di Mons. Bernard Fellay

Cari Amici e Benefattori,

queste ultime settimane ci mostrano – con il moltiplicarsi di attentati in Europa e in Africa, con la sanguinosa persecuzione di numerosi cristiani in Medio Oriente – come la situazione nel mondo sia profondamente sconvolta. Nella Chiesa, il recente sinodo sulla famiglia e la prossima apertura dell’Anno santo non mancano di sollevare legittime inquietudini. Di fronte ad una tale confusione, ci è sembrato utile mettervi a parte delle nostre riflessioni rispondendo alle vostre domande. Pensiamo che questa spiegazione permetterà di meglio evidenziare come noi che siamo legati alla Tradizione dobbiamo reagire ai problemi che oggi si pongono.

 

Il 1° settembre Papa Francesco ha dato per sua decisione personale la possibilità a tutti i fedeli di confessarsi dai sacerdoti della Fraternità San Pio X, durante l’Anno santo. Come interpretate questo gesto? Che cosa porta di nuovo alla Fraternità?

In effetti siamo stati sorpresi da questa decisione del Santo Padre in occasione dell’Anno santo, per il fatto che l’abbiamo appreso, come tutti, dalla stampa. Dunque, come noi intendiamo questo gesto? Permettetemi di ricorrere ad una similitudine. Quando un incendio infuria, tutti capiscono che coloro che ne hanno i mezzi devono sforzarsi di spegnere l’incendio, soprattutto se mancano i pompieri. È su questo che i sacerdoti della Fraternità durante tutti i 50 anni della terribile crisi che scuote la Chiesa senza interruzione, e soprattutto di fronte alla tragica mancanza di confessori, che i nostri sacerdoti si sono prodigati per le anime dei penitenti, appoggiandosi al caso di urgenza previsto dal Codice di Diritto canonico.

L’atto del Papa fa sì che durante l’Anno Santo godremo di una giurisdizione ordinaria. Nel mio esempio, questo corrisponde a conferirci il distintivo ufficiale di pompieri, mentre ci è stato contestato per decenni. In sé, per la Fraternità, per i suoi membri e i suoi fedeli questo non aggiunge nulla di nuovo, senonché questa giurisdizione ordinaria rassicurerà gli inquieti e tutti coloro che finora non osavano avvicinarsi a noi. Infatti, come abbiamo detto nel comunicato in cui ringraziavamo il Papa, i sacerdoti della Fraternità non si augurano che una cosa: “esercitare con rinnovata generosità il loro ministero al confessionale, seguendo l’esempio di dedizione infaticabile che il Santo Curato d’Ars ha dato a tutti i sacerdoti”.

In occasione del sinodo sulla famiglia avete indirizzato una supplica al Santo Padre, poi una dichiarazione. Perché?

La finalità della nostra supplica era di esporre al Sommo Pontefice nel miglior modo possibile la gravità dell’ora presente e la portata decisiva del suo intervento in materie morali così importanti. Papa Francesco ne ha preso conoscenza il 18 settembre, prima della sua partenza per Cuba e per gli Stati Uniti, e ci ha fatto sapere che non avrebbe cambiato nulla della dottrina cattolica sul matrimonio, in particolare sull’indissolubilità. Ma quello che noi temiamo è che, concretamente, si instauri una pratica che prenda gioco di questa indissolubilità del legame matrimoniale. Ed è quello che è successo, da una parte con il Motu proprio di riforma della procedura di dichiarazione di nullità del matrimonio, dall’altra con il documento finale di questo sinodo. Da qui la mia dichiarazione che intendeva richiamare l’insegnamento costante della Chiesa su un gran numero di punti che sono stati discussi e talvolta rimessi in discussione durante il mese di ottobre. Non vi nascondo che il triste spettacolo che il sinodo può aver dato mi è sembrato particolarmente vergognoso e scandaloso per più motivi.

Quali sono questi punti vergognosi e scandalosi?

Beh, per esempio questa dicotomia tra la dottrina e la morale, tra l’insegnamento della verità e la tolleranza per il peccato e per le situazioni più immorali. Che si sia pazienti e misericordiosi con i peccatori, va da sé, ma come si convertiranno, se la situazione di peccato non è denunciata, se non sentono più parlare dello stato di grazia e del suo contrario: lo stato di peccato mortale, che fa affondare l’anima in una morte spirituale, che la vota ai tormenti dell’inferno? Se si misurasse l’offesa infinita che il minimo peccato grave causa contro l’onore di Dio e la Sua santità, si morirebbe di spavento. La Chiesa deve condannare risolutamente il peccato, tutti i peccati, i vizi e gli errori che corrompono la verità del Vangelo. Essa non deve venire a patti o manifestare una colpevole comprensione per dei comportamenti scandalosi, per i pubblici peccatori che attentano alla santità del matrimonio. Perché la Chiesa non ha più il coraggio di parlare così?

