Arnaldo Vidigal Xavier Da Silveira «Catolicismo», n° 223, luglio 1969, San Paolo del Brasile.

Introduzione

La teologia ci fornisce numerose ragioni a sostegno della tesi secondo cui, in via di principio, vi possono essere errori in documenti del magistero non forniti delle condizioni di infallibilità. Tali ragioni sono tante e di tale peso che ci pare sufficiente fare cenno ad alcune di esse per dare al lettore una visione sommaria dell’argomento.

 

Possibilità di errori in documenti episcopali

Dobbiamo anzitutto notare che il magistero della Chiesa si compone del Papa e dei vescovi, unici autorizzati a parlare ufficialmente a nome della Chiesa come interpreti autentici della Rivelazione. Sacerdoti e teologi non godono del privilegio dell’infallibilità in nessun caso, neppure quando insegnano con la missione canonica ricevuta dal Papa o da un vescovo. Anche i vescovi, quando parlano isolatamente o insieme, possono errare, a meno che, in Concilio o fuori di esso, definiscano un dogma assieme al Sommo Pontefice (cum Petro et sub Petro). Nella dottrina della Chiesa è pacifico il principio secondo cui i vescovi non sono mai infallibili quando si pronunciano senza il Sommo Pontefice. In proposito mons. Antonio de Castro Mayer, vescovo di Campos, scrive: «essendo infallibile il magistero pontificio, e fallibile, anche se ufficiale, quello dei singoli vescovi, è possibile, per la fragilità umana, che l’uno o l’altro vescovo cada in errore; e la storia registra alcune di tali cadute»[1].

A questo punto, dunque, s’impone una conclusione: quando ragioni evidenti mostrano che un vescovo, alcuni vescovi insieme o anche tutto l’episcopato di un Paese o di una parte del globo sono caduti in errore, niente autorizza il fedele ad abbracciare questo errore adducendo la scusa che non gli è lecito divergere da coloro che sono stati posti da nostro Signore a capo del suo gregge. Sarà per lui lecito, o persino doveroso, dissentire da siffatti insegnamenti episcopali. Questo dissenso, a seconda dei casi, potrà essere anche pubblico.

La definizione del Concilio Vaticano I

Passando dai documenti episcopali a quelli pontifici, vedremo inizialmente che, in via di principio, anche nell’uno o nell’altro di questi vi può essere qualche errore in materia di fede e di morale. Il fatto si ricava dalla definizione stessa della infallibilità pontificia data dal Concilio Vaticano I. In essa si stabiliscono le condizioni nelle quali il Papa è infallibile. È facile comprendere che, quando non vengano osservate tali condizioni, in via di principio potrà esservi errore anche in un documento papale[2]. In altri termini potremmo dire che il semplice fatto che i documenti del magistero si dividano in infallibili e in “non infallibili” lascia aperta, in teoria, la possibilità di errore in qualcuno di quelli non infallibili. Questa conclusione si impone in base al principio metafisico enunciato da San Tommaso d’Aquino: «quod possibile est non esse, quandoque non est», «ciò che può non essere [infallibile], talora non è [infallibile]»[3].

Se, in via di principio, in un documento pontificio vi può essere errore per il fatto che non sono osservate le quattro condizioni dell’infallibilità, lo stesso si deve dire a proposito dei documenti conciliari, quando non osservino le medesime condizioni. In altri termini, quando un Concilio non intende definire con voluntas obligandi verità di fede come divinamente rivelate, può cadere in errore. Questa conclusione deriva dalla simmetria esistente tra l’infallibilità pontificia e quella della Chiesa, simmetria messa in evidenza dallo stesso Concilio Vaticano I[4].

Sospensione  dell’assenso interno

A favore della tesi secondo cui de jure, in via di principio, vi può essere errore anche in documenti pontifici e conciliari milita pure 1’argomento che teologi tra i più quotati ammettono che, in casi molto specifici e straordinari, il cattolico può sospendere il suo assenso ad una decisione del magistero.

Di per sé le decisioni pontificali, anche quando sono non infallibili, postulano l’assenso sia esterno (“silenzio ossequioso”) che interno dei fedeli. Pio XII nella Humani generis ha espresso questa verità in termini incisivi: «Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle encicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso, col pretesto che i Pontefici non vi esercitano il potere del loro magistero supremo. Infatti questi insegnamenti sono del magistero ordinario, per cui valgono pure le parole: “Chi ascolta voi, ascolta me” (Lc. X, 16)»[5]. Tuttavia, quando vi costatasse «un’opposizione precisa tra un testo di enciclica e le altre testimonianze della Tradizione apostolica»[6], allora sarà lecito al fedele dotto e che abbia studiato accuratamente la questione, sospendere o negare il suo assenso al documento papale. Questa dottrina si trova in teologi molto autorevoli. Ne citiamo alcuni.

• «Questi atti non infallibili del magistero del Romano Pontefice non obbligano a credere e non postulano una sottomissione assoluta e definitiva. Tuttavia bisogna aderire con un assenso religioso e interno a tali decisioni, dal momento che costituiscono atti del supremo magistero della Chiesa, e che si fondano su solide ragioni naturali e soprannaturali. L’obbligo di aderire ad esse può cominciare a cessare solo nel caso, che si da soltanto rarissimamente, in cui un uomo idoneo a giudicare l’argomento in questione, dopo una diligente e ripetuta analisi di tutte le ragioni, giunga alla convinzione che nella decisione si è introdotto l’errore»[7].

«[...] Si deve assentire ai decreti delle Congregazioni Romane, finché non diventi positivamente chiaro che hanno errato. Siccome le Congregazioni, per sé, non forniscono un argomento assolutamente certo a favore di una data dottrina, si possono o perfino si devono indagare le ragioni di questa dottrina.  E così, o succederà che tale dottrina sia lentamente accettata in tutta la Chiesa raggiungendo in questo modo la condizione d’infallibilità, o succederà che l’errore sia a poco a poco individuato. Infatti, siccome il citato assenso religioso non si basa su una certezza metafisica, ma solo morale, non esclude ogni timore di errore per accidens. Perciò appena sorgano sufficienti motivi di dubbio, l’assenso sarà prudentemente sospeso; ciò nonostante, finché non si presentino tali motivi di dubbio, l’autorità delle Congregazioni basta per obbligare ad assentire. Gli stessi princìpi si applicano senza difficoltà alle dichiarazioni che il Sommo Pontefice emette senza coinvolgere la sua autorità suprema e anche alle decisioni degli altri superiori ecclesiastici, che non sono infallibili»[8].

«[...] Finché la Chiesa non insegna con autorità infallibile, la dottrina proposta non è di per sé irreformabile; perciò,  se per accidens, in un’ipotesi per altro rarissima, dopo un esame assai accurato a qualcuno sembra che esistano ragioni gravissime contro la dottrina così proposta, sarà lecito senza temerarietà sospendere l’assenso «[...] Se alla mente del fedele si presentano ragioni gravi e solide, soprattutto teologiche, contro decisioni del magistero autentico [=non infallibile], sia episcopale che pontificio, gli sarà lecito respingere l’errore, assentire condizionatamente, o perfino sospendere anche l’assenso [...]»[9].

• Nell’ipotesi di decisioni non infallibili «deve il suddito, eccetto il caso in cui abbia l’evidenza che la cosa comandata sia illecita, dare un assenso interno. [...] Se poi qualche dotto studioso avesse delle ragioni gravissime per sospendere l’assenso, può sospenderlo senza temerità e senza peccato [...]»[10].

Il consiglio dato per lo più al fedele, in tali casi è di «sospendere il giudizio» sull’argomento. Se detta «sospensione del giudizio» suppone un’astensione, da parte del fedele, da qualsiasi presa di posizione di fronte all’insegnamento pontificio in questione, essa rappresenta soltanto una delle posizioni lecite nell’ipotesi considerata. Di fatto la «sospensione dell’assenso interno», di cui parlano i teologi, ha un significato più ampio della semplice «sospensione del giudizio» del linguaggio corrente. A seconda delle circostanze, il diritto di «sospendere l’assenso interno» comporta quello di temere che vi sia errore nel documento del magistero, di dubitare dell’insegnamento in esso contenuto, o anche quello di rifiutarlo.

Una prima possibile obiezione

Alla tesi che stiamo sostenendo sarebbe possibile obiettare che non tutti gli autori ammettono questa  sospensione dell’assenso interno. È il caso di Choupin[11], Pègues[12] e Salaverri[13]. Tuttavia anche questi autori non negano la possibilità di errore nei documenti del magistero: «posto che la decisione non viene garantita dall’infallibilità, la possibilità di errore non è esclusa»[14]. Essi sostengono soltanto che la grande autorità religiosa del Papa, il valore scientifico dei suoi consiglieri e tutto quanto circonda i documenti non infallibili consigliano di non sospendere l’assenso interno, anche quando uno studioso abbia ragioni serie per pensare che la decisione pontificia sia affetta da errore.

Non è il caso di analizzare in questa sede con maggiori particolari la posizione di questi teologi. Per il momento ci basta di aver dimostrato, come abbiamo fatto, che anch’essi ammettono la possibilità di errore in documenti del magistero ordinario. Quanto al giudizio da emettere a proposito della loro tesi secondo cui non è mai permesso sospendere l’assenso interno[15], crediamo che questi autori non abbiano preso in considerazione l’ipotesi che si trovino uniti nello stesso caso i seguenti fattori: 1) che le circostanze della vita concreta obblighino, in coscienza, il fedele a prendere posizione di fronte a un problema; 2) che gli appaia evidente un’opposizione precisa tra l’insegnamento del magistero ordinario sull’argomento e le altre testimonianze della Tradizione; 3) che la decisione infallibile, capace di mettere termine alla questione, non sia stata proferita. Nell’ipotesi, dottrinalmente ammissibile, che questi tre fattori si uniscano, ci sembra che nessun teologo condanni la sospensione dell’assenso interno ad una decisione non infallibile. Condannarla sarebbe perfino un atto contro natura e violento, perché significherebbe obbligare a credere, contro l’evidenza stessa, in qualcosa che non è garantito dall’infallibilità della Chiesa.

Altra possibile obiezione

Contro la tesi secondo cui vi possono essere errori in documenti del magistero ordinario pontificio o conciliare si presenterebbe anche un’altra obiezione: secondo alcuni autori di valore, come i cardinali Franzelin e Billot, anche i documenti non infallibili sono garantiti contro qualsiasi errore dall’assistenza dello Spirito Santo[16]. In questo modo, la tesi che stiamo sostenendo potrebbe sembrare incerta e ci si potrebbe chiedere se non sarebbe più consono allo spirito eminentemente gerarchico, e perfino monarchico, dell’organizzazione della Chiesa, adottare il parere di questi eminenti teologi. Non sarebbe, infatti, più conforme alla condizione di figli della Chiesa ammettere che è assurdo che vi sia qualche errore anche in pronunciamenti non ex cathedra? Un’analisi esauriente di questo problema ci porterebbe molto oltre gli obiettivi del presente studio. Perciò qui ci interessa soltanto di mostrare che anche i cardinali Franzelin e Billot, come gli altri teologi che ne adottano la posizione, in ultima analisi ammettono la possibilità di errore in documenti non infallibili.

