PAPA FRANCESCO E L’ISLAM: DAL CONCILIO ALLA RELIGIONE MONDIALE

di don Mauro Tranquillo

Ha fatto molto scalpore il Documento sulla Fratellanza umana per la Pace mondiale e la convivenza comune firmato da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar il 4 febbraio scorso, in seguito alla visita del Papa negli Emirati Arabi. Questa dichiarazione è stata firmata da Papa Francesco «a nome della Chiesa cattolica»: è dunque indispensabile per noi cattolici prendere posizione apertamente contro un testo che di cattolico non ha nulla, per non essere coinvolti in una falsa professione di fede fatta anche “a nostro nome”.

 

Per quanto firmata dal Papa infatti tale dichiarazione non è un atto magisteriale, e anzi contraddice i dettami stessi del Magistero perenne e della Religione: ecco perché vi possiamo distinguere degli errori e prendere posizione contro.

Il titolo stesso del documento è chiaramente un richiamo a terminologie di stampo massonico: la fratellanza è un tipico concetto delle logge, sostitutivo della carità e della comunione dei Santi (che implicano la Fede cattolica autentica, unica causa di vera unità tra gli uomini); quanto alla “pace mondiale”, feticcio di tutti gli ecumenisti dai tempi del raduno di Assisi 1986, è un mito massonico che giustifica la distruzione di ogni elemento divisivo tra gli uomini, particolarmente del cattolicesimo autentico, e che richiama il titolo e le idee del famoso opuscolo di Kant Per la pace perpetua (1795).

 

Una "fede" che fede non è

Nella Prefazione si fa menzione di una “fede” in Dio che porterebbe alla fratellanza umana. Vedremo come questa fede non possa essere quella cattolica, ma probabilmente nemmeno quella islamica. In effetti non è una “fede” che possa essere intesa in senso classico, come adesione a una rivelazione esteriore: anzi questa rivelazione è del tutto indifferente, visto che vale tanto per il cristiano (per il quale Dio ha rivelato di essere trino e incarnato) quanto per il musulmano (per il quale Dio ha rivelato di NON essere trino né incarnato). Non è nemmeno il Dio conosciuto dalla semplice ragione, senza ulteriori determinazioni, come vogliono credere alcuni: primo perché si parla di un “Dio” che si rivela alle due religioni, secondo perché si parla di una «grande grazia divina che rende tutti gli esseri umani fratelli», terzo perché vi è almeno una citazione da uno dei libri sacri delle due religioni, ovviamente il Corano. La citazione del versetto 32 della sura 5, fatta propria anche dal Papa come parola di Dio, reciterebbe: «chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera». Transeamus sul fatto che tale citazione sia monca e che il Corano esprima in realtà un concetto diverso[1]: fatto sta che ci si riferisce a una sorta di “rivelazione” comune, come afferma anche il passaggio che definisce cattolici e musulmani come «Noi – credenti in Dio, nell’incontro finale con Lui e nel Suo Giudizio».

 

Il "Dio" dei modernisti

Quale è dunque questo Dio, in nome del quale si fa la dichiarazione? I lettori dell’enciclica Pascendi lo hanno capito da più di cento anni: semplicemente è il “Dio” dei modernisti, il Dio panteistico che vive e parla dentro il sentimento religioso dell’uomo. Un Dio di cui tutte le religioni sono legittime espressioni, perché esternazioni umane e storiche di un’esperienza interiore dell’uomo, non di una rivelazione esterna. I dogmi contradditori delle varie fedi non devono spaventare, se li si capisce come espressioni poetiche che le culture umane hanno elaborato per parlare del divino che è nell’uomo. Certo se si volesse farli corrispondere a verità esistenti all’esterno dell’uomo, allora le religioni diventerebbero pericolosamente contradditorie, come nel Medioevo, e necessariamente violente e fomite di scontro: ma per fortuna non è così, ci dicono il Papa e il Grande Imam. Se vengono capite al modo dei modernisti (ovvero se svuotate di ogni significato reale), le religioni saranno fonte di fratellanza umana. Il vero senso religioso, dice il documento, la vera fede, può portare solo a giustizia e misericordia. Anzi, i «valori religiosi», sempre intesi nel senso vago, sono il rimedio «a una coscienza umana anestetizzata» e al predominio del materialismo: il mondo moderno non deve relegare le religioni tra le subculture, ma tra gli elementi capaci di dare un valido contributo alla società. Riappare chiaramente la funzione “sociale” e strumentale delle religioni (intese sempre nella loro versione modernistica), tanto cara anche a Ratzinger. È dunque importante il «risveglio del senso religioso[2] … delle nuove generazioni, tramite l’educazione sana e l’adesione ai valori morali e ai giusti insegnamenti religiosi (sic) per fronteggiare le tendenze individualistiche, egoistiche, conflittuali, il radicalismo e l’estremismo cieco in tutte le sue forme e manifestazioni». Ricordiamo sempre che siamo in una dichiarazione comune catto-islamica: quali sono i “giusti insegnamenti religiosi” se non quelli generici e purificati dal modernismo, senza più dogmi se come rivestimento poetico di un’educazione socialmente utile? I capi religiosi, accusati di dividere, si presentano alla politica mondiale come capaci di unire in nome di un senso religioso condivisibile proprio perché indeterminato. Talmente indeterminato da essere formulato con la seguente agghiacciante tautologia: «Il primo e più importante obiettivo delle religioni è quello di credere in Dio, di onorarLo e di chiamare tutti gli uomini a credere che questo universo dipende da un Dio che lo governa, è il Creatore che ci ha plasmati con la Sua Sapienza divina e ci ha concesso il dono della vita per custodirlo». Come si possa pensare di onorare Dio al di fuori della religione cattolica da Lui rivelata, solo un modernista può concepirlo.

