Il Papa dice che la traduzione del Padre nostro “...non ci indurre in tentazione” è sbagliata.


Poffare, ma è proprio necessario cambiare il testo di una preghiera che abbiamo imparato sulle ginocchia della mamma? Possibile che svariate generazioni di cristiani abbiano potuto pensare che “...non ci indurre in tentazione” volesse dire che Dio stesso si premura di spingerci al male?

Suvvia, anche il Papa dovrebbe aver studiato a suo tempo il Catechismo della dottrina cristiana (quello detto di san Pio X) che nella sua terza parte spiega la preghiera al popolo cristiano – si badi, in età di Prima comunione, quindi tra i 7 e i 12 anni. Vi si legge alla domanda n° 427:


«Come fratelli tra noi che cosa dobbiamo chiedere?
Come fratelli tra noi dobbiamo chiedere il nutrimento corporale e spirituale, il perdono dei peccati, la difesa dalle tentazioni e la liberazione dal male; e questo si chiede per noi e per tutti gli uomini, nelle ultime quattro domande del Pater noster».


Volendo strafare, si può prendere la versione estesa del suddetto catechismo, quella che prende il nome di Catechismo maggiore; qui le petizioni del Padre nostro sono spiegate singolarmente e vi si trova la domanda 312 che recita:


«Che cosa chiediamo nella sesta domanda: e non ci indurre in tentazione?
Nella sesta domanda: e non ci indurre in tentazione, chiediamo a Dio che ci liberi dalle tentazioni, o non permettendo che siamo tentati, o dandoci la grazia di non essere vinti».


Lasciamo agli esegeti eruditi il compito importante e prezioso di scavare negli affascinanti meandri delle antiche lingue sacre, ma per favore lasciamo il popolo cristiano recitare il Padre nostro come si è sempre fatto.


Anzi, forse la domanda che il Papa dovrebbe farsi, dopo anni di catechismi insulsi a base di canti-disegni-bigliettini-cartelloni-teniamoci per mano, quanti cristiani di oggi sanno la preghiera del Padre nostro a memoria.

 don Luigi Moncalero

 

 

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