di don Jean-Michel Gleize

  1. In una recente intervista del 25 febbraio 2016 (pubblicata dall’Agenzia di stampa Zenit), Mons. Guido Pozzo, segretario della Commissione pontifica Ecclesia Dei torna ancora una volta sulla questione dei rapporti tra la Fraternità San Pio X e la Santa Sede. Ci sarebbe qualcosa di fondamentalmente nuovo, dopo un anno?
  2. Nel 2015, facendo già il punto sullo stato delle nostre relazioni con il Vaticano[1], Mons. Pozzo dichiarava che lo scopo di queste relazioni fosse che la Fraternità potesse “conseguire la piena comunione con la Sede apostolica”. Un anno dopo, 2016, egli afferma ancora che “i membri della FSSPX sono cattolici in cammino verso la piena comunione con la Santa Sede”. Su questo punto, il discorso quindi non è cambiato. Lo scopo cui mira il Vaticano resta lo stesso. Scopo sfortunatamente inaccettabile.
    Come scrivevamo infatti un anno fa, la “piena comunione” auspicata dal segretario di Ecclesia Dei è un inganno ed un’impostura, perché s’inserisce in una ecclesiologia estranea al dogma cattolico. Nello spirito di Mons. Pozzo, le relazioni, sia dottrinali che diplomatiche, come sono condotte da Roma, obbediscono ad un presupposto che noi non potremmo ammettere. Perché è il presupposto della nuova ecclesiologia. Ora, per noi una comunione dalla geometria variabile non è possibile. Lo scopo cui miriamo con tutti questi scambi non è quello di situarci in una qualunque “piena comunione” con la Santa Sede. Perché o si è cattolici o non lo si è – e dunque in comunione o non con il Papa, e dunque nella Chiesa o no – a seconda che si realizzi o no la triplice condizione ricordata da Pio XII in Mystici corporis e che è di aver ricevuto un battesimo valido, di professare la fede cattolica e di riconoscere l’autorità dei pastori legittimi.
    La Fraternità San Pio X realizza questa triplice condizione. Essa quindi è cattolica,quindi è in comunione col Papa e quindi fa parte della Chiesa. Non potrebbe esistere una comunione piena o parziale, perfetta o imperfetta. Se manca solo una di queste tre condizioni enumerate da Pio XII, non si è più cattolici, non si è più in comunione con il Papa e non si è più nella Chiesa. “Non abbiamo mai messo in causa la nostra piena comunione, ma l’aggettivo ‘piena’ noi lo rigettiamo, dicendo semplicemente ‘noi siamo in comunione’ secondo il termine classico utilizzato nella Chiesa; noi siamo cattolici; se siamo cattolici, noi siamo in comunione, perché la rottura della comunione è precisamente lo scisma”[2].

