dal libro

Lo hanno detronizzato.

Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare.

brani scelti

 

 

seguito

Parte Quarta - Una rivoluzione in tiara e piviale.

Capitolo XXVIII - La libertà religiosa del Vaticano II

 

II - IL VATICANO II E LA CITTÀ CATTOLICA

Facciamo il punto della situazione. La dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa si rivela innanzitutto contraria al magistero costante della Chiesa (238). Inoltre essa non si situa nella linea dei diritti fondamentali definiti dai Papi recenti (239). Inoltre abbiamo appena visto che non riposa su alcun fondamento, razionale o rivelato. Da ultimo è importante esaminare se essa è in accordo con i princìpi cattolici che regolano i rapporti fra la città temporale e la religione.

Limiti della libertà religiosa

Per prima cosa il Vaticano II precisa che la libertà religiosa deve essere ristretta entro «debiti limiti» (DH I), «secondo norme  giuridiche, conformi all’ordine morale obiettivo: norme giuridiche postulate e dall’efficace difesa dei diritti […] di tutti i cittadini, e da una sufficiente tutela di quell’onesta pace pubblica […] e dalla debita custodia della pubblica moralità» (DH 7). Tutto questo è senz’altro molto ragionevole, ma lascia scoperta la questione essenziale, che è la seguente: lo Stato non ha il dovere, e di conseguenza il diritto, di salvaguardare l’unità religiosa dei cittadini nella vera religione e di proteggere le anime cattoliche contro lo scandalo e la propagazione dell’errore religioso e, per queste sole ragioni, di limitare l’esercizio dei falsi culti, e al bisogno anche di proibirli?

Eppure è proprio questa  la dottrina della Chiesa, esposta con vigore da papa Pio IX in Quanta Cura, dove il Pontefice condanna l’opinione di coloro che, «contro la dottrina delle Scritture, della Chiesa e dei santi Padri non dubitano di asserire che “La migliore condizione della società essere quella, in cui non si riconosce nello Stato il dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della cattolica religione, se non in quanto ciò richiede la pubblica quiete”» (PIN 39; Dz 1690). Il senso ovvio dell’espressione «violatori della cattolica religione» è: coloro che esercitano pubblicamente un culto diverso dal culto cattolico, o che, pubblicamente, non osservano le leggi della Chiesa. Pio IX insegna dunque che lo Stato governa in maniera migliore quando riconosce a se stesso il compito di reprimere l’esercizio pubblico dei culti erronei, e non soltanto per salvaguardare la pubblica quiete; per il solo motivo che costoro contravvengono all’ordine cristiano e cattolico della Città, e non soltanto perché la pace o la moralità pubbliche ne risulterebbero intaccate.

Per questo motivo si deve dire che i «limiti» fissati dal Concilio alla libertà religiosa sono soltanto polvere negli occhi, che maschera il difetto radicale da cui tali limiti sono affetti, che è quello di non tener più conto della differenza tra la verità e l’errore! Contro ogni giustizia si pretende di attribuire il medesimo diritto alla vera religione e alle false, e poi ci si sforza artificiosamente di limitare i danni con barriere che sono lungi dal soddisfare le esigenze della dottrina cattolica. Sarei tentato di paragonare «i limiti» della libertà religiosa ai guardrail delle autostrade, che servono a contenere le deviazioni dei veicoli dei quali i conducenti hanno perso il controllo. La cosa davvero essenziale sarebbe però quella di assicurarsi che costoro siano disposti a seguire il codice della strada!

 

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238) Capitolo XXVII, 1a parte.

239) Capitolo XXVII, 2a parte.

 

 

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