Gesù all'ultima cenaNon è senza ragione che gli antichi contavano l’amore come la prima delle passioni: queste, infatti, sono radicalmente fondate sulla “compiacenza nel bene” che, secondo il Dottore Angelico, definisce l’amore. Non si può odiare un male se non perché si teme che possa perturbare un bene, quale che sia (oggetto appunto dell’amore); non si può desiderare se non ciò che si ama, né sperare di ottenerlo superando le difficoltà, e così via. Si tratta dunque di una passione primordiale, sottesa a ogni altro movimento della vita sensibile.

 A causa del più disparato uso (e abuso) che si fa oggi della parola amore è bene precisare i termini della questione: nel senso più generale del termine, “amore” viene definito da San Tommaso come “il principio del movimento che tende al fine amato” (Somma Teologica, Ia - IIae Q. 26 a. 1).

Il termine amore può significare in un senso molto ampio il principio della naturale tendenza dei corpi inanimati a raggiungere la loro finalità, impressa dalla natura: in questo senso (analogico) parliamo dell’amore che ha il sasso per il suo “luogo naturale” che è il suolo, in quanto ha una naturale tendenza a portarvisi, ciò che in fisica chiamiamo forza di gravità.

Possiamo parlare di amore a proposito della dilezione, che è una tendenza che ha un essere ragionevole (l’uomo) verso il bene, tendenza a cui si aggiunge una scelta razionale: in questo senso l’amore non è una passione ma un atto della volontà (che è una potenza dell’anima superiore ai sensi, poiché procede dall’intelligenza).

Possiamo infine parlare di amore come passione, e ci riferiamo più precisamente al movimento dell’appetito sensitivo sia degli animali che degli uomini, i quali hanno in comune appunto l’uso dei sensi per la loro conoscenza; il leone vede una gazzella e istintivamente ne fa oggetto del suo appetito sensitivo, prima ancora di muoversi per catturarla. Questa prima impressione sensibile è una forma di amore che assume precisamente l’aspetto di una passione, cioè movimento dell’anima nella sua parte sensitiva, che negli animali privi di ragione è evidentemente slegata da ogni tipo di conoscenza intellettuale; nell’uomo, invece, questo stesso atto dell’appetito sensitivo sarà prima o poi orientato dalla ragione da cui non può prescindere del tutto. Se l’uomo vede nel piatto una bistecca, istintivamente proverà una forma di amore, cioè di tendenza verso un bene sensibile che può costituire in quel momento il suo fine. Poi la sua ragione gli detterà una scelta volontaria: mangiare la bistecca se nulla vi si oppone, se è nel suo piatto e non in quello di un altro, se è al momento del pasto e per un fine nutritivo e non soltanto di piacere della gola, ecc.

Naturalmente si parla più abitualmente di “amore” quanto a quella passione che sorge come attrazione verso un’altra persona, passione che inizialmente può essere del tutto irrazionale e dettata dalla semplice “compiacenza” nel bene che si presenta ai nostri sensi (la persona amata), e che poi può concretizzarsi in una vera e propria dilectio, ragionata e volontaria, la quale a sua volta può essere moralmente buona o no: una persona sposata, ad esempio, può provare istintivamente attrazione per una persona altra che il suo coniuge, ma quest’impressione involontaria non costituisce affatto un peccato, proprio perché ha la sua sede ancora solo nella sensibilità; quando invece questa passione arriva a coinvolgere la ragione e fare una precisa scelta (la dilectio appunto) questa attrazione voluta e incoraggiata costituisce già un peccato. Ma, allora, non siamo più in presenza della semplice passione.

Si diceva che le passioni dell’anima sono movimenti dell’appetito sensitivo che hanno come effetto materiale una qualche modificazione corporale; San Tommaso parla di quattro conseguenze di tale passione, da considerare e valutare alla luce delle conoscenze scientifiche dell’epoca (Q. 28 a. 4): la liquefactio, chiamata anche mollificatio cordis, che consiste in una certa “tenerezza” del cuore pronto in un certo senso ad “accogliere” il bene amato; la fruitio, cioè il godimento del bene posseduto; il languor, cioè una certa “malattia” come la definiva anche Cicerone (Tusc. III, cap. II) causata dall’assenza del bene; infine il fervor, questo vero “calore” del cuore, acceso dall’istinto di raggiungere il bene conosciuto dai sensi.

San Tommaso parla di altri effetti organici possibili senza nominarli: per restare in ambito gastronomico, possiamo proporre come esempio la celebre “acquolina in bocca” provocata alla vista o anche solo al pensiero di un cibo prelibato quando si ha fame…

Scevro da ogni forma di romanticismo di stile ottocentesco, un ragionevole (e razionale) studio della passione di amore può essere di grande aiuto nella vita spirituale per imparare a distinguere da un lato le impressioni sensibili che sono connaturali all’uomo, che mai devono preoccuparci ma che vanno serenamente accolte ed eventualmente incanalate nell’atto umano razionale o scacciate a seconda della bontà o malizia dell’oggetto proposto; dall’altro, invece, i desideri peccaminosi volutamente acconsentiti e che procedono dalla volontà, pur potendo essere causati dalla passione o da essa accompagnati.