Don Pierpaolo Maria Petrucci

Non è raro sentir parlare nella Chiesa, anche dopo l’ultimo Concilio, della necessità di evangelizzazione. Questo non potrebbe che rallegrarci se per evangelizzazione si intendesse ciò che la Chiesa ha sempre insegnato, cioè la necessità di predicare il Vangelo per la conversione delle anime. Purtroppo però, quando si considerano bene le cose, si capisce che il senso che oggi si dà all’evangelizzazione non è più questo. Per capirlo, vorrei ricordare il discorso che il Papa fece alla curia circa un anno fa, il 21 dicembre 2007. Egli si esprimeva, fra l’altro, appunto sul concetto di evangelizzazione, spiegando come conciliarlo con l’ecumenismo di cui è un fervente propagatore.

Si deve ancora evangelizzare?

Dopo aver citato il documento elaborato a Apparecida,1 durante la sua visita in Brasile, dove si afferma che il discepolo di Cristo deve essere missionario, il Papa si pone una  domanda: “È lecito ancora oggi "evangelizzare"? Non dovrebbero piuttosto tutte le religioni e concezioni del mondo convivere pacificamente e cercare di fare insieme il meglio per l'umanità, ciascuna nel proprio modo?” La questione è di grande importanza. Come conciliare infatti l’ecumenismo e, per estensione, il rapporto con le religioni non cristiane, fondato sul riconoscimento del valore salvifico di esse e, allo stesso tempo, la necessità di predicare il Vangelo per salvare le anime tramite la conversione alla verità e quindi la rinuncia agli errori? Il Papa, nella sua risposta comincia con l’affermare categoricamente che non si deve rinunciare allo spirito di Assisi che, in linea diretta con il Concilio Vaticano II e particolarmente con Nostra Aetate, afferma il rispetto di tutte le religioni e quindi il loro valore nel mistero della salvezza. “È indiscutibile, dice il Papa, che dobbiamo tutti convivere e cooperare nella tolleranza e nel rispetto reciproci. La Chiesa cattolica si impegna per questo con grande energia e, con i due incontri di Assisi, ha lasciato anche indicazioni evidenti in questo senso, indicazioni che, nell'incontro a Napoli di quest'anno, abbiamo ripreso nuovamente.”Il Papa poi menziona la lettera che, il 13 ottobre 2007, 138 responsabili religiosi mussulmani gli hanno inviato “per testimoniare il loro comune impegno nella promozione della pace nel mondo.” Egli dice di aver loro risposto “con gioia, sottolineando al tempo stesso l'urgenza di un concorde impegno per la tutela dei valori del rispetto reciproco, del dialogo e della collaborazione. Il riconoscimento condiviso dell'esistenza di un unico Dio, provvido Creatore e Giudice universale del comportamento di ciascuno, costituisce la premessa di un'azione comune in difesa dell'effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana per l'edificazione di una società più giusta e solidale.”

 

Cosa significa essere missionario oggi

In cosa consiste quindi l’evangelizzazione? In che modo il discepolo di Cristo deve essere missionario? Il Papa risponde dicendo che “chi ha riconosciuto una grande verità, chi ha trovato una grande gioia, deve trasmetterla, non può affatto tenerla per sé. Doni così grandi non sono mai destinati ad una persona sola. In Gesù Cristo è sorta per noi una grande luce, la grande Luce: non possiamo metterla sotto il moggio, ma dobbiamo elevarla sul lucerniere, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa (cfr Mt 5,15). Non si tratta più quindi prima di tutto di salvare delle anime che sono nell’errore, ma di far partecipare gli altri “a una grande gioia” e cooperare con loro all’edificazione di un mondo migliore. Il Papa continua a spiegare questo concetto con quanto segue: “San Paolo è stato instancabilmente in cammino recando con sé il Vangelo. Si sentiva addirittura sotto una sorta di "costrizione" ad annunciare il Vangelo, (cfr 1 Cor 9, 16), non tanto a motivo di una preoccupazione per la salvezza del singolo non battezzato non ancora raggiunto dal Vangelo, ma perché era consapevole che la storia nel suo insieme non poteva arrivare al suo compimento finché la totalità (pléroma) dei popoli non fosse stata raggiunta dal Vangelo (cfr Rm 11,25).

 

Per un mondo migliore o per la salvezza delle anime?

Come non scorgere dietro a queste affermazioni, la teoria della redenzione universale, di cui il concilio metteva le basi con la frase molto conosciuta di Gaudium et spes (N° 22), ripresa spesso da Giovanni Paolo II nelle sue encicliche: “Il medesimo Figlio di Dio, per la sua incarnazione, si è unito in un certo qual modo ad ogni uomo.” La conseguenza che si deduce da tale affermazione, è che ogni uomo, sia buddista, mussulmano, pagano o ateo, è già salvo, poiché unito al Salvatore per il solo fatto dell’incarnazione di Gesù. La missione della Chiesa diventa quindi quella di annunciare ad ogni uomo la grande gioia che egli, pur ignorandolo, è cristiano e salvato da Gesù Cristo. Poiché non vi è più la necessità della conversione per conseguire la salvezza eterna, gli uomini di tutte le religioni devono lavorare insieme nel “rispetto e nella tolleranza” per l’edificazione di una società più giusta e solidale. Ma questo è agli antipodi dell’insegnamento tradizionale della Chiesa. Essa ha sempre predicato la necessità della fede per giungere alla salvezza ed il dovere di propagarla, poiché, come dice Gesù: “Chi non crederà sarà condannato”. Fedeli a questo insegnamento, non possiamo che rigettare tali ambiguità ed errori e pregare perché le false dottrine dell’ecumenismo che paralizzano la missione evangelizzatrice, della Chiesa, possano essere espulse dal suo Corpo Mistico.