Essi partono dal presupposto che i documenti della Santa Sede o insegnano una dottrina infallibile, oppure dichiarano che una determinata sentenza è sicura o non è sicura: «In queste dichiarazioni, benché la verità della dottrina non sia infallibile - ammesso che non vi sia intenzione di definire l’argomento - vi è tuttavia sicurezza infallibile, in quanto per tutti è sicuro abbracciarla e non è sicuro respingerla, e questo non può essere fatto senza violare la sottomissione dovuta al magistero costituito da Dio»[17]. Questi autori, dunque, riconoscono che nei pronunciamenti non infallibili il magistero non si impegna nell’affermare la verità della dottrina che propone, ma sostiene soltanto che questa dottrina non presenta pericolo per la fede nelle circostanze del momento. Questi teologi ammettono chiaramente, che l’insegnamento contenuto in questi documenti può essere falso: «La dottrina a favore della quale esiste una solida possibilità che non si opponga alla regola della fede [in tal senso dichiarata “sicura”] sarà forse teologicamente falsa sul terreno speculativo, cioè se presa in rapporto alla norma di fede oggettivamente considerata»[18]. È evidente, pertanto, che anche questi autori ammettono la possibilità di errore per quanto riguarda la dottrina contenuta in documenti del magistero ordinario.

Che pensare poi della teoria secondo cui i pronunciamenti non infallibili mirano soltanto a dichiarare che una dottrina è sicura o non è sicura? Questa teoria non sembra concordare con i termini della maggior parte dei documenti della Santa Sede. In alcuni chiaramente si tratta soltanto della sicurezza o del pericolo di una certa dottrina, ma in molti altri - nelle encicliche, per esempio - è manifesto il proposito di presentare insegnamenti come certi, e non solo come sicuri. Inoltre, gli autori in generale hanno abbandonato questa teoria[19]. Tuttavia, ora non è il caso di analizzare dettagliatamente la citata posizione dei cardinali Franzelin e Billot. Ci basta solo sottolineare che, anche secondo loro, in via di principio non si può escludere la possibilità di errore dottrinale in documenti pontifici e conciliari.

Conclusione

Da quanto esposto si deduce che, in via di principio, non ripugna l’esistenza di errori in documenti non infallibili del magistero anche pontificio e conciliare. Indubbiamente tali errori non possono essere durevolmente proposti nella Santa Chiesa fino al punto da mettere le anime nel dilemma di accettare l’insegnamento falso oppure di rompere con la Chiesa. Tuttavia è possibile, in via di principio, che per qualche tempo, soprattutto in periodi di crisi e di grandi eresie, si trovi qualche errore in documenti del magistero.

Com’è evidente, facciamo queste osservazioni senza alcun obiettivo demolitore. Non miriamo a fondare le «contestazioni» ereticali con cui i progressisti cercano, in ogni momento, di scuotere il  principio di autorità nella Chiesa. Quello a cui di fatto miriamo, mettendo in risalto la possibilità di errore in documenti non infallibili, è di illuminare i problemi di coscienza e gli studi di molti antiprogressisti, che, per il fatto di ignorare tale possibilità, si trovano spesso in condizione di perplessità per quanto riguarda il Concilio Vaticano II e le riforme da esso scaturite

Qual è l’autorità dottrinale

dei documenti pontifici e conciliari?

«Catolicismo» n. 202, ottobre 1967, San Paolo del Brasile.

«Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa»[20]; «Ed ecco che io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli»[21]; «Io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, una volta convertito, confermi i tuoi fratelli»[22].

Sono numerosi i passi scritturali in cui il Verbo Incarnato insegna la indefettibilità della Cattedra di Verità, personificata dal Principe degli Apostoli e dai suoi successori. Per questo i Santi, con un attaccamento pieno di trasporto e di ardore per la Cattedra di Pietro, affermano che il Papa è il «dolce Cristo in terra» (Santa Caterina da Siena), «colui che dà la verità a quelli che la chiedono» (San Pier Crisologo), colui che, parlando, mette fine alle questioni relative alla fede (sant’Agostino).

L’infallibilità dei Sommi Pontefici e della Chiesa è garanzia della Tradizione e di tutto quanto è contenuto nella Rivelazione. Se non vi fosse questa garanzia, la malizia e la debolezza degli uomini avrebbero subito deturpato e corrotto il deposito rivelato con lo stesso odio e con lo stesso impeto satanico con cui hanno ucciso il Figlio stesso di Dio.

Nell’epoca di sovvertimento di tutti i valori nella quale viviamo, quando, al dire di Giovanni XXIII, la norma è l’antidecalogo, è fondamentale conoscere l’ampiezza della infallibilità del Papa e della Chiesa.

Due concezioni erronee dell’infallibilità pontificia

Nello spirito di molti cattolici di istruzione religiosa media è radicata l’idea [erronea] che il Sommo Pontefice è infallibile in tutto quanto insegna. In altri troviamo la nozione ugualmente errata secondo cui vi è infallibilità soltanto nelle definizioni solenni, come quella dell’Assunzione di Maria Santissima. Altri ancora si chiedono se un concilio ecumenico sia sempre infallibile, se il Papa possa errare, se è obbligatorio credere a tutto quello che hanno insegnato i Papi nel corso dei secoli, a tutti i documenti dottrinali delle Congregazioni romane, a tutto quello che insegnano i vescovi, o almeno il proprio vescovo, e che differenza esista tra l’infallibilità del Papa e quella della Chiesa.

Nei ristretti limiti di questo articolo, analizzeremo i punti fondamentali di questi problemi, senza affrontare i loro aspetti collaterali, spesso estremamente sottili e complessi.

Un’obiezione preliminare:

È lecito trattare questo argomento?

Un cattolico devoto al papato, e quindi particolarmente zelante per il carattere monarchico della Chiesa, potrebbe chiederci preliminarmente se sia lecito trattare simili argomenti e se non sarebbe, invece, indice di maggiore pietà accettare come infallibile tutto quanto insegnano sia i Papi che i Vescovi.

Gli risponderemmo che i fedeli non devono prendere in considerazione una Chiesa diversa da come l’ha istituita Nostro Signore e che, se su un punto tanto fondamentale della dottrina cattolica aleggiano dubbi tra i fedeli, è compito anche di pubblicazioni cattoliche contribuire a chiarirli, perché la dottrina della Chiesa non è esoterica. Inoltre che siamo spinti ad affrontare questo argomento dal fatto che oggi i progressisti cercano in mille modi di sminuire le prerogative del pontificato romano e predicano la ribellione contro il secolare insegnamento del Magistero.

Perciò risponderemmo al nostro ipotetico contraddittore: -L’atteggiamento di maggiore pietà è conoscere la Chiesa così come l’ha istituita Gesù Cristo. Cercare di “perfezionare” la sua struttura significa, invece, volerla svisare, volerla modellare a immagine e somiglianza del nostro orgoglio. Dobbiamo, quindi, conoscerla, amarla, ammirarla e venerarla così com’è nella sua perfezione essenziale di Sposa di Cristo, mentre dobbiamo mettere tutto il nostro impegno nell’arricchirla con la perfezione accidentale che le conferisce la santificazione dei suoi figli.

 

Magistero pontificio e universale, ordinario e straordinario

Prima di affrontare il problema della infallibilità, bisogna fissare alcune distinzioni fondamentali.

Il Magistero ecclesiastico deve essere preventivamente diviso in pontificio e universale. Magistero pontificio è quello del Papa, capo supremo della Chiesa. Magistero universale è quello dell’insieme dei Vescovi in comunione con il Sommo Pontefice.

Nel Magistero pontificio il successore di San Pietro parla individualmente e per autorità propria. Per esempio, attraverso encicliche, costituzioni apostoliche, allocuzioni dirette a pellegrini ecc.

Nel Magistero universale parla l’insieme dei Vescovi in unione con il Papa, siano essi riuniti in concilio che dispersi nelle loro Diocesi.

N. B. È assolutamente necessario guardarsi da una concezione errata del Magistero universale, secondo cui i Vescovi potrebbero insegnare indipendentemente dal Papa. Niente di più falso. Tenendo presente il carattere monarchico della Chiesa, l’insegnamento dei Vescovi, sia quando sono riuniti in Concilio sia quando sono dispersi nel mondo, non avrebbe nessuna autorità se non fosse approvato, almeno implicitamente, dal Papa. Il Magistero universale trae tutta la sua autorità dall’unione con il Sommo Pontefice.

Il carattere monarchico della Chiesa è di diritto divino, ed è stato oggetto di numerose definizioni del Magistero[23]. [...].

Altra distinzione basilare, che è necessario richiamare, è quella tra Magistero ordinario e Magistero straordinario.

Nel Magistero straordinario ogni pronunciamento gode dell’infallibilità di per sé stesso. Di questo tipo sono le definizioni solenni come quelle della Immacolata Concezione, della Infallibilità pontificia, della Assunzione di Maria Santissima. Ma, come più avanti vedremo, non tutto quanto insegnano i Papi, i concili e i vescovi è di per sé infallibile. [...].

Sia il Magistero pontificio sia il Magistero universale [dell’episcopato] può essere ordinario e straordinario [vedi Schema finale].

N. B. Cercando di farsi un’idea del Magistero universale straordinario, è necessario non confondere il senso che abbiamo appena attribuito al termine «straordinario» con l’altro senso, che la parola comporta, di cosa fuori dal comune, che si sottrae alla routine di tutti i giorni. Infatti, ogni Concilio è straordinario nel senso che non è permanentemente riunito; ma il suo insegnamento è straordinario soltanto se definisce un dogma di fede. In questo articolo useremo il termine «straordinario» unicamente in quest’ultimo senso di definizione infallibile.

Tra i teologi, la parola "straordinario" si trova usata ora in un senso, ora in un altro, il che ci sembra fonte di non piccole confusioni[24]. Preferiamo adottare la terminologia indicata perché, oltre a sembrarci più didattica, è stata sanzionata da Paolo VI in due discorsi relativi al Concilio Vaticano II[25]. Ad analoga confusione si presta la parola «solenne», che talora indica il pronunciamento di per se stesso infallibile, talora quello che si circonda anche di formule particolarmente solenni[26].

I pronunciamenti pontifici «ex cathedra»

ovvero il Magistero pontificio straordinario

Analizziamo inizialmente il Magistero pontificio straordinario.

Dalle lezioni di catechismo ogni cattolico ricorda che il Papa è infallibile quando parla ex cathedra e in materia di fede e di morale. Formula vera, ma che per il suo carattere estremamente laconico - per altro inevitabile - può indurre in inganno, e perciò richiede alcune spiegazioni.

Infatti, che cosa significa ex cathedra? Parlare dalla Cattedra di Pietro significa soltanto insegnare ufficialmente? Significa rivolgersi alla Chiesa universale? Le encicliche, per esempio, essendo documenti ufficiali, in generale diretti a tutta la Chiesa, sono ipso facto pronunciamenti ex cathedra?

Nella definizione della infallibilità pontificia data dal Concilio Vaticano I troviamo la soluzione chiave per questi dubbi. La costituzione Pastor Aeternus stabilisce le condizioni necessarie per la infallibilità delle definizioni pontificie. Insegna che il Papa è infallibile «quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo l’ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica definisce che una dottrina, riguardante la fede ed i costumi, deve tenersi da tutta la Chiesa»[27].

I teologi sono unanimi nel vedere in questa definizione la soluzione del problema delle condizioni della infallibilità pontificia[28].

Pertanto le condizioni necessarie perché si abbia un pronunciamento del Magistero pontificio straordinario sono quattro:

1) che il Papa parli come Dottore e Pastore universale;

2) che usi della pienezza della sua autorità apostolica;

3) che manifesti la volontà di definire;

4) che tratti di fede ò di morale.