  3. In nome del presupposto del Vaticano II, contenuto nella costituzione Lumen gentium, con il principio del Subsistit enunciato nel n° 8, Mons. Pozzo stima che esista una comunione imperfetta e non piena, accanto ad una comunione perfetta e piena. E la Fraternità sarebbe, sempre secondo lui, in una comunione ancora imperfetta con il Papa. Vale a dire che il termine stesso di “comunione”, che si presume serva come punto di riferimento al dialogo, è equivoco, poiché Mons. Pozzo lo intende in un altro senso rispetto a noi, in un senso diverso da quello ricordato da Pio XII, in un senso opposto a quello insegnato da tutti i Papi, per duemila anni di Tradizione cattolica. Il senso opposto è quello di un latitudinarismo sottilmente rinnovato, che giunge a negare, in maniera molto sorniona, il dogma “Fuori della Chiesa non c’è salvezza”.
    La Congregazione per Dottrina della Fede ne ha dato l’espressione scevra di ogni ambiguità, con le Responsa del 2007, che forniscono l’interpretazione autentica del Subsistit. Per farlo, gli basta ritornare ai due passi chiave del Concilio. “Questa Chiesa come società costituita ed organizzata in questo mondo, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi che sono in comunione con lui, benché numerosi elementi di santificazione e di verità si trovino fuori dalla sua sfera, elementi che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, portano per se stessi all’unità cattolica” (Lumen gentium, n° 8); “Inoltre, fra gli elementi o i beni per l’insieme dei quali la Chiesa si costruisce ed è vivificata, parecchi e perfino molti, e di grande valore, possono esistere al di fuori dei limiti visibili della Chiesa cattolica: la Parola scritta di Dio, la vita di grazia, la fede, la speranza e la carità, altri doni interiori dello Spirito Santo ed altri elementi visibili. Tutto ciò, che proviene da Cristo e conduce a lui, appartiene di diritto all’unica Chiesa di Cristo” (Unitatis redintegratio, n° 3).
    Il Concilio si spinge fino a riconoscere un valore salvifico alle comunità separate prese in quanto tali, come se lo Spirito Santo non agisse soltanto direttamente sulle anime smarrite nello scisma o l’eresia, ma utilizzasse la mediazione di queste società oggettivamente e giuridicamente scismatiche ed eretiche: ”Queste Chiese e comunità separate, benché noi crediamo che soffrano di mancanze, non sono affatto sprovviste di significato e di valore nel mistero della salvezza. Lo Spirito di Cristo, infatti, non rifiuta di servirsi di esse come mezzi di salvezza, la cui virtù deriva dalla pienezza di grazia e di verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica” (Unitatis redintegratio, n° 3). Questa affermazione contiene un errore contrario alla dottrina cattolica di sempre.
    Infatti, una comunità religiosa in quanto separata dalla Chiesa (o in quanto setta) non può essere utilizzata dallo Spirito Santo come mezzo di salvezza, poiché il suo stato di separazione è uno stato di resistenza allo Spirito Santo. Questo può solo agire direttamente sulle anime (non sulla comunità). Quanto alla Fraternità, essa è nella Chiesa cattolica, identica alla Chiesa di Cristo, e intende restarvi. “Ciò che è importante, è restare nella Chiesa… nella Chiesa, cioè nella fede cattolica di sempre e nel vero sacerdozio, e nella vera messa, e nei veri sacramenti, nel vero catechismo di sempre, con la Bibbia di sempre. E’ questo che interessa. E’ questa la Chiesa [3]”.

  4. Pozzo afferma anche: “Spesso nella discussione con la FSSPX, l’opposizione non è al Concilio, ma allo ‘spirito del Concilio’, che si avvale di alcune espressioni o formulazioni dei documenti conciliari per aprire la strada a interpretazioni e posizioni che sono lontane e talvolta strumentalizzano il vero pensiero conciliare”. Il segretario di Ecclesia Dei è infatti convinto che il Concilio sia conforme in ogni punto alla dottrina cattolica. Secondo lui, esisterebbe una distinzione, che considera come “fondamentale e assolutamente decisiva” tra “la mens o la docendi intentio del Vaticano II”, come “dimostrano gli Atti ufficiali del Concilio” e quello che vorrebbe designare come “il ‘paraconcilio’, cioè l’insieme di orientamenti teologici e di atteggiamenti pratici, che accompagnarono il corso del Concilio stesso, pretendendo poi di coprirsi con il suo nome, e che nell’opinione pubblica, grazie anche all’influsso dei mass media”. Si torna sempre alla stessa spiegazione, ereditata da Mons. Pozzo del Discorso del 2005. Papa Benedetto XVI vi denuncia una “ermeneutica della rottura” che avrebbe sfigurato il vero volto del Concilio ed impeditone la ricezione.
    La soluzione sarebbe di ritornare ad una ermeneutica “del rinnovamento nella continuità”. La famosa distinzione tra le due ermeneutiche, la buona e la cattiva, non è che il compimento di una riflessione condotta per quasi vent’anni dal Cardinale Ratzinger: l’Intervista sulla Fede del 1984, poi il discorso rivolto alla Conferenza episcopale cilena nel 1988 sviluppano già la stessa idea, secondo cui gli insegnamenti del Vaticano II, essendo conformi alla Tradizione della Chiesa, non sarebbero da riformare; bisognerebbe solo rivederne l’applicazione (o la “ricezione”) ponendo fine a dei semplici abusi. Perché, pensava già il futuro Benedetto XVI nel 1984, “numerose presentazioni danno l’impressione che con il Vaticano tutto sia cambiato e quello che lo ha preceduto non abbia più valore”.

