Il 1° novembre 1885 Papa Leone XIII pubblicava la Lettera Enciclica Immortale Dei, vero fondamento politico sulla costituzione cristiana degli Stati. Un’enciclica magistrale dove con quella grande chiarezza e semplicità che sono caratteristiche proprie della verità,  il Pontefice ribadisce  i principi sui quali deve basarsi lo stato se vuol veramente giungere al fine per cui è stato istituito.

Essa conserva l’attualità e la freschezza della verità immutabile e mostra con evidenza come dall’ultimo concilio ci si sia allontanati da questi principi per abbracciare le tesi liberali condannate, non solo da Leone XIII, ma da tutti i pontefici che si sono susseguito dopo il trionfo sociale del liberalismo con la Rivoluzione francese. Un’enciclica che ogni politico dovrebbe leggere, studiare e meditare…

 IMMORTALE DEI 

LETTERA ENCICLICA DI SUA SANTITÀ LEONE PP. XIII

 Quell’immortale opera di Dio misericordioso che è la Chiesa, sebbene in sé e per sua natura si proponga come scopo la salvezza delle anime e il raggiungimento della felicità celeste, pure anche nel campo delle cose terrene reca tali e tanti benefìci, quali più numerosi e maggiori non potrebbe se fosse stata istituita al precipuo e prioritario scopo di tutelare e assicurare la prosperità di questa vita terrena.

E veramente dovunque la Chiesa abbia posto piede ha immediatamente cambiato l’aspetto delle cose, ha instillato nei costumi dei popoli virtù prima sconosciute e una nuova civiltà: e i popoli che l’accolsero si distinsero per l’umanità, per l’equità, per le imprese gloriose. Eppure resiste quella tradizionale e oltraggiosa accusa secondo cui la Chiesa sarebbe in contrasto con gl’interessi dello Stato e del tutto incapace di dare un contributo a quelle esigenze di benessere e di decoro, cui a buon diritto e naturalmente tende ogni società ben ordinata. Sappiamo che fin dai primi tempi della Chiesa i cristiani erano perseguitati in nome di analogo, iniquo pregiudizio, e che si soleva anche additarli all’odio e al sospetto come nemici dell’impero: allora il popolo amava far ricadere sul nome cristiano la colpa di qualunque sventura si fosse abbattuta sullo Stato, quando invece era la giustizia di Dio che esigeva dai peccatori la dovuta espiazione delle loro scelleratezze. L’atrocità di simile calunnia giustamente armò l’ingegno ed affilò la penna di Agostino, il quale, particolarmente nella Città di Dio, illuminò di tanta luce l’efficacia della dottrina cristiana anche per quanto attiene alla vita sociale, che non sembra tanto aver difeso la causa dei cristiani del suo tempo, quanto aver riportato un trionfo imperituro su tutte le false calunnie.

Non si placò tuttavia la funesta voglia di simili accuse e denigrazioni, e a moltissimi piacque attingere le norme del vivere sociale altrove piuttosto che dalle dottrine approvate dalla Chiesa cattolica. Anzi, in questi ultimi tempi cominciò a prevalere e a farsi dominante ovunque quello che chiamano nuovo diritto, che proclamano essere come il frutto di un secolo ormai adulto, maturato attraverso il progredire della libertà. Ma, per quanto molti si siano cimentati in tanti modi, appare chiaro che non è stato ancora trovato un metodo, per costituire e governare gli Stati, che sia migliore di quello che fiorisce spontaneamente dalla dottrina evangelica. Riteniamo pertanto di grande importanza e del tutto conforme al Nostro Ufficio Apostolico il confrontare le moderne teorie sociali con la dottrina cristiana: in tal modo confidiamo che, mentre si fa strada la verità, vengano meno i motivi di errore e incertezze, sicché chiunque possa facilmente discernere quelle fondamentali norme di condotta cui dovrà attenersi e obbedire.

Non è difficile stabilire quali sarebbero l’aspetto e la struttura di uno Stato che fosse governato sulla base dei principi cristiani. Il vivere in una società civile è insito nella natura stessa dell’uomo: e poiché egli non può, nell’isolamento, procurarsi né il vitto né il vestiario necessario alla vita, né raggiungere la perfezione intellettuale e morale, per disposizione provvidenziale nasce atto a congiungersi e a riunirsi con gli altri uomini, tanto nella società domestica quanto nella società civile, la quale sola può fornirgli tutto quanto basta perfettamente alla vita. E poiché non può reggersi alcuna società, senza qualcuno che sia a capo di tutti e che spinga ciascuno, con efficace e coerente impulso, verso un fine comune, ne consegue che alla convivenza civile è necessaria un’autorità che la governi: e questa, non diversamente dalla società, proviene dalla natura e perciò da Dio stesso. Ne consegue che il potere pubblico per se stesso non può provenire che da Dio. Solo Dio, infatti, è l’assoluto e supremo Signore delle cose, al quale tutto ciò che esiste deve sottostare e rendere onore: sicché chiunque sia investito del diritto d’imperio non lo riceve da altri se non da Dio, massimo Principe di tutti. Non v’è potere se non da Dio (Rm 13,1). Il diritto d’imperio, poi, non è di per sé legato necessariamente ad alcuna particolare forma di governo: questo potrà a buon diritto assumere l’una o l’altra forma, purché effettivamente idonea all’utilità e al bene pubblico. Ma in qualsiasi tipo di Stato i principi devono soprattutto tener fisso lo sguardo a Dio, sommo reggitore del mondo, e proporsi Lui quale modello e norma nel governo della comunità. Così come nelle cose visibili Dio creò le cause seconde perché vi si potessero scorgere in qualche modo la natura e l’azione divina, e perché indicassero il fine ultimo al quale sono dirette tutte le cose, allo stesso modo volle che nella società civile esistesse un potere sovrano, i cui depositari rimandassero in qualche modo l’immagine della potestà divina e della divina provvidenza sul genere umano. L’esercizio del potere deve quindi essere giusto, non da padrone, ma quasi paterno, poiché il potere di Dio sugli uomini è sommamente giusto e permeato di paterna benevolenza; deve essere esercitato in vista dell’utilità dei cittadini, poiché chi detiene il potere governa con quest’unico compito, di tutelare il bene dei cittadini. Né in alcun modo deve accadere che l’autorità civile serva l’interesse di uno o di pochi, una volta che è stata istituita per il bene comune. Ché se i governanti si abbandoneranno ad un ingiusto dominio, se peccheranno di durezza o di superbia, se non provvederanno adeguatamente al bene del popolo, sappiano che dovranno un giorno render ragione a Dio, e con tanta maggior severità, quanto più venerabile ufficio avranno ricoperto e più sublime dignità avranno conseguito. "I potenti saranno puniti duramente" (Sap 6,7). In tal modo il rispetto dignitoso e spontaneo dei cittadini si assocerà alla maestà del comando. Una volta persuasi, infatti, che l’autorità di chi governa proviene da Dio, si convinceranno che è giusto e doveroso seguire i dettami dei Principi e tributare loro ossequio e fiducia con quella sorta di devozione che i figli devono ai genitori. "Ogni anima sia soggetta alle sublimi potestà" (Rm 13,1). Spregiare il potere legittimo, in qualsiasi persona esso s’incarni, non è lecito più di quello che sia l’opporsi alla volontà divina: chi si oppone a questa, precipita in volontaria rovina. "Chi resiste all’autorità, resiste all’ordinamento divino; coloro che resisteranno si attireranno addosso la condanna" (Rm 5,2). Pertanto, rifiutare l’obbedienza, e con la violenza popolare provocare sedizioni, è crimine di lesa maestà non solo umana ma anche divina.

