dal libro

Lo hanno detronizzato.

Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare.

brani scelti

 

 

 

Prima Parte - Il Liberalismo. Principi ed applicazioni.

Capitolo X - La libertà religiosa sotto la condanna dei Papi - seguito

II MOTIVO DELLA CONDANNA

 I Papi, l’avete notato nei testi precedenti, si premurano di risalire alle cause e di denunciare le origini liberali del diritto alla libertà religiosa: ad essere denunciato è essenzialmente il liberalismo naturalista e razionalista, che pretende che la ragione umana sia l’unica arbitra del bene e del male (razionalismo), che spetti a ciascuno di decidere se deve adorare o no (indifferentismo), e infine che lo Stato sia l’origine di ogni diritto (monismo statalista).

 Da questo, certi teologi moderni hanno creduto di poter inferire tre tesi:

 1) I Papi non hanno condannato la libertà religiosa in se stessa, ma soltanto perché essa appariva «come conseguente ad una concezione naturalista dell’uomo» (84), o perché «derivava dalla prima premessa del razionalismo naturalista» (85) o dalle altre due: «al di là delle conseguenze (libertà religiosa), questi sono i princìpi qui presi di mira: la Chiesa condanna il razionalismo, l’indifferentismo e il monismo statalista» (86), punto e basta.

 2) Posti dinanzi alle manifestazioni concrete dei princìpi moderni (lotta contro il potere temporale del Papato, laicizzazione delle Costituzioni, spoliazione della Chiesa, ecc.), i Papi avrebbero «mancato della serenità necessaria per giudicare con assoluta obiettività il sistema delle libertà moderna cercando di tener conto del bene e del male»; «era inevitabile che il primo riflesso di difesa fosse un atteggiamento di condanna totale» (87); era difficile a questi Papi «riconoscere un valore al contenuto quando la motivazione era ostile ai valori religiosi… così, per molto tempo, l’ideale espresso dai diritti dell’uomo fu visto sotto una cattiva luce, perché non vi si riusciva a riconoscere la lontana eredità del Vangelo» (88).

 3) Ma oggi è possibile riscoprire la parte di verità cristiana contenuta nei princìpi del 1789 e in tal modo riconciliare la Chiesa con le libertà moderne, in particolare con la libertà religiosa. Padre Congar è stato il primo a tracciare la linea da seguire a tal riguardo:

«Non si poteva riconciliare la Chiesa con un certo mondo moderno introducendo tali e quali nella Chiesa le idee di questo mondo moderno; ciò supponeva un lavoro in profondità, grazie al quale i princìpi perenni del cattolicesimo prendessero uno sviluppo nuovo, assimilando, dopo averli decantati e al bisogno purificati, gli apporti validi di questo mondo moderno» (89).

 L’anno seguente Roger Aubert si fece portavoce fedele di questa opinione: parlando dei collaboratori de «L’Avenir», giornale cattolico-liberale di Lamennais del XIX secolo, afferma:

 «Non si erano sufficientemente curati di ripensare i princìpi che avrebbero permesso, mediante i discernimenti e le purificazioni necessarie, di assimilare al cristianesimo le idee di democrazia e di libertà che, nate al di fuori della Chiesa, si erano sviluppate in uno spirito ostile a quest’ultima» (90).

 Ebbene, il Vaticano II ha affermato che il lavoro di purificazione e di assimilazione dei princìpi del 1789 era il suo principale obiettivo:

«In questa luce [della fede], il Concilio si propone innanzitutto di esprimere un giudizio su quei valori che oggi sono in grandissima stima [diritti dell’uomo, libertà, tolleranza, ecc.] e di ricondurli alla loro divina sorgente. Questi valori, infatti, in quanto procedono dall’ingegno umano che all’uomo è stato dato da Dio, sono in sé ottimi, ma per effetto della corruzione del cuore umano non raramente vengono distorti dalla loro debita ordinazione, per cui hanno bisogno di essere purificati» (91).

