di Daniele Casi

Andare avanti! È questo l'imperativo che il circo mediatico pare aver recepito con maggior chiarezza in questo primo semestre di Ministero Petrino del nuovo Vescovo di Roma. Frasi come “Chi non cammina, alla fine va indietro”, “Abbiate il coraggio di andare controcorrente” ed altre ancora, sono state assunte come parole chiave di un'azione pastorale, ancora in gran parte da scoprire, che non trova commentatore che non manchi di sottolinearne la positività.

Se l'interpretazione di questo refrain fosse sostanzialmente spirituale, potrebbe andare anche bene: non insegna, forse, Sant'Agostino che nella vita spirituale o si progredisce o si arretra? Peccato, però, che questo “andare avanti” venga letto prevalentemente in chiave socio-politica.

Uscita dalle pastoie della gestione precedente, la Chiesa sarebbe finalmente proiettata ad un radioso futuro pieno di 'aria fresca', 'giornate di sole' e forse, pure una terza Pentecoste, grazie soprattutto alle prossime grandi riforme che saranno operate sulle strutture di governo. Chiara, secondo talune interpretazioni, sarebbe la volontà di superare rapidamente (e talvolta grossolanamente) il pontificato ratzingeriano per recuperare, in un sol balzo, quei famosi “duecento anni” su cui versò le sue ultime lacrime il moribondo cardinal Martini.

Le parole, i gesti visibili ed i temi cari al nuovo Papa possono, però, prestarsi anche ad un'altra lettura: quella che l'elezione del 13 marzo scorso, non ci abbia spinto su di un aereo supersonico per compiere il desiderato balzo in avanti, ma piuttosto su di una macchina del tempo che ci ha riportato indietro di poco meno di quarant'anni, al 1978 o giù di lì, a quella chiesa “profetica e pneumatica” (per dirla col Guru di Bose) che si trovò improvvisamente di fronte il 'Muro Polacco'  che, col suo attivismo, il suo carisma personale e la volontà, diciamo così, di tutto instaurare in sé, di fatto zittì tutte le voci che non cantavano la sua canzone. Archiviata, perciò, con un “buonasera” ogni discussione sull'ermeneutica del Vaticano II, hanno ritrovato pieno vigore, tutti i temi cari ai fautori della svolta di allora.

Innanzitutto la Chiesa “Popolo in cammino”; quel popolo di fronte al quale Francesco s'è inchinato sulla Loggia delle Benedizioni e dal quale pare convinto debbano salire gli imput per orientare l'azione della gerarchia; l'ecumenismo spinto al limite del sincretismo ed il rifiuto ostentato ed ostinato di ogni protocollo, di ogni simbolo e di ogni cerimoniale. Seguono, poi, i “poveri” con tutto il corollario di frasi e gesti visti fin qui e nel cui contesto non può stupire che il 'Custode della Dottrina', Müller, abbia smaniato[1] per far conoscere a tutti la sua simpatia per la 'Teologia della Liberazione' che proprio lui avrebbe finalmente sdoganato portando in udienza il suo ideologo fondatore da un Papa che, almeno in questo, come ci ha raccontato Sandro Magister[2], pare non aver troppo gradito.

Grazie, poi, alle quotidiane affermazioni ambigue, all'apertura incondizionata al dialogo con il mondo, al pregiudizio negativo per il passato, sta tornando nuovamente a far capolino l'incertezza dottrinale tipica dei rimpianti 'anni ruggenti'. Il revival si completa, però, con lo strombazzatissimo progetto di riforma della Curia di cui Francesco ha lamentato che “sia un poco calata dal livello che aveva un tempo, di quei vecchi curiali fedeli, che facevano il loro lavoro[3]". Pensando alla sua biografia è abbastanza verosimile il riferimento ai Segratari di Stato, Villot e Casaroli, ai Sostituti, Benelli e Silvestrini per arrivare alla gestione Sodano, Kasper e Re. Francesco rimpiange, insomma, la curia Wojtyliana di ascendenza Montiniana (quella di Ostpolitik e Banco Ambrosiamo, IOR ed Emanuela Orlandi, giù, giù discendendo fino a Vatileaks?) e la cosa parrebbe confermata dalla scelta del nuovo Segretario di Stato.

Una nomina spacciata per evento epocale, quando si è trattato di mero (ancorchè necessario) spoil system di un quasi ottuagenario Bertone. Chi è, allora, l'uomo nuovo destinato a dare sostanza alla riforma invocata dal Conclave? È il tipico prodotto di quella “vecchia curia fedele” di cui Bergoglio sentiva la nostalgia. Un uomo che, nelle dichiarazioni e nelle interviste rilasciate dopo la designazione, ha avuto premura di pronunziare tutte le parole chiave del dizionario conciliare, come “l'apertura ai segni dei tempi”[4] ed anche – giocando un po' col suo nome – alcune 'Parol..in libertà' sulla revisione della norma celibataria per sopperire alla scarsità del clero. Un tema, questo, decisamente nuovo (!) che più dell'andare avanti bergogliano, ricorda assai meglio il “tiriamo a campare” di andreottiana sagacia.

Speriamo di sbagliare perchè, anche lasciando passare tutto ciò di cui si è detto (ed è oggettivamente difficile farlo), ci si troverebbe per davvero di fronte ad una gerarchia fossilizzata sui suoi miti di gioventù, incapace di vedere altro che quelli e determinata a rimetterli “sul mercato” nonostante siano pezzi di modernariato incapaci di produrre alcun profitto. Ma il tempo è galantuomo e sei mesi, forse, sono davvero pochi per giudicare o anche solo per dar ragione a Lucio Battisti che cantava: “Macchina del tempo, tu perdi i pezzi e non lo sai. I pazzi sono i saggi e viceversa ormai”.



[1]    http://www.edizionimessaggero.it/ita/catalogo/scheda.asp?ISBN=978-88-250-3602-2

[2]    http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350589

[3]    http://www.vatican.va/holy_father/francesco/speeches/2013/july/documents/papa-francesco_20130728_gmg-conferenza-stampa_it.html

[4]    http://www.polisblog.it/post/153215/monsignor-pietro-parolin-il-riformatore-accanto-a-papa-francesco