L’infallibilità è una facoltà che risiede nella persona del Pontefice come in un essere dotato di intelligenza e di volontà. Egli perciò può usarne o non usarne, a seconda che lo voglia o no. Nella sua vita privata, per esempio, in una conversazione con amici o in una lettera a un parente, è chiaro che il Papa non sta usando della sua infallibilità. Di qui la prima condizione, e cioè che il Papa parli come Maestro universale [“adempiendo l’ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani”].

In più di un documento, Benedetto XIV afferma che non sta emettendo una opinione teologica come Sommo Pontefice, ma come semplice dottore privato. Lo stesso ha dichiarato san Pio X a proposito delle affermazioni che il Papa fa nelle udienze private[29]. Perché si abbia infallibilità tuttavia non è sufficiente che il Papa insegni come Maestro universale. È necessario che sia rispettata una seconda condizione, e cioè che il Papa parli usando della pienezza dei suoi poteri [in virtù della sua suprema autorità apostolica]. L’importanza e la gravità di un pronunciamento infallibile sono tali che dev’essere ben chiaro che, emettendolo, il Papa sta facendo uso della pienezza delle prerogative che gli competono come legittimo successore di san Pietro. Per questa ragione tanto Pio IX nella definizione della Immacolata Concezione, quanto Pio XII in quella della Assunzione dichiarano di parlare «per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra».

Tuttavia, anche questo non basta. Infatti, anche parlando come Maestro universale e nell’uso di tutta la sua autorità, il Papa può limitarsi a raccomandare una dottrina, o a ordinare che sia insegnata nei seminari, o a mettere in guardia i fedeli dal pericolo presente nella sua negazione. Per questa ragione vi è una terza condizione, e cioè la manifestazione della volontà di definire [ovvero di mettere fine ad una questione dottrina].

Questa volontà di definire manca, per esempio, nei documenti, pur tuttavia tanto saggi, positivi ed energici, con i quali i Papi hanno raccomandato o anche imposto ai professori di filosofia e sacra teologia lo studio e l’insegnamento del tomismo. Tra gli altri, l’enciclica Aeterni Patris di Leone XIII, il motu proprio Doctoris angelici di San Pio X, e l’enciclica Studiorum ducem di Pio XI.

L’ultima condizione dell’infallibilità è che il Papa tratti di materia di fede e di morale. Non aggiungiamo altro perché esorbiterebbe dai limiti di questo articolo studiare gli oggetti primari e secondari della infallibilità[30].

Il punto cruciale: la manifestazione

della volontà di definire

II punto cruciale del problema è nella terza condizione, e cioè che vi sia intenzione di definire. Come si manifesta questa intenzione? Con l’uso della parola «definiamo»? Con la scomunica di chi dica il contrario? Con la natura giuridica del documento?

Nessuno di questi segni è apodittico[31]. Fondamentale è che sia chiaro, in un modo o nell’altro, che il Papa vuole definire un dogma. Per questa ragione, nelle definizioni solenni, i Sommi Pontefici accumulano i verbi per rendere indiscutibile la loro intenzione: «promulghiamo, decretiamo, definiamo, dichiariamo, proclamiamo» ecc.

In altri casi, potranno mancare tali verbi, ma le circostanze che circondano il documento manifesteranno che vi è stata la volontà di definire. È quanto accade quando il Papa impone a tutta la Chiesa l’accettazione di una formula di fede, o quando risolve ufficialmente e definitivamente una disputa dottrinale con un documento indirizzato, in modo almeno indiretto, alla Chiesa universale.

Il Magistero universale straordinario

II Concilio Vaticano I non ha dichiarato in che condizioni un concilio ecumenico è infallibile. Ma, per analogia con il Magistero pontificio, si può affermare che le condizioni sono le medesime quattro. Come il Papa, il Concilio ha la facoltà di essere infallibile, ma può usarne o no, a sua volontà.

Molti cattolici male informati potrebbero a questo punto obiettare di aver sempre sentito dire che ogni Concilio ecumenico è necessariamente infallibile. Questo non è, però, quanto dicono i teologi.

San Roberto Bellarmino spiega che solo dalle parole del Concilio si può sapere se i suoi decreti sono proposti come infallibili e conclude che, quando le espressioni al riguardo non sono chiare, non è certo che tale dottrina sia di fede[32]. E, se non è certo che sia di fede, non è dogma, perché, secondo il Codice di Diritto Canonico, «nessuna verità deve essere considerata come dichiarata o definita come dogma, a meno che questo consti in modo manifesto»[33].

Uno studio esauriente del Magistero universale straordinario dovrebbe comportare l’analisi di numerosi problemi, che eccedono i limiti di questo articolo. Tuttavia per dare al lettore una visione più vasta dell’argomento, anche se sommaria, enunciamo alcune tesi che sono pacifiche tra i teologi non progressisti:

- le decisioni conciliari non possono essere infallibili se non sono state approvate dal Papa;

- un concilio è infallibile soltanto in quello che chiaramente impone come doveroso da credere;[34]

- il Concilio di Trento e il Vaticano I vollero definire non solo nei loro canoni, ma anche nei loro capitoli dottrinali[35].

Infallibilità per continuità

di un insegnamento del Magistero ordinario

Non si può definire il Magistero ordinario, sia pontificio che universale, come quello costituito dagli insegnamenti che non godono della nota della infallibilità.

È vero che, di per sé, cioè isolato dagli altri, un insegnamento del Magistero ordinario non comporta l’infallibilità. Ad esempio, quando l’enciclica Ad diem illum di San Pio X sostiene la Corredenzione di Maria, non dice nulla che impegni la infallibilità pontificia. In questo caso siamo ben lontani dalle definizioni solenni, come per esempio, quella della bolla Ineffabilis Deus, che ha definito la Immacolata Concezione e che da sola basterebbe a chiudere la questione, anche se non vi fosse nessun altro pronunciamento pontificio in proposito. Tuttavia il Magistero ordinario può in altro modo comportare la infallibilità.

A proposito della Corredenzione di Maria, infatti, il padre J. A. Aldama S. J. dice: «Benché il Magistero ordinario del Pontefice Romano non sia di per sé infallibile, se però insegna costantemente e per un lungo periodo di tempo una certa dottrina a tutta la Chiesa, come accade nel nostro caso [quello della Corredenzione], si deve assolutamente ammettere la sua infallibilità; in caso contrario, la Chiesa indurrebbe in errore»[36]. Pertanto, per il padre Aldama, la Corredenzione Mariana è dottrina già oggi infallibilmente insegnata dalla Chiesa, benché non sia ancora stata oggetto di un pronunciamento straordinario, né pontificio né universale. In questo caso ci troviamo di fronte alla infallibilità del Magistero ordinario [non per se stesso ma] per la continuità del medesimo insegnamento. Si tratta di un principio importantissimo, di cui generalmente si dimenticano molti cattolici che pur studiano la nostra fede[37]..

Il fondamento dottrinale di questo titolo di infallibilità è quello indicato dal padre Aldama: se in una lunga e ininterrotta serie di documenti ordinari su uno stesso punto i Papi e la Chiesa universale potessero ingannarsi, le porte dell’inferno avrebbero prevalso contro la Sposa di Cristo. Essa si sarebbe trasformata in maestra di errori, alla cui influenza pericolosa e perfino nefasta i fedeli non avrebbero modo di sfuggire.

Che lasso di tempo è necessario perché una determinata verità si possa dire infallibile per la continuità del Magistero ordinario? È puerile voler decidere tali questioni con la clessidra in mano. I fatti viventi non si misurano con calcolatori ma con il buon senso, unico strumento capace di pesare gli imponderabili. E i fatti della fede, che, oltre a essere viventi, sono di ordine soprannaturale, si misurano soltanto con il senso cattolico, ispirato dalla grazia.

Fattori che contano nello stabilire la continuità

di un insegnamento del Magistero ordinario

Evidentemente il fattore tempo non è l’unico di cui si debba tenere conto. Ve ne sono numerosi altri, dei quali indicheremo solo alcuni per orientare il lettore, rinunziando a una enumerazione esauriente. Non analizzeremo neanche minuziosamente i fattori indicati e ancor meno le questioni collaterali che ciascuno di essi potrebbe suggerire, poiché il farlo esorbiterebbe dagli stretti limiti di questo articolo.

• L’importanza che il Papa dà al documento. Se questa importanza è grande, nello stabilire la continuità il pronunciamento avrà un peso molto maggiore di un altro che sia stato oggetto di una piccola insistenza e rilievo da parte dello stesso Pontefice.

• Importanza che i Papi posteriori danno al documento. Molto frequentemente i Sommi Pontefici citano i loro predecessori, ripetono ciò che essi hanno insegnato, elogiano i loro documenti. Questa prassi, che potrebbe sembrare una semplice manifestazione protocollare di rispetto, ha invece una enorme importanza nello stabilire la continuità di un insegnamento. Infatti rende evidente che il Papa posteriore vuole battere le stesse vie del suo predecessore.

• La solennità del pronunciamento. Una enciclica o una costituzione conciliare, per esempio, pesano più di un discorso pronunciato dal Papa in una pubblica udienza.

• L’universalità dell’insegnamento. Le lezioni di catechismo date da san Pio X al popolo di Roma e ai pellegrini hanno minore autorità dei radiomessaggi natalizi che Pio XII dirigeva ogni anno a tutto il mondo cattolico.

• L’uditorio a cui il Papa parla. I discorsi a congressi scientifici, per esempio, sono particolarmente importanti, dato l’alto livello tecnico degli ascoltatori. Questi congressi costituiscono talora delle casse di risonanza per la voce del Pontefice, destinate ad ampliarla, a commentarla e a diffonderla in tutto il mondo. Così fu enorme la ripercussione in tutto l’orbe dei discorsi sui metodi anticoncezionali rivolti da Pio XII a congressi di ostetriche, ematologi, ecc.

• L’attenzione prestata dai teologi al pronunciamento. Dottori nelle scienze sacre, i teologi sono incaricati dalla Chiesa stessa di sistematizzare e insegnare la sua dottrina. Se un gran numero di essi interpretasse male la portata di una dichiarazione conciliare o pontificia, il Papa presumibilmente li correggerebbe con un nuovo pronunciamento. Perciò, se una certa dottrina desunta dai documenti pontifici è ampiamente ripetuta dai teologi con il silenzio compiacente del Papa, diventa chiaro che questi non solo la professa, ma la vuole anche ampiamente diffusa in tutta la Chiesa.

• La ripercussione del documento nel mondo cattolico in generale. L’argomento appena esposto non vale solo per i teologi, ma, mutatis mutandis, per gli ambienti cattolici in generale. Se una dichiarazione pontificia o conciliare è oggetto di vasta accoglienza negli ambienti politici, giornalistici, nelle associazioni religiose ecc, e se il Papa tace, è perché la vuole vedere largamente diffusa.

• Quanto per molto tempo è pacificamente insegnato in tutto l’orbe cattolico acquista facilmente il carattere di insegnamento infallibile.

Secondo la classica formula di san Vincenzo di Lerino, dobbiamo credere a quanto è stato insegnato sempre, ovunque e da tutti, «quod semper, quod ubique, quod ab omnibus». Infatti l’assistenza dello Spirito Santo sarebbe manchevole se una dottrina insegnata in queste tre condizioni potesse essere falsa. Tuttavia è necessario non intendere l’adagio in senso esclusivo, cioè come se la infallibilità per la continuità di uno stesso insegnamento esistesse soltanto quando si verificano queste tre condizioni[38]..

