mons. Bernard Fellay

 

di Mons. Bernard Fellay

Cari amici e benefattori,

cinquecento anni fa Martin Lutero si ribellò contro la Chiesa, attirando al suo séguito circa un terzo dell’Europa: si tratta, probabilmente, dopo lo scisma orientale del 1054, della defezione più cospicua che la Chiesa cattolica abbia mai conosciuto nel corso della sua storia. Milioni di anime sono rimaste così senza i mezzi necessari alla salvezza, perché sono state allontanate non da una organizzazione religiosa fra le altre, ma dall’unica Chiesa fondata da Nostro Signore Gesù Cristo,

                   della quale si è negato il carattere soprannaturale e la necessità per la salvezza. Lutero ha completamente snaturato la fede, rigettandone i dogmi fondamentali, che sono il Santo Sacrificio della Messa, la Presenza reale nell’Eucaristia, il sacerdozio, il papato, la grazia e la giustificazione.

Alla base del suo pensiero – che è ancora oggi, a livello generale, quello del protestantesimo – c’è il principio del libero esame. Questo principio equivale a negare la necessità di un’autorità soprannaturale e infallibile che possa imporsi sui giudizi particolari e dire l’ultima parola nei dibattiti tra coloro che ha per missione di guidare nel cammino verso il Cielo. Tale principio, che il protestantesimo rivendica risolutamente, rende l’atto di fede soprannaturale né più né meno impossibile, perché quest’ultimo si fonda sulla sottomissione dell’intelligenza e della volontà umane alla Verità rivelata da Dio e insegnata con autorità dalla Chiesa.

Quando assurge a principio, il libero esame non solo rende inaccessibile la fede soprannaturale (che è la via della salvezza: «Chi non crederà sarà condannato», Mc 16,16), ma rende anche impossibile l’unità nella Verità: ha quindi precluso ai protestanti, almeno in via di principio, l’accesso alla salvezza eterna e l’unità nella Verità. E, di fatto, il proliferare di sette protestanti dal XVI secolo ad oggi non ha fatto che aumentare.

Di fronte ad uno scenario così desolante, come non capire gli sforzi profusi con spirito materno dalla vera Chiesa di Cristo per andare alla ricerca della pecorella smarrita, come non salutare in termini encomiastici i suoi innumerevoli tentativi di liberare, in spirito apostolico, tutte le anime impantanate in questo principio fallace che preclude loro l’accesso alla vita eterna? La premura della Chiesa per il ritorno all’unità della vera fede e della vera Chiesa è visibile lungo tutti i secoli. Non è cosa nuova; si pensi, ad esempio, alla preghiera del Venerdì santo:

Preghiamo per gli eretici e gli scismatici, affinché il Signore nostro Dio li liberi da tutti gli errori e li riconduca alla santa madre Chiesa cattolica e apostolica.

Dio onnipotente ed eterno, che salvi tutti gli uomini e non vuoi che muoia nessuno di essi, rivolgi lo sguardo alle anime fuorviate dagli inganni del demonio, affinché, deposta via la malvagità dell’eresia, i cuori di coloro che sono nell’errore si pentano e ritornino all’unità della Tua verità. Per Gesù Cristo Nostro Signore.

Il linguaggio tradizionale non lascia spazio alcuno alla confusione oggi tanto diffusa in nome di un falso ecumenismo. I giusti moniti della Congregazione del Sant’Uffizio del 1949, che facevano eco ai numerosi documenti pontifici sull’argomento (il più importante dei quali è senz’altro l’enciclica Mortalium animos di Pio XI del 1928), sembrano ormai lettera morta. Eppure i pericoli di un simile irenismo ecumenico, denunciati da Pio XII in Humani generis (1950), sono immensi e molto gravi, poiché esso dissuade dal convertirsi al cattolicesimo. Quale protestante, vedendo lodare le «ricchezze» e le «venerabili tradizioni» della Riforma di Lutero, proverà mai il bisogno di convertirsi? E, d’altronde, quando si tratta di altre confessioni cristiane il termine stesso di «conversione» è ormai scomparso dal lessico cattolico ufficiale.

Questa nuova attitudine fatta di lodi per il protestantesimo e di mea culpa per il cattolicesimo, inoltre, causa in numerosi cattolici – è giocoforza constatarlo – la perdita della fede. Tutti i sondaggi nei quali si pongono ai cattolici domande sulla loro fede mostrano i disastri provocati da questo inaudito avvicinamento al protestantesimo. Quanti sono i cattolici che, nel XXI secolo, professano come cose vere gli errori che la Chiesa, raggruppandoli sotto il nome di indifferentismo, condannava fino al Concilio! Errori funesti, secondo cui tutti si salvano a prescindere dalla religione a cui appartengono. Errori funesti che si oppongono in modo frontale all’insegnamento di Nostro Signore stesso e, al suo séguito, di tutta la Chiesa. E tuttavia, quando si denuncia questo errore che si oppone alla fede bimillenaria della Chiesa, si è tacciati subito di fanatismo o di essere pericolosi estremisti.

