sant'ignaziodi Corrado Gnerre


Sant’Ignazio di Loyola è una delle figure che ha maggiormente influito non solo nella storia religiosa ma anche in quella culturale dell’Occidente. Approfondiamo in questa voce la sua spiritualità, soprattutto in relazione alla lotta contro il Luteranesimo.

Trasfigurare l’umano nel divino, portare il divino nell’umano
Ad maiorem Dei gloriam: A maggior gloria di Dio. È questa la frase-cuore della spiritualità ignaziana. Una spiritualità che costituì una significativa ed efficace risposta agli errori che la Rivoluzione protestante stava diffondendo. Una spiritualità che nacque per quello scopo, ma che costituisce un valore sempre attuale per il fedele della Chiesa militante.
La spiritualità ignaziana è fondata su un capolavoro, gli Esercizi spirituali, che il Santo di Loyola scrisse (ispirato dalla Vergine… c’è chi dice che addirittura la Vergine glieli avrebbe dettati) quando si trovava in eremitaggio nella Grotta di Manresa.
Lo scopo degli Esercizi è porre l’uomo all’interno della dimensione dell’eternità. L’esercitante deve inserire nella propria vita i misteri centrali della Redenzione affinché possa trasfigurare la sua esistenza in una prospettiva di senso, data appunto dall’essere destinato a vivere per l’eternità con Dio.
 
Sant’Ignazio tiene a precisare che la presenza di Dio non è una possibilità esclusiva dell’esito ultraterreno (nel senso che l’uomo può – se lo vuole – arrivare a Dio quando riuscirà a conquistare il Paradiso), ma essa è da vivere già nella propria vita terrena. Anzi, è proprio questa la specificità dell’autentica vita cristiana.
La meditazione dei misteri della Redenzione deve avvenire coinvolgendo il proprio umano: finanche i sensi devono partecipare. Il Santo spagnolo tiene a far capire all’esercitante come sia importante osservare attentamente le cose, anche le più banali, per comprenderne il significato: l’Eterno può essere più facilmente sperimentato dall’uomo, solo se è inserito nel concreto della vita quotidiana. È ciò che sant’Ignazio definisce composizione di luogo.
 
Queste le sue direttive nella seconda contemplazione della seconda settimana dei suoi esercizi: «Sarà qui vedere con gli occhi dell’immaginazione la via da Nazareth a Betlemme, considerandone la lunghezza, la larghezza, e se tale via sia pianeggiante o se attraversa valli o colline. Similmente osservando il luogo o grotta della natività: è grande o piccola? È bassa o alta? Come era disposta? (...) Il primo punto è vedere le persone, cioè vedere nostra Signora, Giuseppe, l’ancella e il bambino Gesù appena nato, facendomi io poverello e piccolo schiavo indegno, guardandoli e servendoli nelle loro necessità, come se fossi presente, con tutto l’affetto e il rispetto possibile. E quindi riflettere in me stesso per ricavare qualche frutto. Il secondo: osservare, notare e contemplare quello che dicono; e, riflettendo in me stesso, ricavarne qualche profitto. Il terzo: guardare e contemplare quello che fanno, come il camminare e lavorare, perché il Signore nasca in somma povertà per poi morire in croce dopo tante fatiche fame, sete, caldo e freddo, ingiurie e affronti; e tutto questo per me. Poi, riflettendo, ricavare qualche profitto spirituale».
Il senso di tutto questo sta in una duplice prospettiva che deve essere curata contemporaneamente. Da una parte trasfigurare l’umano nel divino, dall’altra portare il divino nell’umano.
 