È chiaro che una società costituita su queste basi deve assolutamente soddisfare ai molti e solenni doveri che la stringono a Dio con pubbliche manifestazioni di culto. La natura e la ragione, che comandano ad ogni singolo individuo di tributare a Dio pii e devoti atti d’ossequio, poiché tutti siamo in Suo potere e tutti, da Lui originati, a Lui dobbiamo ritornare, impongono la stessa legge alla società civile. Gli uomini uniti in società non sono meno soggetti a Dio dei singoli individui, né la società ha minori doveri dei singoli verso Dio, per la cui volontà è sorta, per il cui assenso si conserva, dalla cui grazia ha ricevuto l’immenso cumulo di beni che possiede. Perciò, come a nessuno è lecito trascurare i propri doveri verso Dio – e il più importante di essi è professare la religione nei pensieri e nelle opere, e non quella che ciascuno preferisce, ma quella che Dio ha comandato e che per segni certi e indubitabili ha stabilito essere l’unica vera – allo stesso modo le società non possono, senza sacrilegio, condursi come se Dio non esistesse, o ignorare la religione come fosse una pratica estranea e di nessuna utilità, o accoglierne indifferentemente una a piacere tra le molte; ma al contrario devono, nell’onorare Dio, adottare quella forma e quei riti coi quali Dio stesso dimostrò di voler essere onorato. Santo deve dunque essere il nome di Dio per i Principi, i quali tra i loro più sacri doveri devono porre quello di favorire la religione, difenderla con la loro benevolenza, proteggerla con l’autorità e il consenso delle leggi, né adottare qualsiasi decisione o norma che sia contraria alla sua integrità.

È questo il loro dovere anche verso coloro che essi governano. Infatti noi tutti siamo uomini nati e cresciuti in vista di quel supremo ed ultimo bene al quale devono essere rivolti tutti i pensieri, il bene che è posto oltre questa fragile e breve vita, nei cieli. Ora, poiché da ciò dipende la completa e perfetta felicità degli uomini, il conseguire il fine di cui s’è detto è cosa di tale importanza per ognuno, che nulla può essere di maggior momento. È necessario dunque che la società civile, istituita per l’utilità comune, nel perseguire la prosperità dello Stato provveda a che i cittadini, nel loro cammino verso la conquista di quel sommo e immutabile bene al quale naturalmente tendono, non solo non vengano in alcun modo ostacolati, ma siano favoriti con ogni opportunità. La principale di queste è operare perché sia salva e inviolata la religione, i cui obblighi mantengono saldo il legame fra l’uomo e Dio.

Quale sia poi la vera religione, senza difficoltà può vedere chi giudichi con metro sereno e imparziale: poiché è evidente per moltissime e luminose prove, per la verità di indubitabili vaticinî, per la frequenza dei miracoli, per la diffusione straordinariamente rapida della fede anche in mezzo a nemici e fra gravissimi ostacoli, per la testimonianza dei martiri e per altre simili, che l’unica vera è quella che Gesù Cristo stesso ha fondato ed affidato alla sua Chiesa perché la difendesse e la propagasse.

Infatti l’Unigenito figlio di Dio istituì sulla terra quella società, che chiama Chiesa, alla quale trasmise, perché la continuasse nei secoli, l’eccelsa e divina missione, che Egli stesso aveva ricevuto dal Padre. "Come il Padre mandò me, anch’io mando voi" (Gv 20,21). "Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Dunque, come Gesù Cristo venne sulla terra perché "gli uomini abbiano la vita e ne abbiano in abbondanza" (Gv 10,10), allo stesso modo la Chiesa si propone come fine la salvezza eterna delle anime; per questo motivo essa è tale, per sua natura, da offrirsi per abbracciare l’intero genere umano, senza limiti di tempi e di luoghi. "Predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15). A una così vasta moltitudine di uomini Dio stesso assegnò magistrati con il potere di governarla: e tra tutti volle che uno fosse il primo, il supremo e infallibile maestro di verità, e a lui affidò le chiavi del regno dei cieli. "A te darò le chiavi del regno dei cieli" (Mt 16,19). "Pasci gli agnelli... pasci le pecore" (Gv 21,16-17). "Io pregai per te, perché non venga meno la tua fede" (Lc 22,32).