 Ed è appunto questo che il Concilio ha realizzato, ci assicura il Cardinale Ratzinger:

 «Il problema degli anni Sessanta era quello di acquisire i migliori valori espressi da due secoli di cultura “liberale”. Sono infatti valori che, pur se nati al di fuori della Chiesa, possono trovare il loro posto – purificati e corretti – nella sua visione del mondo. Ed è questo che è stato fatto» (92).

 Ho voluto citarvi tutti questi testi che mostrano il consenso schiacciante di tutti quei teologi che hanno preparato, realizzato e condotto a termine il Concilio. Ma queste affermazioni, che arrivano a ripetersi l’un l’altra  parola per parola, altro non sono che una spaventosa impostura. Affermare che i Papi non hanno scorto quel che c’è di verità cristiana nei princìpi del 1789 è drammatico! Esaminiamo più da vicino:

 1) Certo i Papi hanno condannato il razionalismo, l’indifferentismo dell’individuo e il monismo statalista. Ma non hanno condannato solo questo! Hanno proprio condannato le libertà moderne in se stesse. La libertà religiosa viene condannata per quel che è, e non in ragione delle sue motivazioni storiche dell’epoca; perché, tanto per fare un esempio, il liberalismo di un Lamennais (condannato da Gregorio XVI) non è il liberalismo assoluto e ateo dei filosofi del XVIII secolo (condannato da Leone XIII in Immortale Dei), e ciò nondimeno tutti questi liberali, quali che fossero i loro princìpi talvolta molto diversi o le loro sfumature, hanno rivendicato la stessa libertà religiosa. Quel che è comune a tutti i liberalismi è la rivendicazione del diritto a non essere molestati dal potere civile nell’esercizio pubblico della religione scelta; il loro denominatore comune (come dice il Cardinale Billot) è l’affrancamento da ogni costrizione in materia religiosa. E questo i Papi lo hanno condannato, e ve lo mostrerò in un attimo.

 2) È un’empietà ed un’ingiustizia verso i Papi dire loro: «voi avete coinvolto nella medesima condanna i falsi princìpi del liberalismo e le buone libertà che esso propone; voi avete commesso un errore storico». Non sono i Papi che hanno fatto un errore storico o che erano prigionieri delle circostanze storiche, sono piuttosto proprio questi teologi ad essere imbevuti del pregiudizio storicista, anche se lo negano (93). Eppure basta leggere le esposizioni storiche di Roger Aubert e J. Courtney Murray sulla libertà religiosa per constatare che costoro relativizzano sistematicamente gli enunciati del magistero dei Papi del XIX secolo secondo un principio che si può così illustrare: «ogni enunciato dottrinale del magistero è strettamente relativo al suo contesto storico, in modo tale che mutando il contesto, la dottrina può cambiare». Non ho bisogno di dirvi quanto questo relativismo e questo evoluzionismo dottrinale siano contrari alla stabilità della roccia di Pietro in mezzo alle fluttuazioni umane, e in definitiva contrari alla Verità immutabile che è Nostro Signore Gesù Cristo. Questi teologi, infatti, non sono teologi, e nemmeno dei buoni storici, perché non hanno nozione alcuna della verità o di una dottrina perenne della Chiesa, soprattutto in materia sociale e politica, perché si perdono nei meandri della loro erudizione e sono prigionieri dei loro sistemi di interpretazioni; sono teste infarcite, non teste pensanti. Pio XII aveva ben ragione di condannare col nome di storicismo la loro teologia da banderuole:

«A questo si aggiunge un falso storicismo che, applicandosi ai soli avvenimenti della vita umana, rovescia i fondamenti di ogni verità e di ogni legge assoluta, sia per quel che concerne la filosofia che gli stessi dogmi cristiani» (94).