  5. Ora, questa spiegazione non resiste ad un esame un minimo serio dei testi del Concilio. La dottrina tradizionale della Chiesa ne risulta effettivamente gravemente rimessa in causa dall’ultimo Concilio, proprio a motivo degli insegnamenti del Vaticano II. Così come dimostra l’articolo del novembre 1988 del Courrier de Rome – che intitolava: “Il cardinale Ratzinger dimostra lo stato di necessità nella Chiesa” – “certi testi del Concilio sono realmente separati dalla Tradizione e non possono in alcun caso essere conciliati con essa. Non è solo, come pensa il cardinale Ratzinger, che “numerose presentazioni danno l’impressione che con il Vaticano tutto sia cambiato e quello che l’ha preceduto non abbia più valore”. No. Esistono dei testi del Concilio che hanno costituito un cambiamento rispetto a quello che precedeva e che di conseguenza comportano una scelta: o il Vaticano II o la Tradizione. Dei testi come Nostra Aetate per le religioni non cristiane, Unitatis redintegratio per l’ecumenismo, Dignitatis humanae sulla libertà religiosa portano effettivamente e a ragione a chiedersi, come lo fa il cardinale Ratzinger, “se la Chiesa di oggi sia realmente quella di ieri o se sia stata sostituita da un’altra senza nemmeno preoccuparsi di avvertirne i cattolici” (pagina 4).

  6. La constatazione di Mons. Pozzo s’inserisce dunque sul falso, di fronte alla realtà storica di ciò che furono le discussioni dottrinali, portate avanti negli anni 2009-2011. Un solo esempio basta a dimostrare, ed è proprio quello che cita il segretario di Ecclesia Dei: “Anche per quanto concerne la critica lefebvriana sulla libertà religiosa, al fondo della discussione a me pare che la posizione della FSSPX sia caratterizzata dalla difesa della dottrina tradizionale cattolica contro il laicismo agnostico dello Stato e contro il secolarismo e relativismo ideologico e non contro il diritto della persona a non essere coartata né impedita dallo Stato nell’esercizio della professione di fede religiosa”. Eppure tutte le obiezioni che ha potuto fare la Fraternità e ancora fa valere presso la Santa Sede mirano a questo punto preciso: noi contestiamo questo famoso diritto alla libertà religiosa, diritto che si pretende “negativo” di non essere impediti dalle autorità civili di professare la fede di propria scelta e lo contestiamo perché è condannato da Gregorio XVI in Mirari vos e da Pio IX in Quanta cura. Il discorso di Pozzo sembra dunque qui non tenere in nessun conto la posizione della Fraternità San Pio X[4], in nessun conto ciò che tuttavia è stato detto e ripetuto, sia per scritto sia oralmente, in occasione delle discussioni dottrinali del 2009-2011. Gli archivi della Congregazione per la Dottrina per la Fede dovrebbero essere là per farne fede.
    Mons. Pozzo dice ancora: “I rilievi critici riguardano invece affermazioni o indicazioni concernenti la rinnovata cura pastorale nei rapporti ecumenici e con le altre religioni e alcune questioni di ordine prudenziale nel rapporto Chiesa e società, Chiesa e Stato”. Anche qui, siamo spiacenti di dover ricordare al segretario di Ecclesia Dei che non è assolutamente così: contrariamente a ciò che dichiara, le critiche della Fraternità riguardano i principi stessi dell’ecumenismo, principi di ordine dottrinale e non soltanto pastorale, principi che portano a dare della Chiesa una nuova definizione, contraria all’ecclesiologia tradizionale. Le critiche della Fraternità riguardano il principio stesso di libertà religiosa formulata nel n° 2 della dichiarazione Dignitatis humanae e sul principio stesso dell’autonomia del temporale, formulato nel n° 36 della Costituzione Gaudium et spes. Tali falsi principi sono di ordine dottrinale e non solo prudenziale[5]. Portano a dare una nuova definizione dell’ordine sociale cristiano, contrario alla dottrina tradizionale. Per convincersene basta rileggere i vari interventi fatti da Mons. Lefebvre durante il concilio Vaticano II e raccolti nel libro Accuso il Concilio.