II carattere ininterrotto della serie. Se una dottrina insegnata da diversi Papi prima di costituirsi in insegnamento infallibile è interrotta da uno dei loro successori oppure da un concilio, è chiaro che la serie è rotta. Questo fattore può influire considerevolmente nello stabilire la continuità in senso negativo di un insegnamento.

È possibile che qualche documento pontificio o conciliare contra­ti diametralmente con insegnamenti infallibili del passato? Evi­dentemente, se anche il nuovo pronunciamento è infallibile, questa opposizione non può darsi. Ma se il nuovo pronunciamento non è infallibile, autori di vaglia - come san Roberto Bellarmino, Suarez, Cano e Soto - prendono in considerazione questa ipotesi come teologicamente possibile ed è chiaro che il cattolico dovrebbe allora restare fedele alla dottrina infallibile. Questa ipotesi riporterebbe gli studiosi alla questione plurisecolare, sulla quale si sono specialmente impegnati i maggiori teologi dell’Evo Moderno[39].

• L'importanza di cui gode la tesi nel documento. Il tema centrale di una enciclica, per esempio, impegna l’autorità pontificia molto più di una breve affermazione su una tesi secondaria.

II modo in cui il documento presenta l’argomento. Nella Quadragesimo anno Pio XI dichiara che intende rispondere ai dubbi pervenuti alla Santa Sede a proposito del carattere acattolico del socialismo. Questo dà una speciale importanza a questa parte del documento perché mette in evidenza il proposito di risolvere con l’autorità pontificia delle questioni dottrinali.

Un esempio: la proprietà privata

Ci sembra indiscutibile che i princìpi enunciati dai teologi a proposito della infallibilità per continuità di un medesimo insegnamento si applicano ai punti fondamentali della dottrina sulla proprietà privata.

Il numero dei documenti pontifici che ininterrottamente, nel corso di un secolo e mezzo, hanno insegnato che la proprietà privata è di diritto naturale e hanno condannato il socialismo è impressionante[40].

Questi documenti hanno avuto risonanza in tutta la Chiesa: basti pensare alla Rerum novarum e alla Quadragesimo anno.

Come sarebbe possibile sostenere che la serie di tali insegnamenti è meno ricca di quella sulla Corredenzione Mariana, che secondo il padre Aldama, non è già più una questione libera tra i cattolici?

Canonizzazione, liturgia, leggi ecclesiastiche

Nello studio del Magistero della Chiesa, tanto ordinario quanto straordinario, meritano speciale rilievo le canonizzazioni, la liturgia, le leggi ecclesiastiche, l’approvazione di regole di ordini e congregazioni religiose. [...].

Per la stessa ragione per cui le porte dell’inferno prevarrebbero sulla Chiesa se il Papa orientasse i fedeli verso la perdizione eterna, le leggi ecclesiastiche e in modo speciale l’approvazione delle regole religiose comportano in qualche modo la infallibilità. Se, per esempio, la Santa Sede, con un atto legislativo paragonabile a quello che sarebbe in materia dottrinale una definizione dogmatica solenne, obbligasse i fedeli a una pratica peccaminosa, o approvasse una regola di vita [religiosa] condannabile, si sarebbe trasformata in uno strumento di perdizione.

Anche le orazioni della sacra liturgia possono comportare la infallibilità, a seconda del grado di autorità che la Chiesa ha in esse voluto impegnare. «Lex orandi, lex credendi - la legge della preghiera è la legge della fede». Come potrebbe la Chiesa, attraverso le preci che impone o raccomanda con tutto il peso della sua autorità, instillare nelle anime princìpi contrari alla fede?

Tuttavia, a somiglianza di quanto accade con gli insegnamenti direttamente dottrinali, non sono garantite dal carisma della infallibilità le leggi disciplinari e liturgiche, nella cui approvazione la Chiesa non abbia voluto impegnare la pienezza della sua autorità.

Inoltre, l’infallibilità relativa a una legge ecclesiastica o liturgica non comporta l’ammissione che questa sia la più perfetta possibile.

I diversi titoli di infallibilità che abbiamo indicati non si devono confondere con la cosiddetta infallibilità passiva dei fedeli. Questa espressione, corrente nella sacra teologia, indica che i figli della Chiesa, seguendone gli insegnamenti, conosceranno certamente la vera fede, ma non compete loro nessuna missione ufficiale di magistero, ossia la loro parte è a questo riguardo puramente passiva[41].

 

Autorità dei documenti non infallibili

L'impegno nello studio dei diversi titoli di infallibilità non ci deve, però, portare a mettere in ombra i documenti non infallibili.

Infatti, gran parte degli insegnamenti contenuti nelle encicliche, nelle allocuzioni pontificie, nelle lettere dirette dalla Santa Sede a vescovi e a congressi di tutto il mondo, nei decreti delle Sacre Congregazioni Romane, non comporta la infallibilità. Con questo pretesto dobbiamo forse disprezzarli?

Questo cercarono di fare i modernisti con i documenti pubblicati contro di loro da San Pio X. E già allora si trattava di un vecchio problema, perché eretici anteriori erano ricorsi allo stesso pretesto con l’intento di poter rimanere all’interno della Chiesa per meglio diffondervi il loro veleno.

Dei numerosi documenti pontifici che insegnano quale deve essere la posizione dei fedeli di fronte ai pronunciamenti non infallibili, citiamo soltanto un passo dell'enciclica Humani generis di Pio XII: «Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle encicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso col pretesto che i Pontefici non vi esercitano il potere del loro Magistero supremo. Infatti questi insegnamenti sono del Magistero ordinario, per cui valgono pure le parole: “Chi ascolta voi, ascolta me” (Lc. 10, 16)»[42].

Come si vede, Pio XII dice: «per sé», perché in realtà, per accidens, in casi evidentemente non normali, si possono presentare situazioni in cui sia lecito sospendere l’assenso rispetto a un documento del Magistero [non infallibile].

È quanto insegnano i teologi. Nel testo che di seguito citiamo, dom Nau tratta in modo speciale delle encicliche, ma è chiaro che 1’affermazione vale per qualsiasi documento del Magistero ordinario: «Un solo motivo potrebbe farci sospendere il nostro assenso: una opposizione precisa tra un testo di enciclica e le altre testimonianze della Tradizione»[43].

I Documenti del concilio Vaticano II sono infallibili?

Una questione già risolta in maniera definitiva ed irrevocabile

A questo punto, alle labbra del lettore affiorerà inevitabilmente una domanda: il concilio Vaticano II ha usato della prerogativa della infallibilità?

La risposta è semplice e categorica: no. In nessuna occasione i Padri conciliari hanno avuto [e manifestato] la volontà di definire, cioè in nessuna occasione hanno osservato la terza condizione di infallibilità sopra indicata.

Già nella fase preparatoria della sacra assemblea il Santo Padre Giovanni XXIII aveva dichiarato che essa non avrebbe definito nuovi dogmi, ma avrebbe avuto soltanto un carattere pastorale. Tali dichiarazioni di Giovanni XXIII non ci sembrano tuttavia sufficienti per autorizzare l’affermazione che il concilio non ha usato del suo potere di definire. Infatti la sovranità del Papa nella Chiesa di Dio è assoluta. Perciò niente impediva che, pur avendo Giovanni XXIII convocato un concilio pastorale, lui stesso o il suo successore decidesse posteriormente di trasformarlo in un concilio dogmatico. E, d’altra parte, in via di principio, niente impedisce che un concilio pastorale definisca un dogma, dal momento che nessun cattolico oserebbe sostenere che un dogma è qualcosa di antipastorale!

La prova [categorica] che il Vaticano II non ha voluto definire nessun dogma è data dai suoi atti e dal tenore dei suoi documenti, in nessuno dei quali si trova in modo inequivocabile la manifestazione della volontà di definire.

Si veda in proposito la dichiarazione del 6 marzo 1964 della Commissione Dottrinale[44]. Questa dichiarazione ha una enorme importanza, non solo per essere stata ripetuta posteriormente dalla medesima Commissione[45], e applicata ufficialmente a più di uno schema[46], ma soprattutto perché Paolo VI l’ha indicata come norma di interpretazione di tutto il concilio. Qualche teologo, infatti, potrebbe discordare da quanto abbiamo appena affermato, se non vi fossero diversi pronunciamenti di Paolo VI che sono venuti a dirimere questa importante questione in modo definitivo e irrevocabile.

Chiudendo il concilio, egli dichiarò che in esso «il magistero della Chiesa [...] non ha voluto pronunciarsi con sentenze dogmatiche straordinarie»[47].

Posteriormente, in occasioni meno solenni, ma in modo ancora più chiaro e circostanziato, Paolo VI riaffermò che il Concilio «ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità», ma «ha [...] munito i suoi insegnamenti dell’autorità del supremo magistero ordinario» e che ha avuto come uno dei suoi punti program­matici «quello [...] di non dare nuove solenni definizioni dogmatiche»[48].

Un Concilio ha solo l’autorità che il Papa gli vuole attribuire. Orbene, questi pronunciamenti pontifici, posteriori alla promulgazione dei documenti conciliari, mettono fine a tutti i dubbi che potessero sussistere. In un articolo pubblicato nel 1965 sulla Revista Eclesiástica Brasileira, fra Boaventura Kloppenburg, attualmente membro della Commissione teologica pontificia, dopo avere analizzato il problema della qualificazione teologica della costituzione conciliare Lumen gentium, si dichiara «propenso a concludere che tutte le verità proposte come dottrine rivelate dalla Lumen gentium sono di fatto verità di fede solennemente definite»[49]. Dopo i citati pronunciamenti di Paolo VI tale sentenza non può più essere sostenuta[50].

Il documento del Concilio Vaticano II sulla Chiesa [Lumen gentium] si intitola «costituzione dogmatica». Se ne può dedurre che in esso vi sia qualche definizione dogmatica? La domanda può parere superflua, ma la poniamo per mettere in guardia il lettore contro questo errore, in cui alcuni sono incorsi. Sappiamo anche di un professore di teologia che vi è caduto, affermando che il titolo di «costituzione dogmatica» è sufficiente per provare che tutto quanto è contenuto nella Lumen gentium è dogma.

Nel caso, evidentemente l’aggettivo «dogmatica» significa soltanto che si tratta di materia che ha rapporto con il dogma [ma non per questo è dogma] così come non è dogma tutto quello che si legge in un manuale di teologia dogmatica.

Non cerchiamo, quindi, di dare al Vaticano II un assenso che esso stesso non ci ha chiesto.

Schema

Magistero papale: del solo Pontefice romano

a) straordinario: pronunciamento papale solenne o “non-comune” sia quanto al modo (proclamazione in pompa magna) sia quanto alla sostanza (definizione di un dogma di fede divino-cattolica, per es.l'Immacolata o l’Assunta   solennemente proclamate da Pio IX e Pio XII come verità divinamente rivelate e proposte a credere obbligatoriamente in ordine alla salvezza eterna). È infallibile per se stesso e alle quattro condizioni definite dal Vaticano I (D. 1839).

b) ordinario: magistero papale comune o “non solenne” quanto al modo di insegnare. Quanto alla sostanza della verità insegnata, è infallibile solo se il Papa vuole definire e obbligare a credere come divinamente rivelato ciò che insegna o se enuncia una verità di fede o di morale costantemente e universalmente ritenuta nella Chiesa (per es.l’Humanae Vitae di Paolo VI sulla contraccezione e l’Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II sull’ inammissibilità del sacerdozio femminile).