 

Una vacua "religione"

Ecco dunque la professione nell’utilità e innocuità delle religioni (sempre al plurale): «Altresì dichiariamo – fermamente – che le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione che hanno abusato – in alcune fasi della storia – dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini per portali a compiere ciò che non ha nulla a che vedere con la verità della religione, per realizzare fini politici e economici mondani e miopi. Per questo noi chiediamo a tutti di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco e di smettere di usare il nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione. Lo chiediamo per la nostra fede comune in Dio». Qui l’affermazione grave, oltre a quella della fede comune in “Dio” e del “sentimento religioso” (vedi sopra), riguarda l’idea (estranea alla fede cattolica) che l’esercizio della forza in difesa della fede sia sempre e comunque illegittimo e abusivo. La Chiesa insegna e in certi casi legittimamente proclama la guerra giusta, e questo non è un semplice fatto storico ma una parte essenziale della sua dottrina. Negarla, come negare la liceità della pena di morte, è affermare un’eresia. Qui invece le religioni (sempre al plurale), rivedute e corrette secondo la necessità politica del tempo moderno, possono cambiare i loro contenuti, il Cristianesimo come l’Islam. Perciò (in modo furbescamente contraddittorio) per il Papa sarebbe stato solo opportunismo politico l’aver affermato, per il passato, che la guerra in nome di Dio potesse essere lecita; ma sarebbe vera e pura religione l’affermare, sotto spinta delle opportunità politiche attuali, che non c’è mai guerra lecita in nome della fede.

 

"Diversità" e "libertà religiosa"...

Altro punto gravissimo riguarda la riaffermazione del diritto personale alla libertà religiosa, già proclamata dal Concilio e già condannata da numerosi documenti pontifici. Si afferma in particolare, in modo blasfemo, che la diversità di religioni è frutto della «sapiente volontà divina» (così attribuendo a Dio l’errore e la falsità: ma per chi ha capito che si parla del Dio del modernismo, cioè del sentimento religioso dell’uomo, il problema non si pone). Da questa sapiente volontà divina che ha creato la diversità deriverebbe il diritto personale alla libertà di credo e di «essere diversi» (sic). Del resto lo stesso Ratzinger ci aveva spiegato che la libertà religiosa del Concilio andava intesa proprio così, proprio come un vero diritto personale e inalienabile: «Tra i diritti e le libertà fondamentali radicati nella dignità della persona, la libertà religiosa gode di uno statuto speciale (…) Essa è un bene essenziale: ogni persona deve poter esercitare liberamente il diritto di professare e di manifestare, individualmente o comunitariamente, la propria religione o la propria fede, sia in pubblico che in privato, nell’insegnamento, nelle pratiche, nelle pubblicazioni, nel culto e nell’osservanza dei riti. Non dovrebbe incontrare ostacoli se volesse, eventualmente, aderire ad un’altra religione o non professarne alcuna». Tale affermazione è la contraddizione letterale dell’insegnamento di Gregorio XVI e Pio IX.

 

In sintesi

In riassunto, il documento di Abu Dabhi pone due punti problematici:

Islam e Cristianesimo hanno in comune lo stesso Dio, quindi i dogmi sulla Divinità del Cristo o la Trinità sono irrilevanti, perché dello stesso Dio possono essere affermate o negate queste verità senza che questo ponga problemi. Questo è spiegabile avendo capito la teoria modernista su Dio e sulla fede come sentimento religioso, che può quindi legittimamente esternarsi in formule contraddittorie, proprio perché espressione di sentimento e non di realtà esteriori all’uomo.