Questa società, sebbene sia composta di uomini non diversamente dalla società civile, tuttavia, per il fine al quale tende e per i mezzi di cui si serve per conseguirlo, ha carattere soprannaturale e spirituale, e in questo si distingue e differisce dalla società civile; ciò che soprattutto conta, essa è una società nel suo genere e nel suo assetto giuridico perfetta, dal momento che possiede, per volontà e grazia del suo fondatore, in sé e per se stessa tutti gli strumenti necessari al suo esistere e al suo operare. Come il fine al quale la Chiesa tende è di gran lunga il più nobile fra tutti, così la sua potestà è sopra ogni altra la più eminente, né può essere giudicata inferiore al potere civile, né essere in alcun modo ad esso sottoposta. In verità Gesù Cristo diede ai suoi Apostoli pieni poteri circa la conduzione delle cose sacre, aggiungendo sia la facoltà di emanare vere e proprie leggi, sia la doppia potestà, che da quella deriva, di giudicare e di punire. "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28.18-20). E altrove: "Se non li ascolterà, dillo alla Chiesa" (Mt 18,17). E ancora: "Siamo pronti a punire qualsiasi disobbedienza" (2Cor 10,6). E di nuovo: "Agirò con più durezza, secondo il potere che Dio mi diede, per edificare e non per distruggere" (2Cor 13,10). Pertanto non è alla società civile, ma alla Chiesa che spetta condurre gli uomini verso la meta celeste: a lei fu da Dio assegnato il compito di provvedere e deliberare sulle questioni religiose, di ammaestrare tutte le genti, di allargare quanto più possibile i confini del nome cristiano: in breve, di amministrare liberamente e senza impedimenti, a sua discrezione, il mondo cristiano. E invero questa autorità in sé assoluta e del tutto autonoma (che da tempo viene contestata da quella filosofia che si inchina ai Principi) la Chiesa non ha mai cessato di rivendicare per sé e di esercitare pubblicamente, visto che i primi a battezzarsi per essa furono gli Apostoli, i quali, quando i capi della Sinagoga proibivano loro di predicare il vangelo, rispondevano con fermezza: "È necessario obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (At 5,29). I Santi Padri della Chiesa si impegnarono a difendere tale autorità con efficaci argomenti quante volte ne ebbero l’occasione, e i Pontefici Romani non trascurarono mai di rivendicarla, con incrollabile fermezza d’animo, contro gli oppositori. Del resto gli stessi principi e capi di Stato, sia in teoria, sia in linea di fatto, l’hanno riconosciuta, dal momento che, stipulando trattati, concludendo transazioni, inviando e ricevendo legati, e con lo scambio di altre relazioni, hanno solitamente trattato con la Chiesa come con una legittima, suprema potestà. Né certamente si deve ritenere che ciò avvenisse senza un preciso disegno provvidenziale e che questa stessa potestà fosse munita di un principato civile, quale sicura garanzia della sua libertà.

Dunque Dio volle ripartito tra due poteri il governo del genere umano, cioè il potere ecclesiastico e quello civile, l’uno preposto alle cose divine, l’altro alle umane. Entrambi sono sovrani nella propria sfera; entrambi hanno limiti definiti alla propria azione, fissati dalla natura e dal fine immediato di ciascuno; sicché si può delimitare una sorta di orbita, all’interno della quale ciascuno agisce sulla base del proprio diritto. Ma poiché l’uno e l’altro potere si esercitano sugli stessi soggetti, e può accadere che una medesima cosa, per quanto in modi diversi, venga a cadere sotto la giurisdizione dell’uno e dell’altro, l’infinita Provvidenza divina, dalla quale sono stati entrambi stabiliti, deve pure aver composto in modo ordinato e armonioso le loro rispettive orbite, poiché "le autorità che esistono, sono stabilite da Dio" (Rm 13,1). Se non fosse così, nascerebbero spesso motivi di contrasti e di conflitti; e non di rado l’uomo dovrebbe restare turbato ed esitante, come di fronte a un bivio, incerto circa la via da scegliere, nel caso in cui gli giungessero ordini contrari da parte delle due potestà, al cui imperio non potrebbe sottrarsi senza venir meno al proprio dovere.

Ora, assolutamente ripugna il pensare questo della sapienza e della bontà di Dio, il quale anche nel campo dei fenomeni fisici, che sono di ordine tanto inferiore, pure conciliò tra loro le forze naturali e le loro leggi con un disegno razionale e quasi con una mirabile armonia di voci, tale per cui nessuna di esse disturbi le altre, e tutte insieme tendano concordemente e nel modo più consono al fine ultimo del mondo. Per questo è necessario che tra le due potestà esista una certa coordinazione, la quale viene giustamente paragonata a quella che collega l’anima e il corpo nell’uomo. Di quale natura e peso essa sia, poi, non si può altrimenti stabilire se non prendendo in considerazione, come s’è detto, la natura delle due potestà e ragionando sull’eccellenza e la nobiltà dei loro fini: come all’una spetti anzitutto ed essenzialmente la cura delle cose terrene, all’altra l’acquisizione dei beni celesti e sempiterni. Pertanto tutto ciò che nelle cose umane abbia in qualche modo a che fare col sacro, tutto ciò che riguardi la salvezza delle anime o il culto di Dio, che sia tale per sua natura o che tale appaia per il fine a cui si riferisce, tutto ciò cade sotto l’autorità e il giudizio della Chiesa: tutto il resto, che abbraccia la sfera civile e politica, è giusto che sia sottoposto all’autorità civile, poiché Gesù Cristo ha voluto che ciò che è di Cesare sia dato a Cesare e ciò che è di Dio a Dio. Accade poi talora che si trovi qualche nuovo modo per garantire la concordia e una tranquilla libertà, ed è quando i governanti e il Pontefice romano raggiungono un accordo su qualche questione particolare. In tali circostanze la Chiesa offre eccelse prove di materna bontà, ed è solita dimostrare la più generosa disponibilità e indulgenza.

Questa – quale l’abbiamo qui sommariamente delineata – è l’organizzazione cristiana della società civile, ideata non a caso o a capriccio, ma dedotta da supremi e verissimi principi che sono altresì confermati dalla stessa ragione naturale. Tale organizzazione sociale inoltre non presenta nulla che possa giudicarsi meno degno o disdicevole per la maestà dei Principi: non solo è ben lontana dallo sminuirne i diritti sovrani ma piuttosto li rende più saldi e augusti. Anzi, se si considera più a fondo, quella organizzazione possiede un grado di perfezione che manca a tutti gli altri sistemi sociali: da essa scaturirebbero certamente notevoli e svariati vantaggi, se ciascuna parte ricoprisse il ruolo che le conviene ed esercitasse pienamente il compito e la missione che le sono demandati.