Tuttavia ci sono state iniziative positive in occasione di questo sinodo, come il libro di undici cardinali – dopo quello di cinque cardinali l’anno scorso –, nonché il lavoro dei prelati africani, quello dei giuristi cattolici, il vade-mecum di tre vescovi…

Le felici iniziative che sono apparse di recente in favore della difesa del matrimonio e della famiglia cristiana danno un barlume di speranza. C’è una reazione salutare, anche se non è tutto dello stesso valore. Speriamo che questo sia l’inizio di un risveglio in tutta la Chiesa che conduca ad un raddrizzamento e ad una conversione profonda.

Prima dell’estate, in una omelia a Saint Nicolas du Chardonnet, a Parigi, Mons. de Galarreta diceva che la Chiesa parrebbe cominciare a fabbricare degli “anticorpi” contro le proposizioni aberranti che fanno i progressisti riguardo al matrimonio, i quali si allineano sugli attuali costumi piuttosto che cercare di raddrizzarli secondo l’insegnamento del Vangelo. Questa reazione sul piano morale è benefica. E poiché la morale è intimamente legata alla dottrina, questo potrebbe essere l’inizio del ritorno della Chiesa alla sua Tradizione. È l’oggetto delle nostre preghiere quotidiane!

È in nome della misericordia che alcuni, come il cardinal Kasper, vogliono se non cambiare la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio, perlomeno ammorbidirne la disciplina sulla comunione dei divorziati risposati, o modificarne il giudizio sulle unioni contro natura. Che cosa bisogna pensare di tutte queste eccezioni cosiddette pastorali?

La Chiesa può legiferare, ossia stabilire proprie leggi, che non sono che precisazioni della legge divina. Ma nel campo del matrimonio, di cui oggi si discute, Nostro Signore ha già risolto la questione in modo chiaro e netto: “L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha unito” (Mt. 19, 6), e subito dopo: “Colui che sposa una donna ripudiata, commette adulterio” (Mt. 19, 9). Dunque la Chiesa non ha che una cosa da fare, richiamare la legge divina e consacrarla nelle sue leggi ecclesiastiche. In nessun caso essa può permettersi una qualsiasi divergenza: sarebbe venir meno alla sua missione, che è di trasmettere il deposito rivelato. Quindi, nella presente questione, la Chiesa non può se non constatare che non c’era matrimonio fin dall’inizio, ma essa non potrebbe rendere nullo o sciogliere un matrimonio in sé valido.

Certamente le leggi ecclesiastiche possono aggiungere condizioni necessarie alla validità di un matrimonio, ma sempre in conformità con la legge divina. Così la Chiesa potrà dichiarare invalido un matrimonio per difetto di forma canonica, ma non sarà mai padrona della legge divina, alla quale è sottomessa. Bisogna affermare che, a differenza della legge umana ed ecclesiastica, la legge divina non conosce eccezioni, poiché essa non è fatta da uomini che non possono prevedere tutti i casi e sono tenuti a lasciare spazio a delle eccezioni. Dio, Sapienza infinita, ha previsto tutte le situazioni, come ho scritto nella supplica al Papa: “La legge di Dio, espressione della sua eterna carità per gli uomini, costituisce per se stessa la suprema misericordia per tutti i tempi, tutte le persone e tutte le situazioni”.

Il Motu proprio dell’8 settembre che semplifica la procedura delle dichiarazioni di nullità dei matrimoni non è questo un modo di rammentare il principio dell’indissolubilità del matrimonio, offrendo nello stesso tempo delle facilitazioni canoniche per sottrarvisi?

Il nuovo Motu proprio che regola le disposizioni canoniche concernenti i processi di nullità vuole certamente rispondere ad un grave problema attuale: quello delle numerosissime famiglie spezzate da una separazione. Che si esamini questi casi per proporre una soluzione più rapida, nella misura in cui essa è conforme alla legge divina sul matrimonio, benissimo! Ma nel contesto attuale, quello della società moderna, secolarizzata ed edonista, e quello dei tribunali ecclesiastici in cui già si pratica ciò che non è lecito, questo Motu proprio rischia fortemente di diventare una ratifica legale del disordine. Il risultato potrebbe essere molto peggiore del rimedio prescritto. Temo fortemente che uno dei punti chiave del sinodo sia stato risolto attraverso la “piccola porta”, quella che apre la via ad un preteso “divorzio cattolico” perché, nei fatti, ci si espone a molti abusi, soprattutto nei paesi dove gli episcopati sono poco attenti e conquistati al progressismo e al soggettivismo…

L’Anno santo che si deve aprire il prossimo 8 dicembre, non è forse messo sotto il segno di una misericordia in cui il pentimento e la conversione sarebbero assenti?