Le religioni, opportunamente adattate alle necessità attuali del mondo, possono cooperare al bene comune (fratellanza) degli uomini, anzi sono un’importante fattore di quest’opera di costruzione del nuovo mondo di pace.

 

Una triste continuità nell'errare

Sono concetti nuovi, inediti, usciti dalla perfida mente di Papa Bergoglio? No. Li ritroviamo letteralmente espressi da Giovanni Paolo II in numerose occasioni. Qualche citazione:

Discorso del 29 novembre 1979 ai cattolici di Ankara (Turchia): «Oggi voi, cristiani residenti qui in Turchia, avete la sorte di vivere nel quadro di uno Stato moderno, che prevede per tutti la libera espressione della fede senza identificarsi con nessuna, e con persone che nella grande maggioranza, pur non condividendo la fede cristiana, si dichiarano “obbedienti a Dio”, “sottomessi a Dio”, anzi “servi di Dio”, secondo le loro stesse parole, che coincidono con quelle di San Pietro già citate (cf. 1Pt 2,16); essi, dunque, condividono con voi la fede di Abramo nel Dio unico, onnipotente e misericordioso. Voi sapete che il Concilio Vaticano II si è pronunciato apertamente su questo argomento, e io stesso nella mia prima enciclica Redemptor Hominis ho ricordato “la stima che il Concilio ha espresso verso i credenti dell’Islam, la cui fede si riferisce anche ad Abramo” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 11)». Non solo quindi lo stesso Dio, ma addirittura le definizioni coraniche del musulmano come “servo di Dio” corrisponderebbero a quelle del cristiano secondo san Pietro. E continua, con termini e concetti pressoché identici a quelli della dichiarazione di Abu Dabhi: «Miei fratelli, quando penso a questo patrimonio spirituale e al valore che esso ha per l’uomo e per la società, alla sua capacità di offrire soprattutto ai giovani un orientamento di vita, di colmare il vuoto lasciato dal materialismo, di dare un fondamento sicuro allo stesso ordinamento sociale e giuridico, mi domando se non sia urgente, proprio oggi in cui i cristiani e i musulmani sono entrati in un nuovo periodo della storia, riconoscere e sviluppare i vincoli spirituali che ci uniscono, al fine di “promuovere e difendere insieme, come ci invita il Concilio, i valori morali, la pace e la libertà” (Ivi). La fede in Dio, professata in comune dai discendenti di Abramo, cristiani, musulmani ed ebrei, quando è vissuta sinceramente e portata nella vita, è sicuro fondamento della dignità, della fratellanza e della libertà degli uomini e principio di retta condotta morale e di convivenza sociale. E vi è di più: in conseguenza di questa fede in Dio creatore e trascendente, l’uomo sta al vertice della creazione. È stato creato, si legge nella Bibbia, “a immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1,27); benché sia fatto di polvere, si legge nel Corano, libro sacro dei Musulmani, “Dio gli ha insufflato il suo spirito e l’ha dotato di udito, vista e di cuore”, cioè di intelligenza (Sura, 32,8)». Già allora, Bibbia e Corano sono citati alla pari.

Discorso del 19 maggio 1985 alla comunità musulmana di Bruxelles: «Cristiani e musulmani, ci incontriamo nella fede al Dio unico, nostro Creatore, nostra guida, nostro giudice giusto e misericordioso. Noi tutti ci sforziamo di mettere in pratica nella nostra vita quotidiana la volontà di Dio seguendo l’insegnamento dei nostri rispettivi libri santi. Noi crediamo che Dio trascende il nostro pensiero e il nostro universo e che la sua presenza d’amore ci accompagna ogni giorno. Nella preghiera ci mettiamo in presenza di Dio per adorarlo e rendergli grazie, per chiedere perdono delle nostre colpe e ottenere il suo aiuto e la sua benedizione». Il discorso continua sulla necessità di emulazione tra credenti nelle opere buone, perché tutta la società ne benefici.