Veramente, in quella forma di società che abbiamo esposto le cose divine e le umane sono armoniosamente ordinate: sono salvi i diritti dei cittadini, in quanto difesi col patrocinio delle leggi divine, naturali e umane; sono sapientemente definiti i singoli doveri ed è opportunamente regolato il loro adempimento. Ciascun individuo, nel suo incerto e faticoso viaggio verso l’eterna città celeste, sa di disporre di guide che lo sostengono nel cammino e lo aiutano a raggiungere la meta, ed ugualmente comprende che altre guide hanno il compito di procurargli o conservargli la sicurezza, le fortune e tutti gli altri beni sui quali poggia questa nostra vita terrena. La società domestica deriva quella solida stabilità che le conviene dalla santità del matrimonio uno e indivisibile; diritti e doveri sono regolati tra i coniugi con sapiente giustizia ed equità; alla donna è riservato il debito onore; l’autorità del marito è modellata su quella di Dio; la patria potestà è convenientemente temperata in considerazione della dignità della moglie e dei figli; infine si provvede alla giusta tutela, al benessere e all’educazione dei figli stessi. Nell’ambito politico e civile, le leggi hanno per oggetto il bene comune, e sono conformate non alla volontà e al fallace giudizio della moltitudine, ma alla verità e alla giustizia; l’autorità dei Principi riveste un carattere in certo modo sacro e sovrumano, e ha dei limiti perché non si allontani dalla giustizia né trascenda ad abusi nel comando; l’obbedienza dei cittadini si accompagna a decoro e dignità, poiché non si tratta di servitù di uomo ad uomo, ma di osservanza della volontà di Dio, che per mezzo di uomini esercita il proprio dominio. Quando tali concetti saranno stati accolti e assimilati, s’intenderà facilmente come sia unicamente atto di giustizia il rispettare la maestà dei Principi, il sottostare con costanza e lealtà ai pubblici poteri, il rifuggire da azioni sediziose, il preservare intatta la santa disciplina sociale. Similmente si annoverano tra i doveri la reciproca carità, la benevolenza, la liberalità; il cittadino che è anche cristiano non viene a trovarsi in contraddizione con se stesso a causa di precetti contrastanti; sono infine assicurati anche alla comunità e alla società civile quegli inestimabili beni, di cui la religione cristiana di per sé ricolma anche la vita terrena degli uomini: sicché emerge tutta la verità di quel detto: "Dalla religione, con la quale si onora Dio, dipendono le condizioni della società; tra l’una e l’altra intercorrono, per molti versi, un’affinità e una parentela" . Agostino ha parlato mirabilmente in più luoghi delle sue opere, dell’efficacia di questi beni, specialmente là dove si rivolge alla Chiesa cattolica con queste parole: "Tu addestri e ammaestri i fanciulli con mezzi adatti ai fanciulli, i giovani parlando loro con forza, i vecchi con calma, assecondando l’età non solo del corpo ma anche dello spirito. Tu spingi le mogli alla casta e fedele obbedienza verso i mariti non per il soddisfacimento delle passioni ma per la procreazione dei figli e per la salvaguardia della famiglia. Tu poni i mariti in posizione dominante rispetto alle mogli non perché sfruttino il sesso più debole, ma perché accettino il vincolo di un amore sincero. Tu sottoponi i figli ai genitori con una sorta di libera schiavitù, e concedi ai genitori un tenero dominio sui figli... Tu unisci i cittadini ai cittadini, i popoli ai popoli, e tutta l’umanità nel ricordo dei comuni progenitori, e li unisci non solo con vincoli sociali, ma anche con quelli di una certa fratellanza. Insegni ai re ad esser longanimi verso i popoli, e ammonisci i popoli a sottomettersi ai re. Sei sollecita ad insegnare a chi si debba onore, a chi affetto, a chi riverenza, a chi timore, a chi conforto, a chi ammonizione, a chi incoraggiamento, a chi correzione, a chi rimprovero, a chi punizione; mostrando come non a tutti si debbano le stesse cose, e come a tutti sia dovuta la carità, e a nessuno l’ingiustizia" . Lo stesso Agostino così condanna in un altro passo la pseudo sapienza dei filosofi che si atteggiano a politici: "Coloro che affermano che la dottrina di Cristo è nemica dello Stato, cerchino di costituire un esercito composto di soldati quali li vuole la dottrina di Cristo; ci diano governatori di province, mariti, mogli, genitori, figli, padroni, servi, re, giudici, perfino debitori ed esattori del fisco quali la dottrina cristiana impone di formare, e vedremo se oseranno ancora dirla nemica dello Stato, o se piuttosto non giungeranno ad affermare che essa, se attuata, sarebbe un valido sostegno per lo Stato" .

Vi fu un tempo in cui la filosofia del Vangelo governava la società: allora la forza della sapienza cristiana e lo spirito divino erano penetrati nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in ogni ordine e settore dello Stato, quando la religione fondata da Gesù Cristo, collocata stabilmente a livello di dignità che le competeva, ovunque prosperava, col favore dei Principi e sotto la legittima tutela dei magistrati; quando sacerdozio e impero procedevano concordi e li univa un fausto vincolo di amichevoli e scambievoli servigi. La società trasse da tale ordinamento frutti inimmaginabili, la memoria dei quali dura e durerà, consegnata ad innumerevoli monumenti storici, che nessuna mala arte di nemici può contraffare od oscurare. Il fatto che l’Europa cristiana abbia domato i popoli barbari e li abbia tratti dalla ferocia alla mansuetudine, dalla superstizione alla verità; che abbia vittoriosamente respinto le invasioni dei Maomettani; che abbia tenuto il primato della civiltà; che abbia sempre saputo offrirsi agli altri popoli come guida e maestra per ogni onorevole impresa; che abbia donato veri e molteplici esempi di libertà ai popoli; che abbia con grande sapienza creato numerose istituzioni a sollievo delle umane miserie; per tutto ciò deve senza dubbio molta gratitudine alla religione, che ebbe auspice in tante imprese e che l’aiutò nel portarle a termine. E certamente tutti quei benefìci sarebbero durati, se fosse durata la concordia tra i due poteri: e a ragione se ne sarebbero potuti aspettare altri maggiori, se con maggiore fede e perseveranza ci si fosse inchinati all’autorità, al magistero, ai disegni della Chiesa. Si deve infatti attribuire il valore di legge eterna a quella grandissima sentenza scritta da Ivo di Chartres al pontefice Pasquale II: "Quando regno e sacerdozio procedono concordi, procede bene il governo del mondo, fiorisce e fruttifica la Chiesa. Se invece la concordia viene meno, non soltanto non crescono le piccole cose, ma anche le grandi volgono miseramente in rovina" .

Ma quel pernicioso e deplorevole spirito innovatore che si sviluppò nel sedicesimo secolo, volto dapprima a sconvolgere la religione cristiana, presto passò, con naturale progressione, alla filosofia, e da questa a tutti gli ordini della società civile. Da ciò si deve riconoscere la fonte delle più recenti teorie sfrenatamente liberali, senza dubbio elaborate durante i grandi rivolgimenti del secolo passato e proclamate come principi e fondamenti di un nuovo diritto, il quale non solo era sconosciuto in precedenza, ma per più di un aspetto si distacca sia dal diritto cristiano, sia dallo stesso diritto naturale. Di questi principi, il più importante afferma che tutti gli uomini, dal momento che sono ritenuti uguali per nascita e per natura, così sono effettivamente uguali tra loro anche nella vita pratica; pertanto ciascuno possiede un proprio diritto, tale da sottrarlo totalmente all’autorità altrui, sì da poter liberamente pensare ciò che vuole e agire a suo talento: nessuno ha il diritto di comandare agli altri. In una società basata su tali principi, la sovranità non consiste che nella volontà del popolo, il quale, come possiede da solo tutto il potere, così da solo si governa: sceglie di fatto alcuni a cui delegare il potere, ma in modo tale da trasferire in loro non tanto la sovranità, quanto una semplice funzione da esercitare in suo nome. Si tace dell’autorità divina, come se Dio non esistesse o non si desse alcun pensiero del genere umano; come se gli uomini, né singolarmente né collettivamente, non avessero alcun obbligo verso Dio, o come se si potesse concepire una sovranità, la cui origine, forza e autorità non derivassero totalmente da Dio. Appare evidente che in tal modo lo Stato non sarebbe nient’altro che la moltitudine arbitra e guida di se stessa; e poiché si afferma che il popolo contiene in se stesso la sorgente di ogni diritto e di ogni potere, di conseguenza la comunità non si riterrà vincolata ad alcun dovere verso Dio; non professerà pubblicamente alcuna religione; non vorrà privilegiarne una, ma riconoscerà alle varie confessioni uguali diritti affinché l’ordine pubblico non venga turbato. Coerentemente, si permetterà al singolo di giudicare secondo coscienza su ogni questione religiosa; a ciascuno sarà lecito seguire la religione che preferisce, o anche nessuna, se nessuna gli aggrada. Di qui nascono dunque libertà di coscienza per chiunque, libertà di culto, illimitata libertà di pensiero e di stampa.