È vero che, nel clima attuale, il richiamo alla misericordia prende troppo facilmente il sopravvento sull’indispensabile conversione, che richiede la contrizione delle proprie colpe e l’orrore del peccato, offese fatte a Dio. È così che, come deploravo nell’ultima Lettera agli amici e benefattori (n° 84), il cardinale onduregno Maradiaga si fa portavoce compiaciuto di una nuova spiritualità in cui la misericordia è mozzata, mutilata di una necessaria penitenza che non è quasi mai richiamata.

Tuttavia, leggendo da vicino i differenti testi pubblicati riguardo all’Anno santo, e in modo particolare la bolla di indizione del Giubileo, si vede che il pensiero fondamentale della conversione e della contrizione per i peccati per ottenere il perdono è presente. Nonostante il riferimento a una misericordia equivoca che consisterebbe nel restituire all’uomo più la sua “incomparabile dignità” che lo stato di grazia, il Papa vuole favorire il ritorno di coloro che hanno lasciato la Chiesa, e moltiplica le iniziative concrete per facilitare il ricorso al sacramento della penitenza. Disgraziatamente, non si chiede perché così tanti hanno lasciato la Chiesa o hanno smesso di praticare, e se non ci sia un rapporto con un certo Concilio, il suo “culto dell’uomo” e le sue riforme catastrofiche: l’ecumenismo a briglie sciolte, la liturgia desacralizzata e protestantizzata, la rilassatezza della morale, ecc.

Allora, i fedeli legati alla Tradizione possono senza rischio di errore partecipare al Giubileo straordinario indetto dal Papa? Tanto più che questo Anno della misericordia vuole celebrare il 50esimo anniversario del Concilio Vaticano II che avrebbe abbattuto le “muraglie” che chiudevano la Chiesa…

Molto chiaramente si pone la questione della nostra partecipazione a questo Anno santo. Per risolverla, è necessaria una distinzione: le circostanze che richiedono un Anno santo o giubilare, e l’essenza di ciò che è un Anno santo.

Le circostanze sono storiche e legate ai grandi anniversari della vita di Gesù, in particolare alla sua morte redentrice. Ogni 50 anni o anche 25, la Chiesa istituisce un Anno santo. In questo caso, l’avvenimento di riferimento per l’apertura del Giubileo non è solamente la Redenzione - l’8 dicembre è necessariamente legato all’opera redentrice cominciata nell’Immacolata, Madre di Dio -, ma anche il concilio Vaticano II. Questo ci indigna e lo respingiamo con forza, perché non possiamo rallegrarci bensì piuttosto piangere sulle rovine causate da questo Concilio, con la caduta vertiginosa delle vocazioni, il calo drammatico della pratica religiosa, e soprattutto la perdita della fede definita “apostasia silenziosa” da Giovanni Paolo II stesso.

Tuttavia ciò che fa l’essenziale di un Anno santo, questo rimane: è un anno particolare in cui la Chiesa, per decisione del Sommo Pontefice che detiene il potere delle chiavi, apre a piene mani i suoi tesori di grazie per riavvicinare i fedeli a Dio, specialmente con il perdono delle colpe e la remissione della pena dovuta al peccato. La Chiesa fa questo per mezzo del sacramento della penitenza e per mezzo delle indulgenze. Quelle grazie non cambiano, esse sono sempre le stesse, e solo la Chiesa, Corpo mistico di Cristo, ne dispone. Si può ugualmente notare che le condizioni per ottenere le indulgenze dell’Anno santo sono sempre le stesse: confessione, comunione, preghiera secondo le intenzioni del Papa – intenzioni che sono tradizionali e non personali. Da nessuna parte nel richiamo di queste condizioni solite, si tratta di aderire alle novità conciliari.

Quando Mons. Lefebvre è andato con tutto il seminario di Ecône a Roma, all’epoca dell’Anno santo del 1975, non era per celebrare i 10 anni del Concilio, nonostante Paolo VI avesse ricordato questo anniversario nella bolla d’indizione. Ma quella fu l’occasione di professare la nostra romanità, il nostro attaccamento alla Santa Sede, al Papa che – come successore di Pietro – ha il potere delle chiavi. Sulle orme del nostro venerato fondatore, nel corso di questo Anno santo ci concentreremo su ciò che ne fa l’essenziale: la penitenza per ottenere la misericordia divina per la mediazione della sua unica Chiesa, nonostante le circostanze che si è creduto di dover invocare per celebrare questo Anno, come fu già il caso nel 1975, e ancora nel 2000.