Magistero universale: dei Vescovi in comunione con il Papa

a) straordinario: i Vescovi insegnano con Pietro e sotto Pietro in forma “non comune” quanto al modo, essendo eccezionalmente uniti fisicamente nello stesso luogo (in concilio ecumenico a Firenze, Trento, Roma). Quanto alla sostanza della verità insegnata è di per se stesso infallibile alle medesime quattro condizioni dell’infallibilità papale.

b) ordinario: insegnamento comune dei Vescovi, dispersi nel mondo nelle loro rispettive Diocesi, in comunione con il Papa.

È infallibile non l’insegnamento di ogni singolo Vescovo, ma quanto l’insieme dei Vescovi, con consenso moralmente unanime e in accordo con il Magistero papale, propone a credere come divinamente rivelato.

 

Resistenza pubblica a decisioni

dell’autorità ecclesiastica

«Catolicismo» n° 224, agosto 1969, San Paolo del Brasile.

La Chiesa insegna che di fronte a una decisione errata dell’autorità ecclesiastica al cattolico avveduto è lecito non solo negare il suo assenso, ma anche in casi estremi, opporvisi pubblicamente. Tale opposizione può costituire persino un autentico dovere.

Vescovi e autorità ecclesiastiche inferiori

Affrontando questo argomento preferiamo non mescolare la nostra voce a quella dei grandi santi e dei teologi “probati” dalla santa Chiesa. Perciò, in questo paragrafo e nel seguente, ci limiteremo a riportare quanto è stato detto da alcuni di essi, lasciando così a loro il compito di insegnarci non solo qual è la portata della tesi che sostengono, ma anche quali sono gli argomenti su cui la fondano.

Solo di passaggio ci occuperemo del principio secondo cui è lecito resistere, anche pubblicamente, ai vescovi e alle autorità ecclesiastiche inferiori che, per la loro cattiva dottrina, per la loro vita scandalosa o per le loro inique decisioni mettono in pericolo la fede e la salvezza delle anime. Nella storia della Chiesa gli esempi di santi che levarono la voce contro i cattivi pastori sono tanti che la difficoltà consisterebbe piuttosto nello scegliere tra le numerose prove della legittimità di un tale comportamento.

Al riguardo tra i teologi non vi è alcun dubbio. Ecco alcuni testi relativi alla legittimità della resistenza pubblica all’autorità episcopale.

a) Dom Prosper Guéranger

Scrivendo di San Cirillo di Alessandria, insigne avversario del nestorianesimo, dom Prospero Guéranger insegna: «Quando il pastore si cambia in lupo, tocca anzitutto al gregge difendersi. Di regola, senza dubbio, la dottrina discende dai vescovi ai fedeli; e i sudditi non devono giudicare nel campo della fede i loro capi. Ma nel tesoro della rivelazione vi sono dei punti essenziali dei quali ogni cristiano, per il fatto stesso di essere cristiano, ha la necessaria conoscenza e la custodia obbligatoria»[51].

b) Hervé

Analizzando i diversi fattori che contribuiscono a esplicitare sempre più il dogma nel corso dei secoli, Hervé elogia l’opposizione fatta dai fedeli a Nestorio, il patriarca eretico di Costantinopoli: «Sotto l’ ispirazione dello Spirito Santo, i fedeli possono essere spinti a comprendere e a credere meglio quanto aumenta la pietà e il culto, favorendo così il progresso del dogma. Infatti la reazione dei fedeli contro Nestorio fu di grande aiuto alla definizione della divina Maternità della Santissima Vergine […]»[52].

c) Mons. Antonio de Castro Mayer

L’illustre vescovo di Campos, ha pubblicato un documento in cui ricorda la dottrina tradizionale sul diritto di resistenza alla autorità ecclesiastica iniqua. Si tratta della lettera di approvazione al magnifico “Vade-mécum do catolico fiel”, nel quale quattrocento sacerdoti di diversi paesi, combattendo il progressismo, espongono i princìpi della fede cattolica autentica e invitano i fedeli ad opporsi alla nuova eresia che oggi invade tutto il mondo. Nella sua lettera di approvazione di questo Vade-mécum, il vescovo di Campos ne riconosce la grandissima utilità e aggiunge: «[…] nessuno ci venga a dire che non tocca ai fedeli – come invece proclama il Vade-mécum – giudicare quel che succede nella Chiesa e che essi devono soltanto seguire docilmente l’ orientamento dato dai ministri del Signore. Non è vero. La storia della Chiesa elogia l’atteggiamento dei fedeli di Costantinopoli che si opposero all’ eresia del loro patriarca Nestorio». Quindi mons. Antonio de Castro Mayer cita il testo di dom Guéranger che abbiamo riportato sopra.

 

«Gli resistetti apertamente perché meritava di essere ripreso»

Sarà legittimo, in casi estremi, resistere anche a decisioni del Sommo Pontefice?

Per rispondere a questa domanda, trascriviamo soltanto documenti relativi alla resistenza pubblica, perché, se in certe circostanze questa è legittima, a maggior ragione lo sarà l’opposizione privata a una decisione papale. Nessun autore, che noi sappiamo, ha mai sollevato dubbi quanto al diritto di una simile opposizione privata. Questa potrà manifestarsi in due modi: o esponendo alla Santa Sede le ragioni che militano contro il documento o attraverso la cosiddetta «correzione fraterna», cioè con un avvertimento dato in privato per ottenere la correzione dell’errore commesso[53].

Passiamo perciò ai testi che ammettono la resistenza pubblica in casi particolarissimi.

a. San Tommaso d’Aquino.

Il Dottore Angelico, in diverse sue opere, insegna che in casi estremi è lecito resistere pubblicamente a una decisione papale, come San Paolo resistette in faccia a San Pietro: «essendovi un pericolo prossimo per la fede, i prelati devono essere ripresi, perfino pubblicamente, da parte dei loro soggetti. Così San Paolo, che era soggetto a San Pietro, lo riprese pubblicamente, a motivo di un pericolo imminente di scandalo in materia di fede. E, come dice il commento di Sant’Agostino, “lo stesso San Pietro diede l’esempio a coloro che governano, affinché essi, se mai si allontanassero dalla retta strada, non rifiutino come indebita una correzione venuta anche dai loro soggetti” (ad Gal. 2, 14)»[54].

Nel commento all’Epistola ai Galati, studiando l’episodio in cui San Paolo resistette in faccia a San Pietro, San Tommaso scrive: «La riprensione fu giusta e utile, e il suo motivo non fu di poco conto: si trattava di un pericolo per la preservazione della verità evangelica […]. Il modo della riprensione fu conveniente, perché fu pubblico e manifesto. Perciò San Paolo scrive: “Parlai a Cefa (cioè a Pietro) davanti a tutti”, perché la simulazione praticata da San Pietro comportava un pericolo per tutti. In 1 Tim. 5, 20 leggiamo: “coloro che hanno peccato riprendili di fronte a tutti”. Questo si deve intendere dei peccatori manifesti, e non di quelli occulti, perché per questi ultimi si deve procedere secondo l’ordine proprio alla correzione fraterna»[55].

San Tommaso aggiunge anche che questo episodio della Scrittura contiene insegnamenti tanto per i prelati quanto per i loro sudditi: «Ai prelati [fu dato esempio] di umiltà,  perché non rifiutino i richiami dei loro inferiori e soggetti; e ai soggetti [fu dato] esempio di zelo e di libertà, perché non temano di correggere i loro prelati, soprattutto quando la colpa è pubblica e costituisce un pericolo per molti»[56].

b. Vitoria.

L’eminente teologo domenicano del secolo XVI scrive: «Il Gaetano, nella stessa opera in cui difende la superiorità del Papa sul concilio, al cap. 27 dice: “Dunque, si deve resistere in faccia al Papa che pubblicamente distrugge la Chiesa, per esempio concedendo benefici ecclesiastici solo per denaro o in cambio di servigi; e non si deve accettare, con tutta ubbidienza e rispetto, il possesso di tali benefici da parte di coloro che in tal modo li hanno acquisiti”».

«E Silvestro [Pierias], alla parola Papa, par. 4, si chiede: “Che cosa si deve fare quando il Papa, con i suoi cattivi comportamenti, distrugge la Chiesa?” e al par. 15: “Che fare se il Papa volesse, senza ragione, abrogare il diritto positivo?”. A questo risponde: “Peccherebbe certamente; non gli si deve permettere di agire così, e non gli si deve ubbidire in ciò che è cattivo; ma si deve resistergli con una riprensione garbata”. Di conseguenza, se [il Papa] volesse dare tutto il tesoro della Chiesa o il patrimonio di San Pietro ai suoi parenti, se volesse distruggere la Chiesa, o fare altre cose di questo genere, non gli si dovrebbe permettere di agire in tal modo, ma si avrebbe l’obbligo di opporgli resistenza. La ragione sta nel fatto che egli non ha il potere per demolire [la Chiesa]; quindi, constatando che lo fa, è lecito resistergli. Ne consegue che, se il Papa, con i suoi ordini e i suoi atti, distrugge la Chiesa, gli si può resistere e impedire l’ esecuzione dei suoi comandi […].

Ecco una seconda prova della tesi. Secondo la legge naturale è lecito respingere la violenza con la violenza. Ora, con tali ordini e dispense, il Papa esercita una violenza, perché agisce contro la legge, come abbiamo dimostrato. Quindi è lecito resistergli. Come osserva il Gaetano, non facciamo questa affermazione perché qualcuno abbia diritto di giudicare il Papa o abbia autorità su di lui, ma perché è lecito difendersi. Chiunque, infatti, ha il diritto di resistere a un atto ingiusto, di cercare di impedirlo e di difendersi»[57].

c. Suarez.

«Se [il Papa] emana un ordine contrario ai buoni costumi, non gli si deve ubbidire: se tenta di fare qualcosa di manifestamente contrario alla giustizia e al bene comune, sarà lecito resistergli; se attaccherà con la forza, potrà essere respinto con la forza, con quella moderazione propria della legittima difesa [cum moderamine inculpatae tutelae]»[58].

d. San Roberto Bellarmino.

«Com’è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, così pure è lecito resistere a quello che aggredisce le anime o perturba l’ordine civile, o, soprattutto, a quello che tenta di distruggere  la Chiesa. Dico che è lecito resistergli non facendo quello che ordina e impedendo la esecuzione della sua volontà: non è però lecito giudicarlo, punirlo e deporlo, poiché questi atti sono propri di un superiore»[59].

e. Cornelio a Lapide.

L’illustre esegeta dice che secondo Sant’Agostino, Sant’Ambrogio, San Beda, Sant’Anselmo e molti altri Padri, la resistenza di San Paolo a San Pietro fu pubblica «perché lo scandalo pubblico dato da San Pietro fosse riparato da un richiamo anch’esso pubblico»[60].

Dopo aver analizzato le diverse questioni teologiche ed esegetiche sollevate dall’atteggiamento assunto da San Paolo, Cornelio a Lapide scrive: «che i superiori possano essere ripresi con umiltà e carità dagli inferiori, affinché la verità sia difesa, è quanto dichiarano sulla base di questo passo [Gal. 2,11] Sant’ Agostino (Epist. 19), San Cipriano, San Gregorio, San Tommaso e altri sopra citati. Essi insegnano chiaramente che San Pietro, pur essendo superiore, fu ripreso da San Paolo […]. A ragione, dunque, San Gregorio disse (Homil. 18 in Ezech.): “Pietro tacque affinché, essendo il primo nella gerarchia apostolica, fosse anche il primo nella umiltà”. E Sant’Agostino affermò (Epist. 19 ad Hieronymum): “Insegnando che i superiori non devono rifiutare di lasciarsi riprendere dagli inferiori, San Pietro ci ha dato un esempio più prezioso e più santo di quello di San Paolo, il quale ha insegnato che, nella difesa della verità, e con carità, è giusto che gli inferiori abbiano l’ardire di resistere senza timore ai loro superiori”»[61].

f. Wernz e Vidal.

