora dispiegato le loro conseguenze nella storia? Quando numerosi archivi non sono ancora accessibili ai ricercatori, sia pure ecclesiastici? Per esempio, la sua vita da sacerdote e poi di vescovo non verrebbe illuminata dalla consultazione degli archivi segreti della Polonia del dopo guerra? Ma questi sono accessibili solo dalla primavera del 2007 e cioè dal momento in cui si è concluso il processo diocesano, il solo abilitato a raccogliere le testimonianze che sarebbero servite poi all’istruzione del processo romano. Questo solo esempio fa capire come un bilancio effettuato oggi lascerebbe necessariamente in ombra molti lati di questa esistenza. Non è dunque senza motivo che la saggezza della Chiesa aveva imposto il rispetto di un certo lasso di tempo (cinquant’anni, secondo il Canone 2101 del Codice di Diritto Canonico del 1917) tra la morte di una persona e l’inizio della discussione sull’eroicità delle sue virtù, cosa che permetteva il distacco storico necessario.

Eppure, un mese dopo la morte di Giovanni Paolo II, il Papa Benedetto XVI autorizzava l’apertura del processo di beatificazione del suo predecessore. Meno di due anni furono giudicati sufficienti per chiudere il processo diocesano e altri due per elevare Karol Wojtyla al rango di “venerabile”: e infatti, il 19 dicembre 2009 Benedetto XVI firmò il decreto che riconosceva l’eroicità delle virtù di Karol Wojtyla, aprendo la via per la beatificazione, fissata al 1 maggio 2011.

La fretta che caratterizza questa beatificazione non è deplorevole solo in relazione al giudizio che potrebbe esprimere la storia su questo pontificato, ma soprattutto per la conseguenza di lasciare permanere i gravi interrogativi posti alla coscienza cattolica, e proprio in relazione alle virtù che definiscono la vita cristiana e cioè le virtù soprannaturali e teologali di fede, speranza e carità. Nei confronti del primo Comandamento di Dio, per esempio, come valutare i gesti di un papa che, per le sue dichiarazioni e il suo bacio, sembra abbia elevato il Corano al rango di Parola di Dio? Che implora San Giovanni Battista per la protezione dell’Islam? Che si felicita per aver partecipato attivamente ai culti animisti nelle foreste sacre del Togo? Solo qualche decennio fa, a norma dello stesso diritto ecclesiastico, tali gesti sarebbero stati sufficienti a sollevare il sospetto di eresia sulla persona che li avesse attuati. Sarebbero invece divenuti oggi, come per incanto, il segno di una virtù di fede praticata ad un grado eroico?

Il pontificato di Giovanni Paolo II e le innumerevoli innovazioni che l’hanno contrassegnato – dalla riunione interreligiosa di Assisi alle molteplici richieste di perdono, passando per la prima visita di un papa ad una sinagoga – pongono dei gravi interrogativi alla coscienza cattolica, interrogativi che si accentuano quando, con la beatificazione, tali pratiche finiranno con l’essere proposte come un esempio al popolo cristiano.

Seguendo Mons. Lefebvre, i cui giudizi su Papa Giovanni Paolo II sono pubblici, la Fraternità San Pio X ha ritenuto di non potersi sottrarre a tali interrogativi, ho quindi chiesto a suo tempo a don Patrick de La Rocque di redigere un documento che sarebbe stato inviato alle autorità ecclesiastiche in capo al processo diocesano: poiché è a questa istanza che in effetti spettava raccogliere tutte le testimonianze favorevoli e sfavorevoli relative alla reputazione di santità di Giovanni Paolo II.

Questo documento, che costituisce il corpo del presente libro, venne inviato, secondo le norme del diritto, ai diversi responsabili del processo diocesano, affinché fosse inserito tra i documenti del dossier ed esaminato con la stessa cura degli altri. Pervenuto in tempo agli uffici competenti, il nostro plico fu misteriosamente messo da parte, per essere aperto solo all’indomani della chiusura del processo diocesano, e cioè troppo tardi per poter essere preso in considerazione. È così che non figura tra le dozzine di migliaia di pagine sulle testimonianze rimesse solennemente alla Congregazione per le Cause dei Santi. Portati a conoscenza dei tribunali romani per altre vie, sfortunatamente i nostri interrogativi non hanno ricevuto alcuna risposta, al contrario: il 19 dicembre del 2009 la Santa Sede ha dichiarato l’eroicità delle virtù del defunto Papa.

Dovevamo dunque tacere? Forti della raccomandazione dell’Apostolo - «insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna» (2 Tim, 4, 2) – decidemmo di consegnare questo manoscritto ai nostri interlocutori romani, nel quadro degli scambi dottrinali tra la Fraternità San Pio X e la Santa Sede, dichiarando per di più la nostra intenzione di pubblicarlo. Che sia stata colpa del calendario o no, alcuni giorni dopo il mondo apprendeva dell’arresto provvisorio del processo di beatificazione, per mancanza di prove sufficienti che attestassero il «miracolo» che sarebbe stato ottenuto per intercessione di Giovanni Paolo II. Tuttavia, questo stesso «miracolo» venne finalmente riconosciuto alcuni mesi dopo e la cerimonia di beatificazione venne fissata per il 1 maggio 2011.

Queste pagine dunque riacquistano tutta la loro attualità. Così ne ho chiesta la pubblicazione. L’autore, nel corso del suo esame, avrebbe potuto addentrarsi nei numerosi fatti sorprendenti, sconcertanti e perfino scandalosi che hanno cosparso questo pontificato. Era degno e opportuno, per un papa cattolico, ricevere le sacre ceneri di Shiva? Andare a pregare alla maniera giudaica al Muro del Pianto? Fare leggere l’Epistola in sua presenza ad una donna a seno nudo? Tanti e tanti fatti avrebbero potuto essere elencati qui, fatti che gettano quanto meno un’ombra su questo pontificato e generano turbamento in ogni anima veramente cattolica. Queste pagine invece non si fermano ad una dimensione semplicemente fattuale, ma ci conducono fino al cuore del problema, esponendo ciò che costituisce il punto essenziale e l’asse di questo pontificato: «l’umanesimo» di Giovanni Paolo II, i suoi presupposti confessati e le sue conseguenze ineluttabili, «umanesimo» la cui illustrazione più notevole fu la riunione interreligiosa di Assisi del 1986. E nonostante Don La Roque ci presenta in tre capitoli distinti alcune delle ragioni principali che sono d’ostacolo alla beatificazione di Giovanni Paolo II, la sua analisi presenta l’unità fondamentale di pensiero e d’azione di Karol Wojtyla, e bisogna riconoscere che è molto difficile stabilire la compatibilità di essa con la Tradizione cattolica.

Nel momento in cui la Sede Apostolica si appresta a rinnovare il gesto scandaloso attuato da Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986, le pagine che seguono ritornano d’attualità. Ed esse, pur portatrici di gravi interrogativi, possano nondimeno illuminare le anime di buona volontà e far brillare agli occhi di molti la fede cattolica in tutto il suo splendore, la sua forza e la sua dolcezza.

Menzingen, 25 marzo 2011 nella festa dell’Annunciazione della Santissima Vergine Maria, 20° anniversario della chiamata a Dio di Mons. Marcel Lefebvre

 + Bernard Fellay Superiore Generale della Fraternità San Pio X.

Pubblicata su DICI n° 234 del 7 maggio 2011

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