  7. Tramite questi esempi, possiamo vedere che l’opposizione fatta dalla Fraternità non mira soltanto ad un’ermeneutica della rottura e ad uno spirito del Concilio, distinto dalla sua lettera. La Fraternità non contesta solo “delle interpretazioni e delle posizioni lontane dal vero pensiero conciliare e che talvolta ne abusano”. Abbiamo detto e ripetuto, in questi due anni di discussioni, che le nostre obiezioni vertevano innanzitutto proprio sui testi stessi del Concilio, indipendentemente dalle varie interpretazioni successive non autorizzate, ed indipendentemente anche da tutti gli abusi ai quali la lettera del Vaticano II ha potuto servire di pretesto. Seguendo Mons. Lefebvre, la Fraternità quindi accusa sempre il Concilio. “Accuso il Concilio” diceva infatti il vecchio arcivescovo di Dakar, “mi sembra la risposta necessaria a Io scuso il Concilio del cardinale Ratzinger. Mi spiego: io sostengo e proverò che la crisi della Chiesa si riconduce essenzialmente alle riforme postconciliari emananti dalle autorità più ufficiali della Chiesa e in applicazione della dottrina e delle direttive del Vaticano II.
    Dunque niente di marginale né di sotterraneo nelle cause essenziali del disastro postconciliare”[6]. Perché di fatto, “è dal Concilio che la Chiesa o quanto meno gli uomini di Chiesa che occupano i posti chiave hanno preso un orientamento nettamente opposto alla Tradizione, cioè al magistero ufficiale della Chiesa”[7]. Può darsi che Mons. Pozzo nutra la speranza che la nostra opposizione si limiti al famoso “para concilio” dei media e dei teologi. Ma questa speranza è vana perché l’analisi su cui vorrebbe fondarsi non corrisponde affatto alla realtà. Anche se ci dispiace per lui, non possiamo travestire né i fatti né il nostro proprio pensiero. Noi non possiamo scusare il Concilio con lui. Lo accusiamo, perché si deve farlo, per il bene di tutta la Chiesa. E la serenità degli scambi che intendiamo continuare a condurre con Roma è d’altra parte a questo prezzo.
    Infatti, e questo è il terzo aspetto della sua riflessione, Mons. Pozzo sottolinea l’importanza che riveste ai suoi occhi anche “lo sviluppo di un clima di fiducia e di rispetto reciproci, che deve essere alla base di un processo di riavvicinamento”. Senza dubbio: seguendo il suo fondatore, la Fraternità San Pio X ha sempre voluto rivolgere le sue valutazioni critiche ai diversi punti del Concilio che pongono gravi problemi alla coscienza dei cattolici. Noi accusiamo il Concilio, non delle persone. Tuttavia, il seguito del discorso di Mons. Pozzo tralascia una distinzione importante. “Occorre superare”, aggiunge, “le diffidenze e gli irrigidimenti che sono comprensibili dopo tanti anni di frattura, ma che possono essere gradualmente dissipati se l’atteggiamento reciproco cambia e se le divergenze non vengono considerate come muri invalicabili, ma come punti di discussione che meritano di essere approfonditi e sviluppati verso una chiarificazione utile alla Chiesa intera”. La diffidenza che nutriamo riguarda precisamente tutti i testi del Concilio, ed è perfettamente giustificata, laddove si trovano gli equivoci e le ambiguità, che sono al principio della crisi di cui soffre la Chiesa ormai da mezzo secolo.
    Questa diffidenza non potrà essere dissipata che con un ritorno totale all’espressione chiara e netta della dottrina cattolica. Se le differenze cui si riferisce Mons. Pozzo sono quelle esistenti tra la Tradizione cattolica e le novità contrarie introdotte dal Vaticano II, esse rappresentano proprio dei “muri invalicabili”, ed “una chiarificazione utile alla Chiesa intera” dovrà consistere nell’abbandonare tali novità mortifere per tornare alla Tradizione costante della Chiesa.
    Non ci sono solo dei “punti di discussione”, ci sono soprattutto, come Mons. Pozzo riconosce egli stesso, dei “punti di divergenza”. L’approfondimento di questi punti per noi non può consistere che nell’evidenziare la loro impossibile continuità con la dottrina insegnata da sempre dal magistero della Chiesa. Non può consistere che nell’evidenziare la rottura introdotta dal Concilio, nei testi stessi del Vaticano II, e che Mons. Pozzo, seguendo Benedetto XVI ed il Discorso del 2005, vorrebbe imputare al famoso “paraconcilio” . Per ammissione stessa del cardinale Ratzinger, la costituzione pastorale Gaudium et spes, vero testamento del Concilio, deve essere intesa come un “contro Sillabo"[8]: che cos’è allora, se non una rottura?
  1. Perciò, quando Mons. Pozzo prefigura di “passare da una posizione di scontro polemico e antagonista, ad una posizione di ascolto e di reciproco rispetto, di stima e di fiducia”, ci pare necessario delucidare un’importante distinzione. Se parliamo di persone, è chiaro che la Fraternità non nutre alcuna animosità nei confronti di nessuno. Ma sono le idee che guidano il mondo, e che determinano le scelte fatte dalle persone. E trattandosi delle idee, è innegabile che non possiamo né rispettare, né stimare quelle del Vaticano II, né tributare loro alcuna fiducia, laddove esse rivelano un profondo e reale “antagonismo” nei confronti della dottrina cattolica di sempre. E se la “polemica”, nel senso nobile del termine utilizzato dai vecchi apologeti, consiste nello smascherare e combattere l’errore per far trionfare la verità, allora sì, le novità introdotte dal Concilio richiedono da parte nostra “uno scontro polemico e antagonista”. Ma ciò deriva dal fatto, troppo evidente, che il Vaticano II fu “lo scatenamento delle forze del male per la rovina della Chiesa”[9].
    Se la prima qualità di una “posizione di ascolto” è la franchezza e la chiarezza, è proprio quello che vogliamo. Perciò, noi diciamo a Roma, “se ci volete, noi siamo così, bisogna che ci conosciate, che in seguito non ci diciate di avervi nascosto qualcosa. Noi siamo così ed è così che resteremo. Resteremo come siamo, perché? Non è per una volontà propria, non è perché pensiamo di essere i migliori, è la Chiesa che ha insegnato questa cose, che ha preteso queste cose, non c’è solo la fede, c’è anche tutta una disciplina che è in perfetto accordo con questa fede, ed è quello che ha fatto il tesoro della Chiesa, che ha fatto i santi nel passato, e questo, noi non siamo pronti ad abbandonarlo”[10]. E non è una novità, perché è stato il nostro atteggiamento costante: “Quello che c’interessa innanzitutto, è mantenere la fede cattolica. E’ questa la nostra battaglia. Allora la questione canonica, puramente esteriore, pubblica nella Chiesa, è secondaria. (...). Essere riconosciuti è secondario. Allora non dobbiamo cercare il secondario perdendo ciò che è primario, quello che è il primo obiettivo della nostra battaglia[11].