Citando Suarez, l’opera Ius Canonicum di Wernz-Vidal ammette che, in casi estremi, è lecito resistere a un cattivo papa: «I mezzi che si possono usare contro un cattivo Papa senza offendere la giustizia sono, secondo Suarez (Defensio fidei catholicae, lib. IV, cap. 6, nn.17-18), l’aiuto più abbondante della grazia di Dio, la speciale protezione dell’ Angelo Custode, la preghiera della Chiesa universale, l’ ammonizione o correzione fraterna segreta o anche pubblica, e perfino la legittima difesa contro una aggressione sia fisica sia morale»[62].

g. Peinador.

Gli autori contemporanei adottano le affermazioni degli antichi sull’argomento che stiamo trattando. Così Peinador, citando ampi brani di San Tommaso, scrive: «[…] “anche il suddito può essere obbligato alla correzione fraterna del suo superiore”. (S. Theol., II-II, 33, 4). Infatti anche il superiore può essere spiritualmente bisognoso, e niente impedisce che a tale bisogno provveda uno dei suoi sudditi. Tuttavia “quando i sudditi riprendono i loro prelati, devono agire in modo conveniente, cioè né con insolenza né con asprezza, ma con mansuetudine e rispetto” (S. Theol. ibidem). Perciò, in generale, il superiore deve essere ammonito privatamente. “Si tenga però presente che, essendovi pericolo prossimo per la fede, i prelati devono essere richiamati dai sudditi anche pubblicamente” (S. Theol., II-II, 33, 4, 2)»[63].

Una discordanza solo apparente

Come abbiamo visto, gli autori che dichiarano lecito, in casi straordinari, opporsi anche pubblicamente a qualche decisione erronea dell’autorità ecclesiastica e persino della Sede romana sono numerosi e di grande valore. Se aggiungiamo gli esempi storici dei Santi che si sono comportati in siffatto modo, concludiamo che si tratta di una tesi pacificamente accettata nella santa Chiesa.

Alcuni, però, ritengono che un fatto tolga a questa tesi il suo carattere pacifico: in testi tanto di dogmatica che di morale è frequente – e persino comune – la sentenza secondo cui non è mai lecito al fedele rompere il “silenzio ossequioso” verso un documento papale, anche di fronte alla evidenza che esso contenga un errore.

In uno studio precedente abbiamo già affrontata la delicata questione del silenzio ossequioso[64]. Solo per fissare i dati fondamentali del problema, riassumiamo rapidamente ciò che allora abbiamo scritto:

1) un documento del Magistero è di per se stesso infallibile solo quando ottempera alle condizioni dettate dal Concilio Vaticano I[65];

2) i documenti che non ottemperano a queste condizioni non sono di per sé infallibili e quindi possono, in via di principio e in casi rarissimi, contenere qualche errore;

3) quindi, in via di principio, non si può escludere l’ipotesi che una persona avveduta, dopo accurato esame di un determinato documento del magistero non infallibile, giunga alla conclusione che in esso vi è evidentemente un errore;

4) in questa ipotesi, sarà necessario agire con circospezione e umiltà, usando tutti i mezzi ragionevoli per chiarire la questione, anzitutto facendo un rilievo all’organo del Magistero da cui è stato emanato il documento;

5) se, dopo aver usato tutti i mezzi opportuni, l’errore evidentemente persiste, sarà lecito sospendere l’assenso interno che di per sé il documento richiede.

A questo punto si pone il problema che ora ci interessa: sarà egualmente lecito, almeno in casi estremi, rifiutare alla dichiarazione pontificia il rispetto esterno, cioè il cosiddetto silenzio ossequioso? In altre parole: sarà talvolta lecito opporsi esternamente e forse anche pubblicamente a un documento del Magistero romano?

Nella risposta a questa domanda gli autori sembrano discordare.

Da una parte, infatti, grandi teologi come quelli sopra citati ammettono in via di principio che, in certe circostanze, il fedele ha il diritto e anche il dovere di “resistere in faccia” a Pietro; dall’altra, teologi eminenti sembrano tener fermo che assolutamente in nessuna ipotesi è lecito rompere il cosiddetto silenzio ossequioso.

Prima, però, di proporre la soluzione che ci sembra conciliare entrambe le opinioni vogliamo mettere sotto gli occhi del lettore alcuni testi caratteristici che sembrano interdire assolutamente la rottura del silenzio ossequioso

 

Il silenzio ossequioso sembrerebbe imporsi sempre

a) Straub.

Straub espone il problema in questi termini: «Può accadere, per accidens, che […] a qualcuno il decreto appaia come certamente falso, o come in opposizione con un argomento tanto solido, […] che la forza di questo argomento non può in nessun modo essere annullata dal peso della sacra autorità; […] nella prima ipotesi sarà lecito dissentire; nella seconda sarà lecito dubitare, o anche considerare probabile la sentenza opposta al sacro decreto; tuttavia, in considerazione della riverenza dovuta alla sacra autorità, non sarà mai lecito contraddirla pubblicamente […]; ma dovrà essere conservato il silenzio detto ossequioso»[66].

b) Merkelbach.

Nella Summa Theologiae Moralis, Merkelbach chiude l’esame dell’ argomento con queste parole: «se per accidens, in una ipotesi peraltro rarissima, dopo un esame molto accurato, sembra che esistano argomenti gravissimi contro la dottrina così proposta, sarà lecito, senza temerarietà, sospendere l’assenso interno; tuttavia esternamente sarà obbligatorio il silenzio ossequioso, a motivo del rispetto dovuto alla Chiesa»[67].

c) Mors.

Padre José Mors definisce il “silenzio ossequioso” in questo modo: “è la sottomissione esterna e rispettosa alla autorità ecclesiastica; consiste nel non dire nulla [in pubblico] contro i suoi decreti. Questo silenzio è richiesto dal rispetto dovuto alla autorità ecclesiastica e dal bene della Chiesa, anche nel caso in cui il contrario fosse certamente evidente”[68].

E padre Mors, dopo avere esposto la dottrina tradizionale sull’assenso dovuto ai documenti del Magistero, conclude: “Tuttavia, nel caso vi siano contro il decreto ragioni davvero evidenti, cesserà l’obbligo dell’ assenso interno; ma anche allora rimarrà l’obbligo del silenzio [esterno]. Questo caso, però, non si darà frequentemente”[69].

d) Zalba.

Per accidens, l’assenso interno può essere rifiutato, nel caso in cui l’errore [dell’insegnamento di una Congregazione Romana] venga conosciuto; con certezza, allo stesso modo sarà lecito dubitare, quando ve ne siano ragioni veramente valide. Ma tanto in un caso come nell’altro, si deve mantenere il silenzio ossequioso esterno”[70].

 

Due esempi illuminanti

Vi è autentica contraddizione tra l’opinione dei teologi che sostengono la liceità, in casi rarissimi, di resistere pubblicamente a decisioni papali, e quella di coloro che dichiarano sempre illecita la rottura del “silenzio ossequioso”? Si tratta di due orientamenti contrari che dividono realmente ed effettivamente i loro autori?

Non lo crediamo. Un’analisi approfondita della questione mostrerà che è facile conciliare le due opinioni, le quali, come vedremo, sono contraddittorie soltanto in apparenza.

La teologia, infatti, e soprattutto la morale (e il nostro caso è piuttosto di ordine morale che dogmatico), emette con frequenza affermazioni generali, tassative e assolute, che, però, non hanno il valore universale che sembrerebbero avere. L’autore risolve la questione astrattamente, in via di principio, senza prendere in considerazione la ricchissima casistica che apporterebbe maggiori precisazioni alla soluzione proposta. Oppure, per risolvere un caso concreto, presenta la sua conclusione in termini teorici e generali, che possono far credere – contro la sua stessa opinione personale – che la norma enunciata non ammetta eccezioni.

Due esempi renderanno più facile la comprensione di questo fatto. Prendiamo, da una parte, l’ apparente condanna della proprietà privata dei Padri della Chiesa e degli autori medievali e, dall’altra, il divieto del prestito ad interesse fatto da San Tommaso d’Aquino e in generale degli antichi.

1. Apparente condanna della proprietà privata

Sant’Ambrogio ha scritto: “La natura ha distribuito i suoi bene a tutti in comune. Dio ha voluto che il nutrimento fosse comune a tutti e la terra proprietà comune di tutti”[71].

Inoltre, diversi Padri della Chiesa e il Corpus Juris Canonici dichiarano che nessuno ha il diritto dire: “questo è mio”, perché la natura ha fatto tutto per tutti[72].

Queste affermazioni, così generali ed assolute, non hanno tuttavia il valore universale che sembrerebbero avere. Gli stessi Padri che le hanno formulate, in altri passi affermano chiaramente la legittimità della proprietà privata[73]. Gli autori dei testi citati hanno voluto forse combattere l’eccessivo attaccamento ai beni materiali oppure affermare il principio secondo cui, nella ipotesi di estrema necessità, la destinazione comune dei beni prevale sul diritto alla proprietà privata; oppure hanno inteso sottolineare altri princìpi della dottrina cattolica sui limiti del diritto di proprietà. È certo, tuttavia, che le loro affermazioni contro la proprietà privata dei beni materiali non hanno il valore assoluto che potrebbe attribuire ad esse una lettura superficiale[74].

2. Apparente condanna di ogni forma di prestito ad interesse

Un altro esempio, molto illuminante, del fenomeno in esame è costituito dalla condanna, da parte degli antichi teologi, del prestito ad interesse. San Tommaso, per esempio, scrive in modo tassativo: “ricevere interessi per un prestito di denaro è in sé ingiusto”[75]. Il carattere assoluto della affermazione sembrerebbe indicare che, per il Dottore Angelico, in qualsiasi situazione storica il prestito ad interesse è immorale.

Orbene, un’analisi attenta degli scritti di San Tommaso, e degli antichi teologi in generale, mostra che essi condannavano l’interesse perché consideravano il denaro un semplice strumento destinato a facilitare gli scambi. Nell’economia moderna, però, la funzione del denaro si è ingrandita in modo straordinario. Oltre a facilitare gli scambi, il danaro è passato a rappresentare i beni stessi nei quali può essere in qualsiasi momento cambiato: “chi è padrone del denaro – scrive Cathrein – possiede, non formalmente, ma in modo equivalente, tutto quello che in concreto può essere acquistato con il denaro” (Victor  Cathrein  S.J., op. cit., n. 498).

Pertanto il prestito a interesse ha oggi un carattere fondamentalmente diverso da quello che aveva nel Medioevo simile in un certo senso all’affitto. Quindi i moralisti non esitano a dichiarare che San Tommaso, nonostante le sue affermazioni assolute in senso contrario, non condannerebbe l’interesse in un ordine economico come l’attuale[76].