Ignazio e Lutero
Ed è  proprio questa duplice prospettiva a costituire una risposta agli errori del Luteranesimo. Infatti, la separazione tra ragione e fede che aveva operato l’eresiarca di Erfurt comportava inevitabilmente l’insorgere di due errori estremi: il laicismo da una parte e il settarismo teocratico dall’altra. Sant’Ignazio, invece, ripropone quella che è la specificità cattolica: la compenetrazione, senza confusione, della dimensione soprannaturale in quella naturale e di quella naturale in quella soprannaturale. Il tutto in una prospettiva di militanza, che trovava spiegazione anche nel temperamento tipicamente militare del Santo di Loyola. Nella meditazione cosiddetta dei Due stendardi, ogni uomo è chiamato ad una scelta drammatica: sotto quale stendardo combattere? Sotto quello di Satana o sotto quello di Cristo? Non ne esiste un altro. Chi non vuol scegliere, ha già scelto di rifiutare la Redenzione.
 
A questo discorso però va aggiunto un particolare, che non ci sembra di secondaria importanza. Lutero, in realtà, non aveva la vocazione né alla vita monastica né al sacerdozio; da qui la sua infelicità. Oggi sappiamo che quando era all’Università di Erfurt, si batté a duello con un compagno, Gerome Bluntz, uccidendolo. Dunque, entrò nel monastero degli agostiniani solo per sfuggire alla giustizia. Lui stesso lo dice: «Mi sono fatto monaco perché non mi potessero prendere. Se non lo avessi fatto, sarei stato arrestato. Ma così fu impossibile, visto che l’ordine agostiniano mi proteggeva». Questa assenza di vocazione lo rese nevrotico e infelice. Si narra che durante la sua prima Messa, al momento dell’offertorio, stava per fuggire e fu trattenuto dal suo superiore.
 
Potremmo chiederci: ma se eventualmente si sbaglia la vocazione è possibile mai che il Signore non dia la grazia sufficiente per andare avanti? Certamente. Il problema di Lutero fu un altro: non volle rendersi docile alla Grazia. Quando si abbandona tutto e si tradisce la verità è sempre perché si è prima abbandonato la preghiera. L’uomo può abbandonare Dio, non Dio l’uomo. Lutero stesso scrisse  nel 1516, cioè prima della svolta della sua vita: «Raramente ho il tempo di pregare il Breviario e di celebrare la Messa. Sono troppo sollecitato dalle tentazioni della carne, del mondo e del diavolo». Fu così che credette di trovare la soluzione della sua infelicità nella Lettera ai Romani (1,17): «Il giusto vivrà per la sua fede». Per la salvezza non occorrerebbe nessun sforzo di volontà se non quello di abbandonarsi ciecamente alla fede nel Signore (fideismo).
In Lutero, dunque, si ritrova tanto il volontarismo quanto il fideismo. Il volontarismo: darsi una vocazione che non c’è; il fideismo: negare totalmente qualsiasi contributo della volontà. Due errori completamente diversi, ma, proprio perché errori, dalla origine comune.
 
Ebbene, sant’Ignazio scrive negli Esercizi spirituali: «Ci sono tre tempi o circostanze per fare una buona e sana elezione. Il primo: è quando Dio nostro Signore muove e attrae tanto la volontà che, senza dubitare né poter dubitare, l’anima devota segue quello che le è mostrato, come fecero san Paolo e san Matteo nel seguire Cristo nostro Signore. Il secondo: quando si riceve molta chiarezza e conoscenza per mezzo di consolazioni e desolazioni, e per l’esistenza del discernimento degli spiriti. Il terzo: è il tempo di tranquillità. L’uomo, considerando prima perché è nato, e cioè per lodare Dio nostro Signore e salvare la sua anima, e desiderando questo, elegge come mezzo uno stato o un genere di vita nell’ambito della Chiesa, per essere aiutato nel servizio del suo Signore e nella salvezza della propria anima. È tempo di tranquillità quello in cui l’anima non è agitata da vari spiriti e usa delle sue potenze naturali liberamente e tranquillamente».
Dunque, dice sant’Ignazio, è molto importante non sbagliare la propria vocazione avendo come unico scopo quello di rendere gloria a Dio. Sembra proprio una chiara allusione all’esperienza di Martin Lutero.
 
Fonte: www.ilgiudiziocattolico.com

Prossime date per gli Esercizi spirituali di Sant'Ignazio

 

 

 

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