Posti a fondamento dello Stato questi principi, che tanto favore godono ai giorni nostri, si comprende facilmente in quali e quanto inique condizioni venga costretta la Chiesa. Infatti, ove l’azione pratica si conformi a queste dottrine, alla religione cattolica viene riconosciuto nello Stato un ruolo uguale o anche inferiore a quello dei culti a lei estranei; non vi sarà alcuna considerazione per le leggi ecclesiastiche; alla Chiesa, che pure per volontà di Gesù Cristo ebbe la missione di insegnare a tutte le genti, sarà negata ogni ingerenza nell’istruzione pubblica.

Anche nelle questioni di diritto misto, le autorità civili deliberano da sé, in totale autonomia, e in tale materia ignorano con arroganza le leggi santissime della Chiesa. Quindi annettono alla propria giurisdizione i matrimoni cristiani, legiferando anche sul vincolo coniugale, sulla sua unità e sulla sua stabilità; alienano le proprietà ecclesiastiche, negando alla Chiesa il diritto di possedere. Insomma, si comportano con la Chiesa disconoscendone il carattere di società giuridicamente perfetta, ponendola sullo stesso piano di tutte le altre associazioni che operano nello Stato: e se le rimane qualche diritto, qualche legittima libertà d’azione, si afferma che li possiede per concessione e benignità dell’autorità civile. Se poi si tratta di uno Stato, nel quale la Chiesa abbia riconosciuti i propri diritti dalle stesse leggi civili, e fra i due poteri esista una convenzione pubblicamente ratificata, sostengono il principio della necessaria separazione della Chiesa dallo Stato; e ciò allo scopo di poter impunemente violare la fede data, e di poter deliberare su tutto liberamente, senza vincoli. E poiché la Chiesa non può tollerare ciò, né può mancare ai suoi sacrosanti e solenni doveri, e quindi pretende che i patti sanciti siano scrupolosamente e integralmente osservati, spesso nascono dissidi tra il potere civile e quello ecclesiastico: dissidi che generalmente vedono soccombere – fra i due contendenti – quello che dispone di minori armi umane di fronte al più forte.

Così in questo tipo di convenzione oggi vagheggiata dai più, ci sono la tendenza e la volontà o di liberarsi del tutto della Chiesa, o di tenerla in ceppi e soggiogata. Gran parte dell’attività di governo mira a questo. Le leggi, l’amministrazione, l’insegnamento laico, la spoliazione e lo scioglimento degli ordini religiosi, la distruzione del potere temporale dei Pontefici, tutto tende a indebolire l’influenza delle istituzioni cristiane, a coartare la libertà della Chiesa, a lederne ogni altro diritto.

Ora, è sufficiente la semplice ragione naturale per dimostrare come siffatte teorie sul governo delle comunità siano assai lontane dalla verità. È la stessa natura che testimonia come qualsiasi potere derivi dalla più alta e augusta delle fonti, che è Dio. La sovranità popolare che si afferma insita per natura nella moltitudine indipendentemente da Dio, se serve ottimamente ad offrire lusinghe e ad infiammare grandi passioni, non ha in realtà alcun plausibile fondamento, né possiede abbastanza forza per assicurare uno stabile e tranquillo ordine sociale. In verità a causa di tali dottrine si è giunti al punto che da molti si sostiene la legittimità della rivoluzione, vista come giusto strumento di lotta politica. È forte infatti la convinzione che i Principi non siano nulla più che semplici delegati ad eseguire la volontà popolare: ne consegue necessariamente che tutti gli ordinamenti sono ugualmente mutabili a discrezione del popolo, e incombe il continuo timore di disordini.

In materia di religione, poi reputare che non vi sia sostanziale differenza tra eterogenee e contrarie forme di confessioni, conduce chiaramente a non volerne accettare né praticare alcuna. E questo atteggiamento, anche se gli si dà un nome diverso, in sostanza non è nient’altro che ateismo. Che infatti è convinto dell’esistenza di Dio, se vuole essere logico e non affermare assurdità, capisce necessariamente che le forme di culto esistenti, così diverse e contrastanti tra loro anche su questioni della massima importanza, non possono essere tutte ugualmente credibili, ugualmente vere, ugualmente accette a Dio. Allo stesso modo una libertà di pensiero e di espressione che sia totalmente esente da vincoli in assoluto non è un bene di cui la società umana abbia ragione di rallegrarsi: è al contrario fonte e origine di molti mali. La libertà, come virtù che perfeziona l’uomo, deve applicarsi al vero e al bene; la natura del vero e del bene non può mutare ad arbitrio dell’uomo, ma rimane sempre la stessa, e non è meno immutabile dell’intima natura delle cose. Se la mente accoglie false opinioni, se la volontà sceglie il male e vi si dedica, l’una e l’altra, lungi dall’operare per il proprio perfezionamento, perdono la loro naturale dignità e si corrompono. Ciò che è contrario alla virtù e alla verità, dunque, non deve essere posto in evidenza ed esibito: molto meno, difeso e tutelato dalle leggi. La sola vita virtuosa apre la via verso il cielo, cui tutti tendiamo: per questo lo Stato si discosta da una norma e da una legge di natura, se consente che una sfrenata e perversa libertà di pensiero e d’azione giunga a distogliere impunemente dalla verità le menti e dalla virtù gli spiriti.