Discorso del 19 agosto 1985 ai giovani musulmani nello stadio di Casablanca (Marocco): «Cristiani e musulmani, abbiamo molte cose in comune, come credenti e come uomini. Viviamo nello stesso mondo, solcato da numerosi segni di speranza, ma anche da molteplici segni di angoscia. Abramo è per noi uno stesso modello di fede in Dio, di sottomissione alla sua volontà e di fiducia nella sua bontà. Noi crediamo nello stesso Dio, l’unico Dio, il Dio vivente, il Dio che crea i mondi e porta le sue creature alla loro perfezione. È dunque verso Dio che si rivolge il mio pensiero e che si eleva il mio cuore: è di Dio stesso che desidero innanzitutto parlarvi; di Lui, perché è in Lui che noi crediamo, voi musulmani e noi cattolici, e parlarvi anche dei valori umani che hanno in Dio il loro fondamento, questi valori che riguardano lo sviluppo delle nostre persone, come pure quello delle nostre famiglie e delle nostre società, nonché quello della comunità internazionale» (…) «Credo che noi, cristiani e musulmani, dobbiamo riconoscere con gioia i valori religiosi che abbiamo in comune e renderne grazie a Dio. Gli uni e gli altri crediamo in un Dio, il Dio unico, che è pienezza di giustizia e pienezza di misericordia; noi crediamo all’importanza della preghiera, del digiuno e dell’elemosina, della penitenza e del perdono; noi crediamo che Dio ci sarà giudice misericordioso alla fine dei tempi e noi speriamo che dopo la risurrezione egli sarà soddisfatto di noi e noi sappiamo che saremo soddisfatti di lui». Non si può non notare la corrispondenza quasi letterale con i passaggi più controversi e problematici del documento di Abu Dabhi. I commenti sono superflui.

Parole del tutto simili furono pronunciate da Papa Wojtyla in Senegal il 22 febbraio 1992, a Cartagine in Tunisia il 14 aprile 1996, a Sarajevo il 13 aprile 1997…

 

Il fomite è nei documenti conciliari

La fonte di tutti questi discorsi, come ha chiaramente affermato Papa Francesco, sta nel Concilio Vaticano II, e precisamente nella sua lettera, non solo nel famigerato “spirito”. Papa Francesco può a pieno titolo rivendicare di non essersi mosso un millimetro dal Concilio (né, come abbiamo visto, da Giovanni Paolo II), perché il Concilio era già abbastanza “avanti”.

Riportiamo qui il passaggio di Nostra aetate n. 3, già citato da Giovanni Paolo II stesso:

«La Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano (“insieme con noi”, si legge in un altro testo del Concilio, la Costituzione Lumen Gentium [n. 16]) il Dio unico, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini; essi si sforzano di sottomettersi con tutto il cuore ai suoi decreti anche misteriosi, come si è sottomesso Abramo, al quale la fede islamica si riferisce volentieri. Venerano Gesù come profeta, pur non riconoscendolo Dio, onorano la sua Madre verginale, Maria, che talvolta invocano devotamente. E attendono il giorno del giudizio, quando Dio darà la ricompensa a tutti gli uomini risuscitati. E per questo tengono in onore la vita morale e si rivolgono a Dio moltissimo, con la preghiera, le elemosine e il digiuno».

Al n. 5 si ricorda che ogni forma di discriminazione tra gli uomini, anche su base religiosa, deve essere condannata, perché tutti gli uomini sono fratelli. Nel citato discorso di Casablanca, Giovanni Paolo II fa riferimento proprio a questo paragrafo conciliare per dire che la Chiesa «afferma che tutti gli uomini, specialmente gli uomini di fede viva, devono rispettarsi, superare ogni discriminazione, vivere insieme e servire la fraternità universale».

 

In conclusione

Appare chiaro quanto la dichiarazione di Abu Dabhi si allontani non solo e non tanto dalla fede cattolica, quanto dalla stessa concezione classica di “fede” e di “rivelazione” per assumere un senso palesemente modernistico e quindi gnostico, in cui Dio appare puro frutto di elaborazioni umane, considerando il contenuto contraddittorio delle religioni “rivelate” come totalmente irrilevante;

Appare come le religioni vengano presentate come puro servizio umano alla massonica “fratellanza” universale, come animazioni spirituale delle necessità di un mondo nuovo;

Abbiamo mostrato come la chiesa conciliare persegua esplicitamente tali ideali almeno dal 1965, e come da quella concezione non ci si sia spostati, per dirla con Papa Bergoglio, nemmeno di un millimetro.

 

 

 

 

 

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[1] Questo il testo completo: «Per questo abbiamo prescritto ai Figli di Israele che chiunque uccida un uomo che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l’umanità intera. E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato tutta l’umanità. I Nostri messaggeri sono venuti a loro con le prove! Eppure molti di loro commisero eccessi sulla terra. La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l’ignominia che li toccherà in questa vita; nell’altra vita avranno castigo immenso» (5, 32-33)

[2] Secondo la tipica terminologia modernista, il “senso religioso” insito nell’uomo è la fonte della fede, non la rivelazione di un Dio trascendente.

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