Soluzione del disaccordo apparente

Ciò posto, invitiamo il lettore a rileggere attentamente i passi sopra citati o qualsiasi altro passo in cui i teologi dichiarano essere sempre illecito rompere il cosiddetto “silenzio ossequioso”. Il testo e il contesto di tali passi rendono evidente che in essi si stabilisce soltanto un principio generale, valido per i casi ordinari. Non vi si prendono in considerazione ipotesi rare e straordinarie, ma possibili, che riguardano più la casistica. Non prendono in considerazione, per esempio:

1. Il caso di un errore che comporti per il popolo cristiano un “pericolo prossimo per la fede” (com’è accaduto, spiega San Tommaso, nell’episodio in cui san Paolo resistette in faccia a san Pietro);

2. Il caso di un errore che costituisca una “aggressione alle anime” (secondo l’espressione di San Roberto Bellarmino).

In altri termini, la lettura dei passi in cui gli autori dichiarano proibita qualsiasi rottura del silenzio ossequioso mostra che essi prendono in considerazione soltanto il caso di qualcuno che, “in sede dottrinale”, cioè sul semplice terreno della speculazione teologica, diverga su un dato punto dal documento magisteriale. Essi non intendono con questo affermare che, nella soluzione di un concreto caso di coscienza che si ponga al fedele, sia sempre illecito agire pubblicamente in disaccordo con la decisione del Magistero.

Perciò, se questi autori fossero messi di fronte a un “pericolo prossimo per la fede” (San Tommaso), possiamo essere assolutamente certi che, seguendo le orme dell’Angelo della Scuola, per non parlare di quelle di San Paolo, autorizzerebbero una resistenza pubblica. Se si trovassero di fronte a una “aggressione alle anime” (San Roberto Bellarmino) o a uno “scandalo pubblico” (cfr. Cornelio a Lapide) in materia dottrinale, oppure ad un Papa “che si fosse allontanato dalla retta strada” (Sant’Agostino) con i suoi insegnamenti erronei e ambigui; o ad una “colpa pubblica” che costituisse un pericolo per la fede di molti (San Tommaso) come potrebbero negare il diritto alla resistenza e, occorrendo, alla resistenza pubblica?

A nostro modo di vedere sarebbe assolutamente insufficiente e perfino errata la spiegazione (che potrebbe venire in mente a qualcuno) che su questo punto il disaccordo tra gli autori citati potrebbe risolversi con la distinzione tra decisioni disciplinari e dottrinali onde alle prime sarebbe lecito resistere, alle seconde no. Tale soluzione ci sembra falsa per due ragioni principali.

1. Gli argomenti addotti dal primo gruppo di autori citati valgono per decisioni sia dottrinali sia disciplinari. Tutte possono, per esempio, comportare quel “pericolo prossimo per la fede” su cui San Tommaso fonda il suo ragionamento. E, d’ altro canto, anche le tesi del secondo gruppo di autori valgono tanto per le decisioni disciplinari quanto per quelle dottrinali. Se, per esempio, il “rispetto dovuto alla sacra autorità” esige un silenzio assoluto di fronte alle decisioni dottrinali erronee, perché non lo esigerebbe di fronte a decreti disciplinari ingiusti?

2. Se si ammette la possibilità di errore dottrinale in documenti del Magistero (possibilità che non si vede come possa essere esclusa in via di principio)[77] è fuor di dubbio che anche sul terreno dottrinale si possano porre casi di coscienza gravi, che renderebbero lecita o perfino obbligatoria l’opposizione del fedele. Sostenere il contrario significherebbe misconoscere o negare il ruolo fondamentale della fede nella vita cristiana.

 


[1] Mons. Antonio de Castro Mayer, Problemi dell’apostolato moderno, trad. it., Edizioni dell’Albero, Torino, 1963, p. 114. Sulla possibilità, ammessa da tutti gli autori cattolici, che singoli vescovi e anche interi episcopati cadano in errore e perfino in eresia, cfr. Christianus Pesch, Praelectiones Dogmaticae, Herder, Friburgo, 1898, tomo I, pp. 259-261; H. Hurter, Theologiae Dogmaticae Compendium, Wagneriana-Bloud et Barral, Innsbruck-Parigi, 1883, tomo I, p. 263; Michel D’Herbigny, Theologica de Ecclesia, Beauchesne, Parigi, 1921, vol. II, p. 309; J. M. Hervè, Manuale Theologiae Dogmaticae, Berche et Pagis, Parigi, 1952, vol. I, p. 485; Ioachim Salaverri, De Ecclesia Christi, in Sacrae Theologiae Summa, B.A.C, Madrid, 1958, vol. I, p. 682.

[2] Il Concilio Vaticano I insegna che il Sommo Pontefice è infallibile «quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo l’ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce una dottrina riguardante la fede ed i costumi, da tenersi obbligatoriamente da tutta la Chiesa» (DS, 3074).

[3] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3.

[4] DS, 3074.

[5] Pio XII, Humani generis, 12-8-1950, in La Chiesa, “Insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes”, trad. it. Ed. Paoline, Roma, 1961, p. 248.

[6] Paul Nau, Une source doctrinale: les encycliques, Les Editions du Cèdre, Parigi, 1952, pp. 83-84.

[7] Franciscus Diekamp , Theologiae Dogmaticae Manuale, Desclée, Parigi-Tours-Roma, 1933, vol. I, p. 72.

[8] Christianus Pesch, Praelectiones Dogmaticae, cit. vol. I, pp. 314-315.

[9] H. Hurter, Theologiae Dogmaticae Compendium, cit., vol. I, p. 492.

[10] Sisto Cartechini, Dall’Opinione al Domma, La Civiltà Cattolica, Roma, 1953, pp. 153-154. Nello stesso senso si pronunciano Christianus Pesch, Compendium  Theologiae  Dogmaticae, Herder, Friburgo, 1921, tomo I, pp. 238-239; Ludovicus Lercher, Istitutiones Theologiae Dogmaticae, Herder-Raucb, Barcellona-Innsbruck, 1951, vol. I, pp. 297-298; J. Forget, voce Congrégations Romaines, in «Dictionnaire de Théologie Catholique», tomo III, coll. 1108 1111; Josephus Mors, Istitutiones Theologiae Fundamentalis, Vozes, Petrópolis, 1943, tomo II, p. 187; J. Aertnys - A. Damen, Theologia Moralis, Marietti, Torino, 1950, tomo I, p. 270; Marcellino Zalba, Theologiae Moralis Compendium, BAC, Madrid, 1958, vol. II, p. 30, n. 21.

[11] Cfr. Lucien Choupin, Valeur des Décisions Doctrinales et Disciplinares du Saint-Siège, Beauchesne, Parigi, 1928, pp. 53 ss. e 88 ss.; ID., Motu proprio Praestantia de S. S. Pie X, in «Etudes», 5-1-1908, tomo 114, pp. 119 ss.; ID., Le décret du Saint-Office sa valeur juridique, in «Etudes», 5-8-1907, tomo 112, pp. 415-416.

[12] Cfr. T. Pegues, in Revue Thomiste, novembre-dicembre 1904, p. 531, cit. in Lucien Choupin, Valeur des décisions doctrinales et Disciplinares du Saint-Siège, cit., pp.54-55.

[13] Cfr. Ioachim Salaverri, De Ecclesia Christi, cit., vol. I, pp. 725-726.

[14] Lucien Choupin, Valeur des Décisions Doctrinales et  Disciplinares du Saint-Siège, cit., p. 54. Cfr. T. Pegues, art. cit., p. 531; Ioachim Salaverri, De Ecclesia Christi, cit., p. 722.

[15] Cfr. Arnaldo Vidigal Xavier Silveira, L’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari?

[16] Cfr. Ioannes Baptista Franzelin, Tractatus de Divina Traditione et Scriptura, Marietti, Roma-Torino, 1879, pp. 116-120; Ludovicus Billot, Tractatus de Ecclesia Christi, Giacchetti, Prato, 1909, tomo I, pp. 434-439.

[17] Ioannes Baptista Franzelin, op. cit., ibid.

[18] Ludovicus Blllot, op. cit., p. 436.

[19] Cfr. J. M. Hervé, Manuale Theologiae Dogmaticae, cit., vol. I, p. 513; Sisto Cartechini, Dall’opinione al Domma, cit., passim; Ioachim Salaverri, De Ecclesia Christi, cit., p. 726; Charles Journet,  L’Eglise da Verbe Incarné, Desclée, Bruges, 1962, vol. I, pp. 455- 456, che, richiamandosi alla sentenza del card. Franzelin, in realtà dà alle parole del vecchio professore della Gregoriana un’interpretazione che ne modifica totalmente il pensiero.

[20] Mt. 16, 18.

[21] Ibid. 28, 20.

[22] Lc. 22, 32.

[23] Denzinger, Ench. Symb., 44, 498, 633, 658 ss., 1325, 1500, 1503, 1698 ss., 1821, 2091, 2147-a.

[24] Cfr. Ioachim Salaverri  S. J., De Ecclesia Christi, in Sacrae Theologiae Summa, BAC, Madrid 1958, vol. I, pp. 681-682; Dom Paul Nau O.S.B., El magisterio pontificio ordinario, lugar teologico, in Verbo, Madrid, n. 14, pp. 37-38; Sisto Cartechini  S.J., Dall’Opinione al Domma, La Civiltà Cattolica, Roma 1953, p. 42; Henri de Lavalette, Réflexion sur la portée doctrinale et pastorale des documents du Vatican II, in Etudes,settembre 1966, p. 258.

[25] Cfr. Paolo VI, Discorso del 7-12-1965, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. III, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1966, p. 822; Idem, Discorso del 12-1-1966, in Insegnamenti di Paolo VI, cit., vol. IV, Roma 1967, p. 700.

[26] Cfr. Card. Charles Journet, L’Eglise du Verbe Incarné, Desclée, Friburgo 1962, vol. I, p. 534, n. 2; Dom paul Nau O.S.B., Une source doctrinale: les ecycliques, Les Editions du Cèdre, Parigi 1952, p. 65.

[27] Denzinger, Ench. Symb., 1839.

[28] Cfr. Franciscijs Diekamp, Theologiae Dogmaticae Manuale, Desclée, Parigi-Tours-Roma 1933, vol. I, p. 71; Card. Ludovicus Billot  S.J., Tractatus  de Ecclesia Christi, Giachetti, Prato 1909, tomo I, pp. 639 ss.; Lucien Choupin S.J., Valeur des décisions doctrinales et disciplinaires du Saint-Siège, Beauchesne, Parigi 1928, p. 6; J. M. Hervé, Manuale Theologiae Dogmaticae, Berche, Parigi 1952, vol. I, pp. 473 ss.; Card. Charles Journet, op. cit., vol. I, p. 569; Dom Paul Nau O.S.B., El magisterio pontificio ordinario, lugar teologico, cit., p. 43; Ioachim O Salaverri S. J.,op. cit., p. 697; Sisto Cartechini S. J., op. cit., p. 40.

[29] Cfr Dom Paul Nau  O.S.B., El magisterio pontificio ordinario, lugar teologico, cit., p, 48, n. 35.

[30] Cfr. Card. Ludovicus Billot  S. J,, op. cit., pp. 392 ss.;Lucien Choupin S. J., op. cit., pp. 38 ss.; J.M. Hervé, op. cit., pp, 496 ss.; Ioachim Salaverri S. J., op. cit., pp. 729 ss.

[31] Cfr. Sisto carte chini S. J., op. cit, pp. 29, 31, 36, 54.

[32] Cfr San Roberto Bellarmino, De Conciliis, 2, 12, in Opera omnia, Natale Battezzati, Milano 1858, vol. II.

[33] Codex Iuris Canonici, can. 1323, 2. Nello stesso senso, cfr. Sisto Cartechini S. J., op. cit., p. 26.

[34] Cfr. San Roberto Bellarmino, op. cit. ibidem.

[35] Cfr. Ioachim Salaverri S. J., op. cit p. 816.

[36] Josephus A. De Aldama S. J., Mariologia, in Sacrae Theologiae Summa, BAC Madrid 1961, vol. III, p. 418.