  2. Per finire, Mons. Pozzo ricorda le distinzioni che conoscevamo già, per averle incontrate scritte da lui. Distinzioni che sfortunatamente non illuminano un granché. Certo, “nel Concilio Vaticano II vi sono documenti dottrinali, che intendono riproporre verità di fede già definite o verità di dottrina cattolica (es. Cost. dogm. Dei Verbum, Cost. dogm. Lumen gentium), e vi sono documenti che intendono suggerire indicazioni o orientamenti per l’agire pratico, cioè per la vita pastorale come applicazione della dottrina (Dich. Nostra Aetate, Decreto Unitatis Redintegratio, Dich. Dignitatis humanae)”. Certamente anche “l’adesione agli insegnamenti del Magistero varia a seconda del grado di autorità e della categoria di verità propria dei documenti magisteriali”.
    Certamente. Ma Mons. Pozzo non dice per questo che l’adesione globale agli insegnamenti del Concilio sarà risparmiata alla Fraternità San Pio X. E giustamente, noi vogliamo sapere se, per essere scaglionata, secondo la sua natura dottrinale o disciplinare degli insegnamenti, e per essere graduata, secondo il grado di autorità con cui li impegna il Magistero, l’adesione a tutti questi testi del Concilio si rivelerà necessaria ed inevitabile. Se sì, noi non possiamo accettarlo. Perché, per attenerci a questi due documenti ritenuti di ordine dottrinale, Lumen gentium contiene il principio avvelenato della nuova ecclesiologia ecumenica, con il “Subsistit”, e “Dei Verbum” racchiude la nuova teologia della Tradizione vivente. E se l’adesione a questi testi non risulta necessaria, bisognerebbe spiegare perché: questo dovrebbe portare la Santa Sede a riconoscere prima o poi che la rottura tanto deplorata da papa Benedetto XVI non si situa solo a livello di un ipotetico “paraconcilio”.

