dal libro

Lo hanno detronizzato.

Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare.

brani scelti

 

 

 

seguito

Parte Quarta - Una rivoluzione in tiara e piviale.

Capitolo XXVIII - La libertà religiosa del Vaticano II

 

La libertà dell’atto di fede

Si invoca infine la libertà dell’atto di fede (DH 10). Qui c’è una doppia argomentazione. Ecco la prima: imporre, per ragioni religiose, dei limiti all’esercizio di un culto dissidente, sarebbe costringere indirettamente i suoi adepti ad abbracciare la fede cattolica. Ora, l’atto di fede deve essere libero da ogni costrizione: «che nessuno sia costretto ad abbracciare la fede cattolica controvoglia» (Diritto canonico del 1917, can. 1351).

Io rispondo, con la sana teologia morale, che una tale costrizione è legittima, secondo le regole del volontario indiretto. Essa infatti ha per oggetto diretto la limitazione del culto dissidente, il che è un bene (231), e per effetto solo indiretto e lontano quello di incitare certi non cattolici a convertirsi, col rischio che alcuni di essi diventino cattolici più per paura o convenienza sociale che per convinzione: cosa che non è desiderabile in sé, ma che può essere concessa quando esiste una ragione adeguata.

Il secondo argomento è molto più essenziale e richiede qualche sviluppo. Esso si basa sulla concezione liberale dell’atto di fede. Secondo la dottrina cattolica (232), la fede è un assenso, una sottomissione dell’intelligenza all’autorità di Dio che manifesta, sotto l’impulso della volontà libera, se stessa mutata dalla grazia. Per un verso, l’atto di fede deve essere libero, cioè deve sfuggire a qualsiasi costrizione esteriore che avrebbe quale scopo o effetto diretto di estorcere tale atto contro la volontà del soggetto (233). Per l’altro verso, dal momento che l’atto di fede è una sottomissione all’autorità divina, nessun potere o nessuna terza persona ha il diritto di contrastare la benefica influenza della Verità Prima, che ha un diritto inalienabile ad illuminare l’intelligenza del credente. Ne consegue che il credente ha diritto alla libertà religiosa: nessuno ha il diritto di reprimerlo e nessuno ha il diritto di impedirgli di abbracciare la rivelazione divina o di compiere con prudenza gli atti esteriori di culto corrispondenti.

Ora, dimentichi del carattere oggettivo, tutto divino e sovrannaturale, dell’atto di fede divina, i liberali, e dietro di loro i modernisti, fanno della fede l’espressione della convinzione soggettiva del soggetto (234) al termine della sua ricerca personale (235) per tentare di rispondere ai grandi interrogativi che l’universo lo spinge a formulare (236). Il fatto della rivelazione divina esteriore, il suo annuncio da parte della Chiesa, lasciano il posto all’invenzione creatrice del soggetto, o almeno i primi devono sforzarsi di andare incontro alla seconda … (237). Se è così, la fede divina è sminuita al rango delle convinzioni religiose dei non cristiani, che si immaginano di possedere una fede divina, mentre altro non hanno che un convincimento umano: il motivo per il quale aderiscono alla loro credenza non è dunque l’autorità divina che si rivela, ma il libero giudizio del loro spirito. È questa quindi la loro incoerenza fondamentale: i liberali pretendono di mantenere a tale atto di persuasione assolutamente umano i caratteri di inviolabilità e di immunità da ogni coercizione che spettano soltanto all’atto di fede divina! Essi affermano che in virtù degli atti delle loro convinzioni religiose, gli adepti delle altre religioni sono in relazione con Dio e che dunque tale relazione deve essere sottratta a ogni coercizione che potrebbe attentare ad essa. «Tutte le fedi religiose sono degne di rispetto e intangibili», dicono.

Ma queste ultime deduzioni sono manifestamente false, perché con le loro convinzioni religiose, gli adepti della altre religioni non fanno che aderire alle trovate della loro mente, produzioni umane che nulla hanno in sé di divino, né nella loro causa, né nel loro oggetto, né nel motivo per il quale si consente ad esse.

Questo non significa che non ci sia nulla di vero nelle loro convinzioni, o che esse non possano conservare tracce della rivelazione primitiva o posteriore. Ma la presenza di tali semina Verbi non è da sé sufficiente a fare delle loro convinzioni un atto di fede divina! Dato che tale atto sovrannaturale, se Dio volesse suscitarlo tramite la sua grazia, risulterebbe nella maggior parte dei casi ostacolato dalla presenza di molteplici errori e superstizioni ai quali questi uomini continuano a prestar fede.

Contro il soggettivismo e il naturalismo dei liberali, noi oggi dobbiamo tornare ad affermare il carattere oggettivo e sovrannaturale della fede divina, che è la fede cristiana e cattolica. Essa sola possiede un diritto assoluto e inviolabile al rispetto e alla libertà religiosa.

 

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231) È un bene per la religione cattolica e anche per il bene comune temporale, quando questo riposa sull’unanimità religiosa dei cittadini.

232) Vaticano I, Costituzione dogmatica Dei Filius, Dz 1789, 1810; san Tommaso II-II q. 2, a. 9; q. 4, a. 2.

233) Cfr. qui sopra.

234) Cfr. san Pio X, enciclica Pascendi, n. 8, Dz 2075.

235) Cfr. Vaticano II, Dignitatis humanae, n. 3.

236) Cfr. Vaticano II, Nostra aetate, n. 2.

237) Padre Pierre-Réginald Cren, O. P., contrappone senza vergogna alla nozione cattolica della fede la sua concezione personalistica della rivelazione: «La rivelazione: dialogo fra la libertà divina e la libertà umana», così titola il suo articolo dedicato alla libertà dell’atto di fede («Lumière et Vie», n. 69, La liberté religieuse, p. 39).

 

 

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