È grande e deleterio errore escludere la Chiesa, che Dio stesso ha fondato, dalla vita pubblica, dalle leggi, dall’educazione dei giovani, dalla famiglia. Non possono esservi buoni costumi in una società cui sia stata tolta la religione: e si sa ormai anche troppo bene in che consista, e a che porti quella filosofia di vita e di costumi che chiamano civile. La Chiesa di Cristo è vera maestra di virtù e custode della buona condotta: essa è colei che mantiene fermi i principi dai quali derivano i doveri, e che, esposti i più efficaci motivi per vivere virtuosamente non solo ammonisce a fuggire le azioni malvagie, ma a controllare altresì i moti dell’animo contrari alla ragione, anche quelli che non sfociano in azioni concrete.

È davvero una grande ingiustizia e una grande sconsideratezza il volere sottoporre la Chiesa all’autorità civile nell’adempimento dei suoi doveri. Con ciò l’ordine viene sovvertito, dal momento che si antepongono le cose naturali alle soprannaturali: si distrugge, o almeno si sminuisce assai la dovizia di beni dei quali, se non ostacolata, a chiesa colmerebbe la vita terrena; per di più si apre la via ad ostilità e conflitti, e fin troppo spesso gli eventi hanno dimostrato quanto danno ciò porti sia alla società civile, sia a quella religiosa.

Siffatte dottrine, che nemmeno dalla ragione umana possono essere approvate, e che tanto peso hanno sull’ordinamento civile, i Pontefici romani Nostri Predecessori, ben comprendendo quale fosse il loro dovere apostolico, non consentirono che potessero circolare impunemente. Così Gregorio XVI nell’Enciclica Mirari vos del 15 agosto 1832 colpì con parole durissime quelle teoriche che già venivano diffondendosi e secondo le quali non è necessario operare una scelta in materia di religione: è diritto di ciascuno professare qualsiasi fede gli aggradi; per ciascuno il solo giudice è la coscienza; inoltre è lecito proclamare qualsiasi opinione, e ordire rivolte contro lo Stato. Circa la separazione della Chiesa dallo Stato lo stesso Pontefice così si esprimeva: "Né più lieti successi potremmo presagire per la Religione e il Principato dai voti di coloro che vorrebbero vedere separata la Chiesa dal Regno, e troncata la mutua concordia dell’Impero col Sacerdozio. È troppo chiaro che dai sostenitori di una impudentissima libertà si teme quella concordia che fu sempre fausta e salutare al governo sacro e a quello civile".

Non diversamente Pio IX, ogni volta che ne ebbe l’occasione, annotò molte false teorie che riscuotevano maggior credito, e in un secondo tempo ordinò che esse venissero raccolte tutte insieme, affinché nel dilagare di tanti errori i cattolici avessero una guida sicura .

Dalle citate dichiarazioni dei Pontefici è dunque necessario dedurre che l’origine della potestà civile è in Dio, non nel popolo; che la libertà di ribellione contrasta con la logica; che il non tenere in alcun conto i doveri religiosi, o essere indifferenti alle varie forme di culto, non è lecito né ai singoli individui né agli Stati: che la smodata libertà di pensiero e di espressione non può annoverarsi tra i diritti dei cittadini né in alcun modo tra i privilegi degni di tutela e di protezione. Similmente si deve ritenere che la Chiesa sia una società perfetta nella sua peculiare natura e nel suo assetto giuridico non meno di quella civile, e che al potere statale non deve essere consentito di sottomettere e subordinare a se stesso la Chiesa, o di limitarne l’azione, o di sottrarle uno qualsiasi degli altri diritti che da Gesù Cristo le sono stati conferiti. Nelle questioni di diritto misto, ciò che si conforma alla natura e al disegno divino non è la separazione di un potere dall’altro, e molto meno il conflitto tra loro, ma una piena concordia, coerente con le finalità che sono all’origine di entrambe le società.

Sono queste dunque le norme fissate dalla Chiesa cattolica circa la costituzione e il governo degli Stati. Nondimeno, se si vuole giudicare con obiettività, con tali prescrizioni e decreti non s’intende condannare alcuna delle varie forme di governo, quando esse non abbiano in sé nulla che ripugni alla dottrina cattolica e possano, se applicate con saggezza ed equità, dare un ottimo e stabile assetto alla società. Anzi, non s’intende condannare in sé neppure il fatto che il popolo partecipi, in maggiore o minore misura, alla vita pubblica: il che può rappresentare in certe circostanze e con precise leggi, non solo un vantaggio ma anche un dovere civile. Ancora, non v’è neppure valido motivo per accusare la Chiesa di essere restia più del giusto ad una benevola tolleranza, o nemica di un’autentica e legittima libertà. In realtà, se la Chiesa giudica che non sia lecito concedere ai vari culti religiosi la stessa condizione giuridica che compete alla vera religione, pure non condanna quei governi che, per qualche grave situazione, mirando o ad ottenere un bene, o ad impedire un male, tollerino di fatto diversi culti nel loro Stato.

Così pure la Chiesa vuole assolutamente evitare che chiunque sia costretto, suo malgrado, ad abbracciare la fede cattolica, perché, come saggiamente ammonisce Agostino, "l’uomo non può credere se non spontaneamente" . Similmente la Chiesa non può consentire quella libertà che induce al disprezzo delle leggi santissime di Dio e sopprime la doverosa obbedienza all’autorità legittima. Infatti, questa è piuttosto licenza che libertà; e felicemente viene definita da Agostino "libertà di perdizione" ; dall’Apostolo Pietro "velo di malizia" (1Pt 2,16); anzi, essendo irrazionale, diviene vera schiavitù; "poiché chi fa peccato è schiavo del peccato" (Gv 8,34). Al contrario, la libertà autentica e desiderabile è quella che, nella sfera privata, non permette all’individuo di essere schiavo degli errori e delle passioni, terribili padroni, e che nella sfera pubblica governa saggiamente i cittadini, offre loro con larghezza le opportunità per migliorare la propria condizione, difende lo Stato dalle sopraffazioni altrui. La Chiesa, più di chiunque altro, approva questa libertà onesta e degna dell’uomo, né ha mai cessato di adoperarsi e di lottare perché ai popoli fosse garantita salda e integra. E veramente la storia dei secoli passati testimonia come tutto ciò che più giova alla difesa della società civile, tutti i mezzi più efficaci a difendere il popolo dal dispotismo dei Principi, ad impedire che lo Stato si intrometta pesantemente nelle amministrazioni municipali e della famiglia, tutte le leggi più utili a salvaguardare la dignità, il rispetto della persona, l’uguaglianza dei diritti dei singoli cittadini, tutto ciò è sempre stato voluto, o favorito, o tutelato dalla Chiesa cattolica. Essa dunque, con perfetta coerenza, se da una parte respinge una libertà smodata, che degenera in licenza o in schiavitù sia per i singoli che per la collettività, dall’altra guarda con favore e accoglie volentieri i progressi che il tempo arreca, se veramente giovano alla felicità di questa vita, la quale è come un percorso che conduce all’altra della durata eterna.