 

Don Pierpaolo Maria Petrucci

 

Nota 1. "Discipulos e misioneros de Jesucristo, para que en Él tengan la vida"

 

Veritas n° 66

 

Estratto del discorso di Benedetto XVI alla curia del 21 dicembre 2007, in cui spiega cosa intende per evangelizzazione

“Il discepolo di Gesù Cristo deve essere anche “missionario”, messaggero del Vangelo, ci dice quel documento. Anche qui si leva un’obiezione: è lecito ancora oggi “evangelizzare”? Non dovrebbero piuttosto tutte le religioni e concezioni del mondo convivere pacificamente e cercare di fare insieme il meglio per l’umanità, ciascuna nel proprio modo? Ebbene, è indiscutibile che dobbiamo tutti convivere e cooperare nella tolleranza e nel rispetto reciproci. La Chiesa cattolica si impegna per questo con grande energia e, con i due incontri di Assisi, ha lasciato anche indicazioni evidenti in questo senso, indicazioni che, nell’incontro a Napoli di quest’anno, abbiamo ripreso nuovamente. Al riguardo mi piace qui ricordare la lettera gentilmente inviatami il 13 ottobre scorso da 138 leader religiosi musulmani per testimoniare il loro comune impegno nella promozione della pace nel mondo. Con gioia ho risposto esprimendo la mia convinta adesione a tali nobili intendimenti e sottolineando al tempo stesso l’urgenza di un concorde impegno per la tutela dei valori del rispetto reciproco, del dialogo e della collaborazione. Il riconoscimento condiviso dell’esistenza di un unico Dio, provvido Creatore e Giudice universale del comportamento di ciascuno, costituisce la premessa di un’azione comune in difesa dell’effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana per l’edificazione di una società più giusta e solidale.

Ma questa volontà di dialogo e di collaborazione significa forse allo stesso tempo che non possiamo più trasmettere il messaggio di Gesù Cristo, non più proporre agli uomini e al mondo questa chiamata e la speranza che ne deriva? Chi ha riconosciuto una grande verità, chi ha trovato una grande gioia, deve trasmetterla, non può affatto tenerla per sé. Doni così grandi non sono mai destinati ad una persona sola. In Gesù Cristo è sorta per noi una grande luce, la grande Luce: non possiamo metterla sotto il moggio, ma dobbiamo elevarla sul lucerniere, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa (cfr Mt 5,15). San Paolo è stato instancabilmente in cammino recando con sé il Vangelo. Si sentiva addirittura sotto una sorta di “costrizione” ad annunciare il Vangelo (cfr 1 Cor 9, 16) – non tanto a motivo di una preoccupazione per la salvezza del singolo non-battezzato, non ancora raggiunto dal Vangelo, ma perché era consapevole che la storia nel suo insieme non poteva arrivare al suo compimento finché la totalità (pléroma) dei popoli non fosse stata raggiunta dal Vangelo (cfr Rm 11,25). Per giungere al suo compimento, la storia ha bisogno dell’annuncio della Buona Novella a tutti i popoli, a tutti gli uomini (cfr Mc 13,10). E di fatto: quanto è importante che confluiscano nell’umanità forze di riconciliazione, forze di pace, forze di amore e di giustizia – quanto è importante che nel “bilancio” dell’umanità, di fronte ai sentimenti ed alle realtà della violenza e dell’ingiustizia che la minacciano, vengano suscitate e rinvigorite forze antagoniste! È proprio ciò che avviene nella missione cristiana. Mediante l’incontro con Gesù Cristo e i suoi santi, mediante l’incontro con Dio, il bilancio dell’umanità viene rifornito di quelle forze del bene, senza le quali tutti i nostri programmi di ordine sociale non diventano realtà, ma – di fronte alla pressione strapotente di altri interessi contrari alla pace ed alla giustizia – rimangono solo teorie astratte.

Così siamo tornati alle domande poste all’inizio: Ha fatto bene Aparecida, nella ricerca di vita per il mondo a dare la priorità al discepolato di Gesù Cristo e all’evangelizzazione? Era forse un ripiegamento sbagliato nell’interiorità? No! Aparecida ha deciso giustamente, perché proprio mediante il nuovo incontro con Gesù Cristo e il suo Vangelo – e solo così – vengono suscitate le forze che ci rendono capaci di dare la giusta risposta alle sfide del tempo.

 

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