A mons. Ludovico Furian,

Amministratore diocesano

Mi accingo a scrivere queste poche righe per rendere ragione di una scelta che è scelta di coscienza, di fede, e soprattutto di coerenza con la chiamata di Nostro Signore al Sacerdozio e con l’ideale sacerdotale. Spesso a noi Sacerdoti viene chiesto se abbiamo incontrato Gesù; io oggi posso dire: “Sì! Io l’ho incontrato”. L’ho incontrato ai piedi di una croce che sovrastava un vecchio altare, mentre offrivo la Vittima Santa ed Immacolata, per i miei peccati, per coloro che assistevano a quella S. Messa, per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti. L’ho incontrato attraverso un rito liturgico, quello di sempre, quello che il Santo Padre vuole rivalorizzare malgrado mille ostacoli, che significa molto di più di una cerimonia esteriore: esso rende presente realmente il Calvario e il Sacrificio della Croce tra le mie mani, in modo misterioso ma chiaro mi fa essere e sentire unito a Cristo, soprattutto attraverso il desiderio di imitarlo come sacerdote, pastore e in qualche modo anche come vittima, offrendo le mie croci quotidiane in unione con Lui.
Celebrando il Santo Sacrificio il Signore stesso ha risvegliato in me un seme sopito, quasi soffocato da inconcludenti pastorali e da pindariche “svolte antropologiche”, il seme della chiamata Sua al Sacerdozio: “ti voglio per Me per la salvezza delle anime” è l’idea che scaturisce dal Santo Sacrificio della Messa, l’unico, la S. Messa di sempre. Per me oggi è incredibile ed insopportabile che la S. Messa, il cuore vivo e pulsante della Grazia nella Chiesa, venga sottoposta al vaglio di chi la giudica “noiosa”, che si senta l’esigenza di “riflettere su come valorizzarne i segni” in modo creativo, con chi della vita e del Sacrificio di Nostro Signore ha capito poco o nulla. D’altra parte mi rendo conto che questo problema è legato alla natura conviviale del Novus Ordo: la cena se non è coinvolgente, viva, emozionante, è invito sgradito; penso che il rischio concreto sia di costruire una celebrazione ed una Chiesa adolescenziali, mirate a “coinvolgere” più che a “santificare”.

Una voce autorevole ha parlato di “apostasia silenziosa”: la stessa che ho sperimentato diffondersi tra i nostri ragazzi e giovani insegnando alle medie e alle superiori, incontrandoli in parrocchia piuttosto che per strada; penso che essa derivi dall’assumere inconsapevolmente la mentalità del mondo contemporaneo con il suo egoismo, l’assenza dello spirito di sacrificio, della mortificazione, la negazione o l’ignoranza del soprannaturale, il relativismo religioso ed etico etc. Il punto dolens tuttavia è che i nostri percorsi di catechismo, i gruppi, l’IRC, favoriscono tutto ciò, laddove la dottrina cattolica è dimenticata, non insegnata, a volte persino ridicolizzata a favore di “dimensioni umane” che non giungono mai al dunque: maturare una scelta consapevole e incondizionata di fede e di vita Cattolica.

In questo la Santa Messa Tridentina impone, con la forza della Grazia e della Tradizione, una messa in discussione della nostra tiepidezza, una riforma personale di vita, unitamente ad un’ecclesiologia sensata dove i fedeli portano avanti la loro battaglia nel mondo, nel lavoro, in famiglia, nello sport, scoprendo che il mondo non li ama perché sono di Cristo e della Chiesa Cattolica; i Sacerdoti si dedicano a Dio, nell’orazione e nell’apostolato, per sostenere, esortare, far maturare, donare la Grazia sacramentale che è Cristo stesso.

Una battaglia pacifica, non irenica, certamente non di “basso profilo”; sento improrogabile una Chiesa che abbia il coraggio della Verità, di ridirla oggi, perché la Dottrina non è sua proprietà ma rappresenta il Buon Deposito che Cristo le ha dato: l’Unicità della Salvezza di Nostro Signore; il senso della vita orientata ai Novissimi; il senso del Sacrificio di Cristo dal quale ciascuno può ricevere la Grazia che salva; il senso di un impegno serio, fatto di ascesi e di caritas che il Signore retribuirà al momento opportuno; il senso della Presenza Vera, Reale di Cristo nell’Ostia; il senso della Speranza per tutti i crocifissi della storia perché Cristo è stato il primo di loro e continua ad esserlo quotidianamente sull’altare; il senso di una Chiesa capace ancora di insegnare ai giovani ad inginocchiarsi per recitare il Santo Rosario; il senso di una Parola al servizio del Santo Sacrificio; una Parola illuminata dalla Tradizione costante piuttosto che abbandonata ad interpretazioni estemporanee, effimere, al “magistero” soggettivo della Cesira, piuttosto che dell’improbabile esegeta di turno, in contrasto con il Magistero della Chiesa.

Quanto mi fa riflettere quel passo di San Paolo: “Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole” … e quanta confusione sento, quante banalità, quante sparate, quante “teologie” à la page.

Oggi sono pronto per scegliere Nostro Signore forse più di quando fui ordinato, dieci anni fa, perché vedo la storia che Egli ha fatto con me; pur rattristato per tanti confratelli che, anche recentemente, hanno abbandonato il ministero, con un po’ di nostalgia per la Diocesi che continuo ad amare ed alla quale rimango profondamente legato, oggi scelgo di continuare la mia vita di consacrazione lì dove Egli è presente con Verità, Fede, Dottrina, Speranza, per un futuro di ricostruzione della Chiesa: la Fraternità Sacerdotale San Pio X.

Umilmente chiedo ad un uomo semplice, dal sorriso sincero, ad un Vescovo dalla statura enorme, mons. Bernard Fellay, di accogliermi nella lotta contro l’autodemolizione della Chiesa, affinché Cristo risorga nei cuori e nelle società. Con la presente do quindi le dimissioni da parroco dell’Unità Pastorale Alta Valdastico dal mezzogiorno del 30 dicembre, pregando per Lei, mons. Vicario, e chiedendole di provvedere alla cura pastorale di quegli amati parrocchiani.

Finché sono rimasto vi ho dato il mio cuore e ho cercato di trasmettere un po’ della Fede Cattolica tuttavia, senza la Santa Messa di sempre, quella Tridentina, il cielo resta chiuso e la deriva è inevitabile (M. Devies, “La riforma liturgica anglicana”).

Certo del reciproco rispetto per una scelta di coscienza tanto travagliata e della vicendevole preghiera che ci unisce all’Unica Chiesa Cattolica, supplico il Signore affinché: “Corpus Domini nostri Iesu Christi custodiat animam nostram in vitam æternam”.

Pedemonte, 14 dicembre 2010

con fiducia

don Massimo Sbicego

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