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di don Gabriele D'avino

Sebbene a prima vista possa apparire strano, lo studio delle passioni dell’anima può essere di grandissimo aiuto per la vita spirituale, poiché gli atti umani, buoni o cattivi che siano, sono in parte determinati anche da quel complesso di elementi (il “temperamento”) che caratterizzano la parte appetitiva dell’uomo. Ora, nella formazione del temperamento ricoprono certamente un ruolo importante le passioni dell’anima.

Ad esempio, quando si vuole seriamente progredire nella vita spirituale ed eliminare quindi gli ostacoli all’esercizio della virtù, giova molto ricercare il proprio “difetto dominante”. Orbene, questo difetto lo si potrà ricercare certo nei “vizi capitali”, che presuppongono però una abitudine al peccato, grave o leggero che sia.

Ma più utile sarà ricercarlo tra le inclinazioni che maggiormente caratterizzano il nostro temperamento: una volta trovata cioè la propria “passione dominante”, prima ancora che ci sia eventualmente un’abitudine al peccato, si potrà vedere più agevolmente da quale parte inclina la nostra natura (pur sempre corrotta dal peccato originale) e quale sia dunque o quale potrà essere la causa più frequente dei peccati.

Ecco dunque l’interesse del trattato sulle passioni di San Tommaso nella Somma teologica: conoscere profondamente l’uomo fin nei meandri più reconditi della sua sensibilità e affettività.

Le passioni, dicevamo precedentemente, sono, nella classificazione tradizionale, undici. Ma esiste una logica nella loro catalogazione, e prima di esaminarne una ad una in dettaglio proveremo ad offrirne il quadro d’insieme.

La prima grande suddivisione è quella tra le passioni dell’appetito concupiscibile e quello irascibile. Il primo riguarda l’apprensione di un bene sensibile in sé, l’altro invece l’apprensione di un bene sensibile in quanto deve essere conquistato: si parla infatti di bene arduo, cioè il bene in quanto lo si considera nella difficoltà più o meno grande di possederlo.

Quanto alle passioni dell’appetito concupiscibile, abbiamo la possibilità di una semplice compiacenza nel bene appreso: allora ci sarà la passione d’amore; l’apprensione di un male sensibile e la relativa “displicentia” fonderanno la passione di odio, correlativa alla prima. Una volta appreso il bene, l’appetito vi si porterà quasi naturalmente, avremo allora il desiderio; il male, al contrario, genererà la corrispettiva passione di fuga.

Quando poi un bene sensibile viene definitivamente raggiunto, ci si “riposa” in esso: ecco dunque la passione di gioia, a cui è correlativa quella di tristezza per un male che non si è riusciti ad evitare e che è presente.

Quanto poi alle passioni dell’appetito irascibile, abbiamo dapprima quella che ci fa intravedere la possibilità di intraprendere uno sforzo per conquistare un bene “arduo”: la passione di speranza; al contrario, la vista della nostra incapacità a conquistarlo potrà generare quella correlativa di disperazione; il moto dell’anima che ci porta concretamente a voler superare le difficoltà per il raggiungimento del bene si chiama audacia, quello invece che ci porta a sfuggirle ha il nome di paura.

Infine, l’unica passione che non ha correlativa, e che è quella che consiste nel vendicare un male già subito: la collera.

Per concludere, va detto che, secondo la buona dottrina tomista, le passioni considerate in sé non dicono nulla di bene o di male morale: sono infatti “neutre” in quanto appunto movimenti naturali dell’anima, e sono in questo comuni con quelle degli altri animali (vedi la Summa teologica, Ia-IIae, Q. XXIV, art. 1 c.). Se le si considera invece in quanto sottomesse al comando della ragione, allora possono essere buone o cattive conformemente all’uso che se ne fa, alla moderazione o all’eccesso che comportano quando si eccitano volontariamente. Va notato inoltre (come vedremo in seguito più dettagliatamente) che Nostro Signore stesso nella sua vita mortale provò queste passioni, non perchè vi fosse sottomesso per necessità ma perché volontariamente le eccitò, come avvenne ad esempio quando scacciò i mercanti dal tempio. In teologia morale si direbbe che questo gesto di Gesù non fu causato dall'ira (ex passione) ma ne fu volontariamente accompagnato (cum passione).