Si potrebbero paragonare questi due elementi, l’essenziale e le circostanze, al contenuto e all’imballaggio che lo circonda. Sarebbe un danno rifiutare le grazie proprie di un Anno santo per il fatto che esso è presentato in un imballaggio difettoso, a meno di credere che questo imballaggio alteri il contenuto, che le circostanze assorbano l’essenziale, e a meno che, nel presente caso, la Chiesa non disponga più delle grazie proprie dell’Anno santo a causa dei guasti provocati dal Vaticano II. Ma la Chiesa non è nata 50 anni fa! E, per la grazia di Cristo che è “lo stesso ieri, oggi, sempre” (Eb. 13, 8), essa rimane e rimarrà, nonostante questo Concilio di apertura a un mondo in perpetuo cambiamento…

In diverse dichiarazioni recenti lei sembra volere anticipare, invitando a preparare fin d’ora il 100° anniversario di Fatima. Perché?

Nelle prospettive qui evocate e per insistere sull’urgenza della conversione abbiamo pensato di legare le buone opere di misericordia corporale e spirituale a cui siamo invitati quest’anno con il centenario delle apparizioni di Fatima, dove Nostra Signora ha tanto insistito sulla necessità della conversione, di se stessi e del mondo, sulla necessità delle opere di penitenza e sulla preghiera, specialmente il Rosario. L’implorazione della misericordia divina è strettamente legata alle apparizioni di Fatima: la Santa Vergine ci ha invitato a pregare e a fare penitenza: è così che otterremo misericordia, e non in altro modo. Mi sembra totalmente salutare collegare così questi due anni a venire facendo due anni di sforzi per riavvicinarsi tanto alla SS.ma Vergine Maria quanto a Nostro Signore, al Cuore Immacolato di Maria e al Sacro Cuore misericordioso.

La Fraternità San Pio X organizzerà un pellegrinaggio internazionale a Fatima il 19 e 20 agosto 2017. Ma fin d’ora possiamo e anzi dobbiamo prepararci, soprattutto quando la morale cattolica è gravemente ferita.

Più che mai, in questo 21 novembre che è per noi un grande anniversario, quello della Dichiarazione di Mons. Lefebvre del 1974 – vera carta del nostro combattimento per la Chiesa di sempre -, manteniamo in tutte le circostanze, e quali che siano le difficoltà, le prove, un atteggiamento cattolico. Abbiamo i pensieri della Chiesa, siamo fedeli a Nostro Signore, rimaniamo legati al suo Santo Sacrificio, ai suoi insegnamenti, si suoi esempi. Leggevo ieri che il cardinal Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, temeva una “protestantizzazione della Chiesa”. Ha ragione. Ma che cos’è la nuova messa, se non una protestantizzazione della messa di sempre? E che cosa pensare del Papa che, come i suoi predecessori, si reca in un tempio luterano? Quando si vede come si prepara il 55° anniversario della riforma protestante, nel 2017, come è ormai acclamata la figura di Lutero, lui che fu uno dei più grandi eresiarchi e scismatici della storia, ferocemente oppostosi alla Chiesa cattolica e romana, c’è di che smarrirsi. Veramente Mons. Lefebvre vedeva giusto quando affermava che “il solo atteggiamento di fedeltà alla Chiesa e alla dottrina cattolica, per la nostra salvezza, è il rifiuto categorico di accettare la riforma”, perché tra la riforma intrapresa dal Vaticano II e quella di Lutero c’è più di un punto in comune. E, al suo seguito, noi ripetiamo che “senza alcuna rivolta, alcuna amarezza, alcun risentimento noi proseguiremo la nostra opera di formazione sacerdotale sotto la stella del magistero di sempre, persuasi che non possiamo fare un servizio più grande alla Santa Chiesa cattolica, al Sommo Pontefice e alle generazioni future”.

È ciò che voi capite assai bene, cari Amici e Benefattori della Fraternità San Pio X. Le vostre ferventi preghiere, la vostra generosità ammirabile e la vostra dedizione costante sono per noi un sostegno prezioso. Grazie a voi l’opera di Mons. Lefebvre si sviluppa ovunque. Con tutto il cuore, siatene ringraziati.

Preghiamo Nostra Signora di ottenervi tutte le grazie di cui avete bisogno. Domandiamo al Buon Dio di accordarvi le sue benedizioni per voi e per le vostre famiglie, affinché vi prepariate alla grande festa di Natale con un santo Avvento, e affidiate l’anno che viene, con le sue gioie e le sue croci, alla nostra Madre del Cielo.

Nella festa della Presentazione della Santa Vergine, 21 novembre 2015.

+ Bernard Fellay

Fonte: DICI