È appunto in nome di un siffatto ecumenismo che è stata inventata la nuova liturgia, che è talmente vicina alla Cena protestante che diversi teologi protestanti, come Max Thurian di Taizé, hanno potuto affermare la possibilità, per i loro correligionari, di utilizzare il nuovo messale cattolico per celebrarla. E, nel frattempo, i figli della Chiesa cattolica si vedevano privati dei più bei tesori della lode divina e della grazia. Grazie a Dio Benedetto XVI ha dichiarato, con grande coraggio, che la liturgia plurisecolare della Chiesa non era mai stata abrogata; per oltre quarant’anni, però, e nel mondo intero, la riforma liturgica postconciliare ha allontanato milioni di fedeli dalle chiese, giacché in esse non trovavano più quello che si aspettavano dalla Chiesa cattolica.

Come stupirsi, allora, che l’ecumenismo, che in teoria si vorrebbe promotore dell’unità dei cristiani, non faccia compiere in realtà alcun reale progresso?

Mons. Lefebvre ha denunciato, fin dal Concilio, questo nuovo modo di procedere con i protestanti che si celava sotto il nome di ecumenismo. Il significato di questo termine, in effetti, è molto flessibile ed esprime, in generale, un nuovo modo di pensare e di agire introdotto al tempo del Vaticano II. Si tratta di un’ostentata benevolenza nei confronti di tutti gli uomini, della ferma intenzione di non condannare più l’errore, della ricerca, in ogni cosa, di «ciò che ci unisce» piuttosto che ciò che ci divide… E quello che non avrebbe dovuto essere altro che – nel quadro di una sorta di captatio benevolentiæ – il primo passo di un processo verso l’unità si è trasformato, in breve tempo, esclusivamente nella ricerca di «ciò che ci unisce» finalizzata non a qualcos’altro, bensì fine a sé stessa, in un continuo mettersi in discussione e in cerca di una verità senza contorni definiti. In questo modo si è perso di vista il suo fine oggettivo, cioè il ritorno all’unità della Chiesa da parte di chi l’ha perduta. Ed è così che il senso della parola «ecumenismo» è stato cambiato, anzi sono stati cambiati il concetto stesso di «unità» e i mezzi per pervenirvi.

Alla tradizionale chiarezza di una Chiesa che è consapevole di essere la sola vera e lo proclama chiaro e tondo si è sostituita una dottrina nuova e dai confini incerti, mista di un autodenigratorio meaculpismo e di relativismo postmoderno (come quando si dice: «la Chiesa cattolica non ha tutta la verità»), e ciò conduce oggi la maggior parte dei cattolici a non credere più al fatto che c’è un’unica via di salvezza; verità che però, volenti o nolenti, ci è stata trasmessa da Gesù stesso: «Io sono la via, la verità e la vita; nessuno va al Padre se non attraverso di me» (Gv 14,6).

Si è surrettiziamente cambiato il senso del dogma extra Ecclesiam nulla salus attraverso concetti ambigui, fino a stemperare l’affermazione dell’identità tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica. Il cardinale Walter Kasper, allora presidente del Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ebbe a dire che è stata la nuova definizione della Chiesa (il famoso subsistit in) a rendere possibile l’ecumenismo che si è praticato a partire dal Concilio. Una simile ammissione, provenendo da un’autorità di tale peso nella gerarchia, non è da sottovalutare.

Ecco, in sintesi, perché noi non possiamo celebrare con gioia il cinquecentesimo anniversario della Riforma protestante, che anzi, al contrario, deploriamo profondamente come una terribile separazione. Sulla scorta di Nostro Signore, invece, preghiamo e operiamo perché le pecorelle smarrite ritrovino il cammino che le potrà condurre in modo sicuro alla salvezza, cioè quello della santa Chiesa apostolica e romana.

Preghiamo anche perché si abbandoni quanto prima questo irenismo illusorio e perché risorga al suo posto un vero movimento di conversione, come c’era, in particolare nei paesi anglofoni, prima del Concilio.

E, per concludere, in questo centenario delle apparizioni della Madonna ai tre pastorelli di Fatima, preghiamo parimenti perché gli appelli della Vergine siano ascoltati. Maria ha promesso che, quando il Papa la consacrerà esplicitamente al suo Cuore Immacolato, la Russia si convertirà. Intensifichiamo le nostre preghiere e i nostri sacrifici, affinché la promessa della Madre del Salvatore divenga presto realtà.

Che la Madonna con il suo divin Figlio – cum prole pia – vi benedica in questo tempo pasquale e ci conduca tutti alla beatitudine eterna.

Nella Domenica di Pasqua 2017,

+Bernard Fellay

 

Fonte: DICI

 

 

 

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