 3) Quanto a riconciliare la Chiesa con le nuove libertà, ciò costituirà effettivamente tutto lo sforzo del Vaticano II, in Gaudium et spes e nella dichiarazione sulla libertà religiosa; ritornerò su questo tentativo, destinato sin dall’inizio a fallire, di sposare la Chiesa alla Rivoluzione.

 

***

 

Per il momento ecco i veri motivi, immediati e concreti, della condanna della libertà religiosa da parte dei Papi del XIX secolo, motivi sempre validi, come si può giudicare: essa è assurda, empia, e porta i popoli all’indifferenza religiosa: io riprendo le stesse parole dei Papi:

 - Assurda, la libertà religiosa lo è, perché accorda eguale diritto alla verità e all’errore, alla vera religione e alle sette eretiche; ora, dice Leone XIII: «Potestà morale è il diritto, e come si disse e converrà spesso ridire, è assurdo che la natura ne dia indistintamente e indifferentemente alla verità e alla menzogna, al bene e al male» (95).

 - Empia, la libertà religiosa lo è anche: perché «attribuisce a tutte le religioni l’uguaglianza di diritto» e «pone sul piano delle sette eretiche e persino della perfidia giudaica la Sposa santa e immacolata di Cristo»; perché inoltre implica «l’indifferentismo religioso dello Stato», che equivale al suo «ateismo», cioè l’empietà legale delle società, l’apostasia forzata delle nazioni, il rifiuto della regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, la negazione del diritto pubblico della Chiesa, la sua eliminazione dalla società o il suo asservimento allo Stato.

 - Infine, essa conduce i popoli all’indifferenza religiosa, come dichiara il Sillabo condannando la proposizione 77.  È evidente: se oggi la Chiesa conciliare e la maggioranza dei cattolici arrivano a vedere in tutte le religioni delle vie di salvezza, è perché questo veleno dell’indifferentismo è stato loro somministrato, in Francia e altrove, da quasi due secoli di regime di libertà religiosa.

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 84) Roger Aubert, Le magistère ecclésiastique et le libéralisme, in Tolérance et communauté humaine, Casterman 1951, p. 81.

 85) John Courtney Murray, Vers une intelligence du devéloppement de la doctrine de l’Eglise sur la liberté religieuse, in Vatican II, La liberté religieuse, p. 112.

 86) Jérôme Hamer o.p., Histoire du texte de la déclaration, in Vatican II, La liberté religieuse, Cerf, Paris 1967.

 87) Roger Aubert, op. cit. p. 82.

 88) Commissione teologica internazionale, i cristiani oggi dinanzi alla dignità e ai diritti della persona umana, Commissione pontificia Justitia et Pax, Città del Vaticano 1985, p. 44, citato da «Documents épiscopat», bollettino del segretariato della conferenza episcopale francese, ottobre 1986, p. 15.

 89) Y. Congar o.p., Vraie et fausse riforme dans l’Eglise (Unam Sanctam, 20), Cerf, Paris 1950, p. 345, citato da Roger Aubert, op. cit., p. 102.

 90) Roger Aubert, op. cit., pp. 81-82.

 91) Gaudium et spes, II, § 2. [le parole fra parentesi quadre e i corsivi sono aggiunte di Monsignor Lefebvre, n.d.T.].

92) Conversazione con Vittorio Messori, mensile «Jesus», novembre 1984, p. 72.

93) Padre Courtney Murray, cercando di spiegare come il magistero sia potuto passare dalla condanne del XIX secolo alla libertà religiosa del Vaticano II, dichiara innanzitutto: «Questa intelligibilità non è accessibile a priori, o semplicemente col gioco dell’applicazione di qualche teoria generale dello sviluppo della dottrina. Per adesso non abbiamo una teoria generale di tal sorta».

94) Enciclica Humani Generis, del 12 agosto 1950, Documenti pontificali di Pio XII, XII, 303; cfr DS. 2306. [questo brano manca nel PIN ed è stato tradotto da me, n.d.T.].

95) Libertas, PIN 207.