primo piano di mons. LefebvreItinerario Spirituale.

Seguendo San Tommaso d'Aquino nella sua Somma teologica.

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Capitolo VII - Principio fondamentale del combattimento spirituale - Le ferite della nostra anima dopo il Battesimo

L’acquisizione della santità necessaria alla salvezza delle nostre anime non è cosa semplice. Infatti, la nostra esperienza quotidiana e la dottrina della Chiesa ci inse­gnano che la grazia del battesimo, benché restituisca la grazia santificante con l’effusione dello Spirito Santo e ci liberi dal peccato originale e dalla presenza diabolica, non ci libera da tutte le conseguenze del peccato originale. Queste conseguenze spiegano perché la nostra vita spirituale si configuri come un combattimento spirituale che dura tutta la vita terrena.

Questo insegnamento è fondamentale e presiede anche a tutto il nostro apostolato. Noi restiamo dei malati e abbiamo bisogno del Medico delle nostre anime e dei soccorsi spirituali che Egli ha previsto.

Ecco l’insegnamento della Chiesa espresso da San Tommaso d’Aquino (Ia IIae q.85 a.3; R.P. Pègues op. cit. pag. 128): «La santità originale è stata perduta a causa del peccato del primo uomo. Per questo tutte le forze dell’anima restano, in una certa misura, destituite dal loro proprio fine, per il quale erano ordinate alla virtù; e questa destituzione si chiama ferita della natura (vulneratio naturae).

In quanto la ragione è destituita dal suo ordinamento al vero, si ha laferita dell’ ignoranza (vulnus ignorantiæ).

In quanto la volontà è destituita dal suo ordinamento al bene, si ha la ferita della malizia (vulnus malitiæ).

In quanto la forza è destituita dal suo ordinamento alle cose ardue, si ha la ferita dell’infermità (vulnus infirmitatis).

In quanto il desiderio è destituito dal suo ordinamento, a ciò che è dilettevole secondo ragione, si ha la ferita della concupiscenza (vulnus concupiscentiæ)".

Nella sua prima epistola, San Giovanni conferma questa verità: «Tutto ciò che è nel mondo è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi, orgoglio della vita» (1Gv. 2,16). Queste quattro ferite toccano le nostre quattro virtù cardinali e perciò provocano in noi un disordine continuo.

La più devastante sembra che sia proprio quella dell’ignoranza o cecità, cioè la misconoscenza di Dio e di Nostro Signore Gesù Cristo. Infatti è in questa conoscenza che risiede la vita eterna: «Poiché la vita eterna è che essi conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che Tu hai mandato, Gesù Cristo» [Gv. 18,3). Come, infatti, rendere a Dio l’amore e il culto che Gli sono dovuti, se noi restiamo nella cecità a Suo riguardo? I seminaristi e i sacerdoti non ringrazieranno mai abbastanza Dio di averli condotti in un seminario dove tutte le scienze insegnano a conoscere Dio e Nostro Signore e dove tutta la vita è orientata a rendere alla Santissima Trinità l’onore, il culto e l’amore che Le sono dovuti per mezzo del Verbo incarnato, «Per Christum Dominum nostrum».

Che le anime sacerdotali possano affrontare coraggiosamente il combattimento spirituale per guarire le proprie anime da queste ferite e per imparare così a divenire medici delle anime, con la predicazione, con la preghiera della Santa Messa, con l’Eucaristia e con il sacramento della penitenza! I ritiri sono un mezzo potente per diminuire la cecità delle anime e guarire anche le altre ferite.

Senza la comprensione di queste verità elementari non si può capire la spiritualità cattolica della Croce, del sacrificio, del disprezzo dei beni temporali, per attaccarsi a quelli eterni. I demoni si servono di tutto ciò che è sensibile e piacevole per aggravare le nostre ferite. Ciò che è accaduto a Eva continua ad essere attuale. Dietro la parola del demonio, Eva ha visto che il frutto era piacevole, «pulchrum visu et delectabile" (Gen. 3,6). Ella dirà – ahimè troppo tardi – a Dio: «Il serpente mi ha ingannata – decepit me" (Gen. 3,13). Di qui l’insistenza della Chiesa, in tutta la sua spiritualità e soprattutto per le anime sacerdotali o consacrate a Dio, di allontanarsi dal mondo e dallo spirito del mondo e di cercare soltanto le cose eterne al seguito di Gesù, e di Gesù Crocifisso.

(Ora è un’altra disastrosa conseguenza del Concilio, il cercare di distruggere la spiritualità tradizionale e cattolica della rinunzia, della Croce, del disprezzo delle cose temporali, dell’invito a portare la propria croce dietro a Nostro Signore, per perseguire una giustizia sociale basata sulla voglia e sul desiderio dei beni di questo mondo, lanciando i popoli in lotte fratricide che moltiplicano i poveri, mentre è precisamente la vera spiritualità che cambierà i cuori e li orienterà verso una migliore giustizia sociale.

Questo cattivo spirito del Concilio – lo spirito del mondo – ha invaso l’universo sacerdotale e religioso ed è sfociato in una distruzione senza precedenti del sacerdo­zio e della vita religiosa. È la grande vittoria di Satana: l’aver realizzato, mediante uomini di Chiesa, quella distruzione nella quale nessuna persecuzione era riuscita).

Il sacerdote ha dunque ricevuto il potere di applicare i meriti della Croce e del Sangue di Gesù Cristo alle anime che confessano i loro peccati con contrizione e che pagano con un atto di soddisfazione la pena dovuta per i peccati già perdonati.

L’esercizio fruttuoso di questo ministero esige dal sacerdote numerose qualità: la conoscenza della legge divina e delle leggi della Chiesa per giudicare sulla gravità del peccato confessato, la prudenza, la discrezione, il consiglio, la carità misericordiosa secondo l’esempio di Nostro Signore, al fine di portare all’anima malata aiuti appropriati (le anime generalmente apprezzano più una dolce fermezza, che un lassismo liberale: esse desiderano guarire, anche se questo desiderio non è esplicito).

Essendo la contrizione essenziale per ricevere il sacramento, sovente è utile insistere su questa disposizione e sul fermo proposito. Per essere molto efficace la contrizione deve essere interiore e abituale. Il sentimento profondo di dolore per il peccato, se persiste, mette l’anima al riparo dal peccato, la mantiene nell’umiltà, nella diffidenza di sé, nella vigilanza continua. È proprio questo il consiglio ripetuto costantemente da Nostro Signore: «Vigilate».

La soddisfazione si completa senza dubbio con la preghiera o con l’atto richiesto dal confessore, ma anch’essa deve essere continua, nella preghiera quotidiana, nei sacrifici e nelle privazioni: il digiuno e l’elemosina. È in occasione della soddisfazione che appare nella sua efficacia la realtà del Corpo mistico a proposito delle indulgenze. Senza dubbio, nel corso della storia, degli abusi sono stati commessi a scopo di lucro. Ma gli abusi simoniaci – e condannabili – non eliminano la preziosa realtà delle indulgenze che vengono in aiuto della soddisfazione, che rimane un debito di fronte a Dio e che le indulgenze ci aiutano a saldare prima del giudizio particolare nell’ora della nostra morte.

Un consiglio prezioso per questo apostolato, è quello di comportarci nella società e nelle relazioni sociali in modo tale che le persone non abbiano timore di domandare il sacramento della penitenza, cioè di conservare sempre un comportamento veramente sacerdotale.

 

 


 

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