Ciò che si va dicendo, dunque, che la Chiesa sia ostile alle più recenti costituzioni civili, e che rifiuti tutti indistintamente i ritrovati della scienza contemporanea, non è che una vana e meschina calunnia. Certamente essa ripudia le teorie malsane: disapprova le nefaste smanie rivoluzionarie e segnatamente quella disposizione d’animo nella quale si può cogliere l’inizio di un volontario allontanamento da Dio; ma poiché tutto ciò che è vero proviene necessariamente da Dio, così ogni particella di vero che sia scoperta durante la ricerca è riconosciuta dalla Chiesa come impronta della mente divina. E poiché non può esistere alcuna verità naturale che possa ridurre la credibilità delle dottrine rivelate, mentre molte altre l’accrescono, ed ogni scoperta di nuove verità può indurre a conoscere e a lodare Dio, così la Chiesa accoglierà sempre con gioia e diletto qualsiasi progresso giunga ad allargare i confini della scienza, e con l’usato fervore promuoverà e favorirà, come le altre discipline, anche quelle che hanno per oggetto la spiegazione dei fenomeni naturali. A proposito di questi studi, la Chiesa non avversa le nuove invenzioni: non si dispiace che altre se ne ritrovino, in grado di rendere migliore e più piacevole l’esistenza; anzi, nemica dell’ozio e dell’inerzia, si compiace assai che l’ingegno umano, mediante l’esercizio e la cultura, produca i frutti più copiosi; incoraggia ogni specie di arti e di mestieri: e mentre con la sua virtù indirizza tutte queste occupazioni a scopi onesti e benèfici, si adopera ad impedire che l’uomo a seguito dello studio e del lavoro, perda di vista Dio e i beni terreni.

Ma le osservazioni esposte, sebbene tanto ragionevoli e sagge, incontrano scarso favore ai nostri giorni, in quanto le società non solo rifiutano di far riferimento al modello della sapienza cristiana, ma anzi sembrano volersene vieppiù allontanare ogni giorno. Nondimeno, poiché la verità, una volta messa in luce, suole espandersi naturalmente per ogni dove e insinuarsi gradualmente nell’intelletto umano, così Noi, mossi dalla consapevolezza del supremo e sacrosanto ufficio, cioè dalla missione Apostolica che esercitiamo su tutte le genti, proclamiamo, com’è Nostro dovere, la verità; non perché non abbiamo ben presenti le tendenze del nostro tempo, o giudichiamo che si debbano rifiutare gli onesti e utili progressi dell’età nostra, ma perché vorremmo più sicuro dalle insidie il cammino delle società e più solide le loro fondamenta, e ciò senza minare la genuina libertà dei popoli: tra gli uomini, infatti, madre e sicura custode della libertà è la verità: "La verità vi renderà liberi" (Gv 8,32).

Pertanto, se in così difficili frangenti i cattolici daranno ascolto, com’è loro dovere, alle Nostre parole, si renderanno chiaramente conto di quali siano i compiti di ciascuno, sia nel campo delle idee, sia in quello delle azioni. Riguardo alle idee, è necessario tenere saldi nella mente, con intima adesione, tutti gli insegnamenti passati e futuri dei romani Pontefici, nonché essere pronti a professarli apertamente ogni volta che appaia opportuno. E particolarmente riguardo a quelle cosiddette libertà alle quali si aspira nei tempi più recenti, conviene che ciascuno si attenga al giudizio della Sede Apostolica e che pensi in totale accordo con essa. Occorre stare attenti a non farsi trarre in inganno dalla loro apparente onestà, tener presente da quali premesse traggono origine e da quali confuse passioni sono rinvigorite e alimentate. Ormai si sa abbastanza, per esperienza, quali effetti esse abbiano sulla società, poiché esse hanno ovunque prodotto frutti, dei quali i saggi e gli onesti a ragione si rammaricano.

Nel caso che esista realmente da qualche parte, o si immagini, una comunità nella quale il nome cristiano sia perseguitato con leggi proterve e tiranniche, se ad essa si paragona il moderno sistema di governo di cui parliamo, questo potrà risultare più tollerabile. Tuttavia i principi su cui si fonda sono certamente di per sé, come abbiamo detto, tali da non meritare che riprovazione.

Quanto all’azione, essa può interessare la sfera privata e domestica, oppure la sfera pubblica. Nell’ambito individuale il primo dovere è di conformare la vita e la condotta, col massimo scrupolo, ai precetti evangelici, senza sottrarvisi nemmeno quando la virtù cristiana esiga qualche più arduo esercizio di pazienza e di sopportazione. Si deve inoltre amare la Chiesa come una madre comune; osservarne fedelmente le leggi, averne a cuore l’onore, e salvaguardarne i diritti; adoperarsi perché sia amata e rispettata con pari devozione da coloro sui quali ci si trovi ad esercitare qualche forma di autorità. È inoltre di pubblico interesse che il singolo dia un saggio contributo all’amministrazione cittadina, e in particolare si adoperi a far sì che la comunità provveda all’educazione religiosa e morale degli adolescenti nel modo più consono ai principi cristiani: condizione dalla quale dipende in gran parte il benessere delle singole comunità. Allo stesso modo, è generalmente utile e opportuno che la partecipazione dei cattolici si estenda da questo campo più ristretto fino a comprendere il più vasto ambito dello Stato. Diciamo generalmente, perché questi Nostri insegnamenti si rivolgono a tutti i popoli. Ora può accadere in qualche luogo che, per cause molto gravi e fondate, non sia affatto conveniente prendere parte alla vita pubblica e assumere incarichi politici. Ma generalmente, come abbiamo detto, l’astenersi del tutto dal partecipare alla vita politica sarebbe altrettanto colpevole quanto negare il proprio contributo operoso al bene comune: tanto più in quanto i cattolici, proprio in ragione della dottrina che professano, sono impegnati ad agire con particolare scrupolo e integrità. Per contro, se essi si tengono in disparte, prenderanno facilmente il potere uomini, le cui opinioni danno ben poco affidamento di poter giovare allo Stato. E ciò sarebbe dannoso anche per la religione, poiché acquisterebbero moltissimo potere coloro che osteggiano la Chiesa, pochissimo quelli che l’amano. È quindi evidente come i cattolici abbiano validi motivi per prendere parte alla vita politica: essi non lo fanno né lo debbono fare per assecondare quanto vi è di riprovevole nei metodi di governo attuali, ma per rivolgere questi stessi metodi, ogni volta che sia possibile, al vero e autentico bene pubblico, con il proposito di infondere in tutte le vene del corpo sociale, come linfa e sangue donatore di vita, la sapienza e la forza benefica della religione cattolica. Non diversamente accadde nei primi secoli dell’era cristiana. I principi e lo spirito dei popoli pagani erano allora quanto mai lontani dallo spirito e dai principi evangelici; tuttavia era dato vedere i cristiani, in mezzo alla superstizione, incorrotti e sempre coerenti con se stessi, introdursi animosamente ovunque intravedessero un varco. Esempio di fedeltà ai principi, obbedienti all’imperio delle leggi fino a che ciò non fosse in contrasto con la legge divina, diffondevano in ogni luogo un mirabile splendore di santità; si impegnavano ad aiutare i fratelli, a convertire tutti gli altri alla sapienza di Cristo, pronti tuttavia a ritirarsi e ad affrontare intrepidamente la morte, qualora non fosse stato loro possibile conservare gli onori, le magistrature e i comandi senza venir meno alla virtù. In tal modo fecero sì che il cristianesimo penetrasse rapidamente non solo nelle famiglie, ma anche nell’esercito, nel Senato e nello stesso palazzo imperiale. "Siamo nati ieri, ed abbiamo riempito ogni vostro luogo, città, isole, castelli, municipi, assemblee, gli stessi accampamenti, le tribù, le decurie, il palazzo, il Senato, il foro" , sicché la fede cristiana, quando la legge consentì la pubblica professione del Vangelo, apparve non come creatura ai primi vagiti e in culla, ma adulta e già sicura in un considerevole numero di città.