La Misericordia che i fedeli cattolici debbono aspettarsi da Papa Francesco non è altro che quella della verità, intera ed inammissibile: verità incompatibile con gli errori e gli equivoci disseminati nei testi del Concilio e nelle riforme che ne sono seguite.

Ad un papa così goloso di ecologia, oseremo ricordare, in occasione di ciò che egli considera come il giubileo dei cinquant’anni del Vaticano II, quali siano gli attributi di un buon giardiniere? Sono quelli di un uomo che comincia con lo strappare le erbacce, prima di ripiantare la messe futura. “Ecce dedi verba mea in ore tuo; ecce constitui te hodie super gentes et super regna, ut evellas et destruas, ut aedifices et plantes[12].

Don Jean-Michel Gleize,
sacerdote della Fraternità San Pio X, professore di ecclesiologia al Seminario internazionale San Pio X di Écône.

 

Fonte: Le Courrier de Rome n° 587 di aprile 2016

 

[1] Discorso pubblicato nell’Agenzia di stampa I. Media e riportato dal giornale La Croix, il 20 marzo 2015. Per un’analisi di questo discorso, il lettore potrà riferirsi al Courrier de Rome dell’aprile 2015, all’articolo intitolato “Entrare nella Chiesa”, p. 4-8 (consultabile sul sito www.courrierderome.org).

[2] Mons. Fellay, “Intervista del 4 marzo 2016”.

[3] Mons. Lefebvre, Conferenza spirituale a Écône, 21 dicembre 1984 (Cospec 112).

[4] Il lettore potrà riferirsi agli studi di Mons. Lefebvre, Lo hanno detronizzato; Dubia sur la liberté religieuse, così come ai numero di :febbraio 2008;luglio/agosto 2008; giugno 2011; settembre 2012; dicembre 2013; marzo 2014; ottobre 2014 del Courrier de Rome (consultabili sul sito www.courrierderome.org).

[5] Il n° 9 di Dignitatis humanae afferma che “la dottrina della libertà religiosa ha le sue radici nella Rivelazione divina”.

[6] Mons. Lefebvre, Lo hanno detronizzato,cap. XXXII.

[7] Mons. Lefebvre, Accuso il Concilio, “Note riguardo al titolo”.

[8] Les Principes de la Théologie catholique. Esquisse et materiaux, Téqui, 1982, p. 424-425.

[9] Mons. Lefebvre, “Le Concile ou le triomphe du libéralisme” in Fideliter n° 59 (settembre-ottobre 1987), p. 33.

[10] Mons. Fellay, “Intervista del 4 marzo 2016”

[11] Mons. Lefebvre, Conferenza spirituale, Écône 21 dicembre 1984 (Cospec 112).

[12] Geremia I, 9-10 [NdT: “Ecco che ho messo le mie parole nella tua bocca. Ecco ti ho stabilito sopra le genti e sopra i regni, per svellere e distruggere e disperdere e dissipare, e per edificare e piantare”].