[37] Cfr. in propositoDom Paul Nau. O.S.B., Une source doctrinale: les encycliques, cit., pp. 68 ss.; Idem, El magisterio pontificio ordinario lugar teologico cit., pp. 47 ss.

 

[38] Cfr. in proposito Franciscus Diekamp op. cit. p. 68.

[39] In proposito cfr.Adriano II, Allocutio 3 lecta in Concilio VIII Act. 7, apud Hefele Leclerq, Histoire des Conciles, Letouzey, 1911, tomo IV, pp. 471-472 e apud Card.Ludovicus Billot S. J., ap. cit., pp. 619-620;Innocenzo III, Sermo IV in consacrazione Pontificis, Pl, vol. 217, col. 670; San Roberto Bellarmino , De Romano Pontifice, in Opera omnia, cit., vol. I, 2, 30; 4, 6 ss.; Franciscus Suarez  S. J., De fide, disp. X, s. 6, in Opera omnia, Vivès, Parigi 1858, vol. XII; Idem, De Legibus, 1. 4, c. 7, in Opera omnia, cit., vol. V; Melchor Cano  O. P., Opera, lib. IV, cap. postr., ad 12, Venezia 1776; Domingo Soto O. P., Commentarium Fratris Dominici; Soto Segobiensis [...1 in Quartum Sententiarum, Salamanca 1561, tomo I, d. 22, q. 2, a. 2; Sant’Alfonso de Ligorio, Ouvres Dogmatiques, Casterman, t. IX, p. 232, apud J. Berthier, Abrégé da Théologie Dogmatique et Morale, Vitte, Lione-Parigi 1927, p. 47; Jayme Balmes, O Protestantismo comparado com o Catolicismo em suas Relaçoes com a Civilizaçao Européia, Livraria International, Porto-Braga 1877, vol. IV, cap. 56; Card. Ludovicus Billot S. J., op. cit., pp. 609 ss.; Franciscus Xav. Wernz S. J., Petrus Vidal  S. J., Ius Canonicum, Gregoriana, Roma 1943, tomo II, p. 517 ss.; Antonius Straub S. J., De Ecclesia Christi, L. Pustet, Oeniponte 1912, vol. II, p. 480; E. Dublanchy, voce Infaillibilité du Pape, in Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. VI, col. 1714; Ioachim Salaverri S. J., op. cit., pp. 698, 718; Card. Charles Journet, op. cit., vol. I, pp. 625 ss. e vol. II, DD-1063 ss.; Hans Kung, Structure de l’Eglise, Desclée, Parigi 1963, pp. 292 ss.; V. Mondello, La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice, presso l’autore, Messina 1965, recensito ne La Civiltà Cattolica, 4 giugno 1966; pp. 470-471. .

[40] Cfr. Mons. G. De Proenca Sigaud – Mons. A. de Castro Mayer – Plinio Correa de Oliveira e L. Mendonça de Freitas, Reforma agraria - Questao de Consciència, Editoõra Vera Cruz, San Paolo 1964 pp. 38 ss.

[41] Cfr. Dom Paul Nau O. S. B., El Magisterio pontificio ordinario lugar teologico, cit., p. 45; Sisto Cartechini S. J., op. cit., p. 251.

[42] Pio XII, Lettera enciclica Humani generis, del  12-8-1950, in La Chiesa, insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., Edizioni Paoline, Roma 1961, p. 248.

[43] Dom Paul Nau O.S.B., Une source doctrinale: les encycliques cit. pp. 83-84

[44] Cfr. L’Osservatore Romano, edizione in francese, 18-12-1964, p. 10.

[45] Ibidem.

[46] Cfr. L’Osservatore Romano, edizione in francese, 26-11-1965, p. 3.

[47] Cfr. Paolo VI Discorso del 12-1-1966, in Insegnamenti di Paolo VI, cit., vol VI, Roma 1967, p. 700.

[48] Idem,  Discorso del 7-12-1965, ibid., vol. III, Roma 1966, p. 722

[49] Idem, Discorso del 12-1-1966, ibid., vol. IV, p. 700.

[50] Idem, Discorso dell’8-3-1967, ibid.,vol. V, Roma 1968

[51] Dom Prosper Guèranger, L’ Année Liturgique, Mame, Tours 1922, 15a ed., pp. 340-341.

[52] J. M. Hervé, Manuale Theologie Dogmaticae, Berche et Pagis, Parigi 1954, vol. III, p. 305.

[53] Sulla resistenza privata a decisioni papali o delle Congregazioni Romane si possono vedere: San Tommaso d’Aquino, Commentum in IV Librum Sententiarum Magistri Petri Lombardi, in Opera omnia, Vivès, Parigi 1889, vol. X disp. 19, q. 2 a. 2; Summa Theologiae, Marietti, Torino-Roma 1948, II-II, 33, 4; Franciscus Suarez S. J., Defensio Fidei Catholicae, in Opera omnia, Vivés, Parigi 1859, tomo XXIV, lib. IV, cap. VI, nn. 14-18; Christianus Pesch S. J., Praelectiones Dogmaticae, Herder, Friburgo in B. 1898, tomo I, pp. 314-315; D. Bouix, Tractatus de Papa, Lecoffre, Parigi-Lione 1869, tomo II, pp. 635 ss.; H: Hurter S. J., Theologiae Dogmaticae Compendium, Wagneriana-Bloud et Barral, Innsbruck-Parigi 1883, tomo I. pp. 491-491; Antonius Peinador C. M. F., Cursus Brevior Theologiae Moralis, Coculsa, Madrid 1950, tomo II, vol. I, pp. 286-287; Ioachim Salaverri S. J., De Ecclesia Christi, in Sacrae Theologiae Summa, BAR, Madrid 1958, vol. I, pp. 725-726.

[54] San Tommaso d’Aquino,  Summa Theologie, cit., II-II 33, 4, 2.

[55] Idem, Super Epistolam ad Galatas Lectura, in Super Epistolas, S. Pauli Lectura, Marietti, Torino-Roma 1953, vol. I, 2, 11-14, lect. III, nn. 83-84.

[56] Idem, ibidem, lect. III, n. 77.

[57] Franciscus De Vitoria O.P., Obras de Francisco de Vitoria, BAC, Madrid 1960, pp. 486-487.

[58] Franciscus Suarez S. J., De Fide, in Opera omnia, cit., Parigi 1858, tomo XII, disp. X, sect. VI, n. 16.

[59] San Roberto Bellarmino, De Romano Pontifice, in Opera omnia, Battezzati, Milano 1857, vol. I, lib. II, c. 29.

[60] Cornelius A Lapide S. J., Comunentaria in Scripturam Sacram, Vivès, Parigi 1876, tomo XVIII, ad Gal., 2, 11.

[61] Ibidem

[62] Franciscus Vidal Wernz. S. J. – Petrus Vidm. S. J., Ius Canonicum, Gregoriana, Roma 1943, tomo II, p. 520.

[63] Antonius Peinador C. M. F., Cursus Brevior Theologiae Moralis, cit., p. 287. Per approfondire maggiormente l’argomento si possono vedere anche: San Tommaso d’Aquino, Commentum in IV Librum Sententiarum Magistri Petri Lombardi, cit. d. 19 q. 2, a. 2, ql. 3, sol. et ad 1; Franciscus Suarez S. J., De Legibus, in Opera omnia, cit., Parigi 1856, tomo V, lib. IX, cap. XX, nn. 19-29; Idem, Defensio Fidei Catholicae, cit., lib. IV, cap. VI, nn. 14-18; Anacletus Reiffenstuei O. F. M., Theologia Moralis, Bortoli, Venezia 1704, tract. IV, dist. VI, q.5, nn. 51-54, pp. 162-163; Joseph Mayol O. P., Praeambula ad Decalogum, in Theologiae Cursus Completus, Migne, Parigi 1858, tomo XIII, q. 3, a. 4, col. 918; Joannes Petrus Gury S. J. – Antonius Ballerini S. J., Compendium Theologiae Moralis, Civiltà Cattolica – Marietti, roma-Torino 1866, tomo I, pp. 222-227; Card. Camillus Mazzella, De Religione et Ecclesia, Typ. Polygl., Roma 1880, pp. 747-748; Teofilo Urdanoz O. P., Commento alle Relecciones Teologicas de Francisco de Vitoria, in Obras de Francisco de Vitoria, cit., pp. 426-429.

[64] Cfr. Arnaldo Vidigal Xavier dA Silveira, Può esserci errore in documenti del Magistero?, in Catolicismo, n. 222, luglio n. 1969, v. sì sì no no, 15 ottobre 2010..

[65] Cfr. Idem, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari, in Catolicismo, n. 202, ottobre 1967; v. sì sì no no 31 ottobre 2010.

[66] Antonius Straub S. J., De Ecclesia Christi, Pustet, Innstrbuck 1912, vol. II, par. 968; cfr. Ioachim Salaverri S. J., De Ecclesia Christi in Sacrae Theologiae Summa, cit., vol. I, p. 725.

[67] Benedictur Henricus Merkelbach O. P., Summa Theologiae Moralis, Désclée, Parigi 1931, tomo I, p. 601.

[68] Iosephus Mors S. J., Institutiones Theologiae Fundamentalis, Vozes, Petropolis 1943, tomo II, p. 187.

[69] Ibidem.

[70] Marcellino Zalba S. J., Theologiae Moralis Compendium, BAC, Madrid 1958, vol. II, p. 30, nota 21. Nello stesso senso si pronunciano anche: Ad. Tanqueray, Synopsis Theologiae Dogmaticae, Désclée, Parigi-Tours-Roma 1959, tomo I, p. 640; Lucien Choupin S. J., Valeur des Décisions Doctinales et Disciplinares du Saint-Siège, Beauchesne, Parigi 1928, p. 91 ; Sisto Cartechini S. J., Dall’ Opinione al Domma, La Civiltà Cattolica, Roma 1953, p. 154.

[71] Sant’Ambrogio, De Officiis, lib. I, c. 28, cit. in Victor Cathrein S. J.,  Philosophia Moralis, Herder, Barcellona 1945, n. 457.

[72] Cfr. Victor Cathrein S. J., op. cit. ibid.

[73] Cfr. Idem. ibid.; M._B. Schwalm, voce Communisme, in Dictionnaire de Théologie Catholique, tomo III, coll. 579 ss. ; Teofilo Urdanoz O. P., Commento alla Suma Teologica di San Tommaso d’Aquino, in Suma Teologica, BAC, Madrid 1956, tomo VIII, p. 480.

[74] Cfr. Victor Cathrein S. J., op. cit., ibid.; M. B. Schwalm voce cit., coll. 585-586; Antonius Peinador C.M.F., op. cit., tomo II, vol. I, par. 264, nota 27; Teofilo Urdanoz O. P., op. cit., pp. 479-481.

[75] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, cit., II-II, 78, 1, c.

[76] Cfr. Idem, op. cit., pp. 344-351; Ad. Tanquery, Synopsis Theologiae Moralis et Pastoralis, Desclée, Parigi-Tours-Roma, 1948, tomo III, pp. 445-448; Henri Du Passage, voce Usure, in Dictionnaire de Théologie Catholique, tomo XV, coll. 2382-2390 ; Antonius Peinador C. M. F., op. cit., tomo II, vol. II, pp. 266 ss. ; Teofilo Urdanoz O. P., op. cit., p. 688.

[77] Cfr. Arnaldo Vidigal Xavier Da Silveira, Vi può  essere errore in documenti del Magistero?, cit.

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