Ora, veramente, i nostri tempi richiedono che tali esempi dei nostri padri siano riproposti. I cattolici, quanti sono degni di questo nome, devono anzitutto essere e manifestarsi apertamente figli amorosissimi della Chiesa, respingere senza esitazione tutto ciò che non possa conciliarsi con tale professione, servirsi delle istituzioni pubbliche, ogni volta che possano onestamente farlo, a difesa della verità e della giustizia, adoperarsi perché la libertà d’agire non travalichi i limiti stabiliti dalle leggi di natura e divine, contribuire a far sì che tutta la società si uniformi a quel modello e a quell’ideale cristiano che abbiamo descritto. Non è facile indicare un metodo certo e valido universalmente per realizzare tali propositi, dovendo esso adeguarsi a circostanze di tempo e di luogo che sono assai diverse tra loro. Nondimeno si dovrà anzitutto aver cura di conservare la concordia nelle volontà e l’uniformità nell’azione. L’una e l’altra si potranno pienamente raggiungere, se ciascuno si proporrà come norma di vita le prescrizioni della Sede Apostolica e se asseconderà i Vescovi, che "lo Spirito Santo pose a reggere la Chiesa di Dio" (At 20,28). La difesa poi del nome cattolico postula la necessità che, nel professare le dottrine tramandate dalla Chiesa, siano in tutti un solo sentire e un’incrollabile fermezza; su questo fronte occorre guardarsi dall’essere in alcun modo conniventi con le false opinioni, o dal resistere ad esse più debolmente di quanto non richieda la verità. Riguardo alle teorie opinabili, si potrà disputare con moderazione e con l’intento di ricercare la verità, evitando peraltro i sospetti ingiuriosi e le reciproche denigrazioni. A questo proposito, affinché accuse sconsiderate non mettano in forse la concordia degli animi, tutti tengano a mente alcuni punti fermi: che l’integrità della professione cattolica non può in alcun modo conciliarsi con opinioni che si aprano al Naturalismo o al Razionalismo, il cui intento è sostanzialmente quello di distruggere dalle fondamenta la concezione cristiana e di stabilire nella società il primato dell’uomo, dopo aver scalzato quello di Dio. Parimenti non è lecito tenere in privato una linea di condotta e in pubblico un’altra, cioè riconoscere l’autorità della Chiesa nella vita privata e sconfessarla in pubblico. Ciò significherebbe coniugare cose turpi e oneste, e accendere nell’uomo un conflitto interiore, mentre è doveroso essere sempre coerenti con se stessi e non allontanarsi mai, in alcuna situazione o scelta di vita, dalla virtù cristiana.

Quando poi ci si interroghi su questioni meramente politiche, quali la miglior forma di governo, oppure i diversi sistemi amministrativi, su simili temi può senz’altro esservi legittima discordanza di opinioni. A coloro dunque di cui siano ben note altrimenti la fede e la propensione ad accogliere devotamente i decreti della Sede Apostolica, non sarebbe giusto muovere accuse per un’opinione discorde sugli argomenti testé accennati; e ancor più ingiusto sarebbe accusarli di lesa o dubbia fede cattolica, com’è accaduto, con Nostro rammarico, più di una volta. Queste raccomandazioni siano tenute bene in mente da coloro che usano affidare ai libri le loro idee e soprattutto dai giornalisti. Nell’attuale conflitto su argomenti di capitale importanza, non v’è posto per discordie intestine o per passioni di parte, ma tutti devono, con unanimità e fervore d’intenti, cooperare a quello che è il proposito comune, cioè agire per la salvezza della religione e dello Stato. Se dunque vi fu qualche dissidio nel passato, occorre sforzarsi di cancellarlo con l’oblio; se vi fu qualche leggerezza, qualche sopruso, a chiunque sia da ascrivere la colpa, si dovrà riparare con la mutua carità, e riscattare con un particolare atto di ossequio da parte di tutti verso la Sede Apostolica. Per questa via i cattolici conseguiranno due preziosi risultati: quello di collaborare con la Chiesa nella salvaguardia e nella diffusione della sapienza cristiana, e quello di esercitare un’azione grandemente benefica sulla società civile, la cui salute è esposta a grave pericolo a causa di dottrine e passioni malvagie.

Ecco, Venerabili Fratelli, quanto abbiamo ritenuto di affidare alla riflessione delle genti cattoliche intorno alla costituzione cristiana delle società, e ai doveri dei singoli cittadini.

Quanto al resto, dobbiamo invocare con ardenti preghiere l’aiuto celeste, e pregare Dio che conduca Egli stesso a felice compimento i Nostri voti e i Nostri sforzi tesi alla sua gloria e alla comune salvezza del genere umano, Egli che può illuminare la mente e dar forza alla volontà degli uomini. Come auspicio dei doni divini e prova della Nostra paterna benevolenza, impartiamo affettuosamente a voi, Venerabili Fratelli, al Clero e a tutto il popolo affidato alle vostre vigili cure nel nome del Signore, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 1° novembre 1885, anno ottavo del Nostro Pontificato.

LEONE PP. XIII

 

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