“ Che gli spiriti dei mortali disprezzino le realtà visibili, per non desiderare più che i beni invisibili, è certo il maggiore dei miracoli e l'opera manifesta dell'ispirazione di Dio ”[1]. La virtù eroica dei santi è quindi l'indizio più eloquente della divinità della Chiesa. E di solito, questo indizio è esso stesso autentificato, riceve il sigillo della Chiesa che si porta garante della sua propria santità: è la canonizzazione, atto solenne con cui il sommo pontefice giudicando in ultima istanza ed emettendo una sentenza definitiva dichiara la virtù eroica di un membro della Chiesa.

La canonizzazione rientra nella categoria dei fatti disciplinari, in cui i teologi classificano le varie leggi promulgate per il bene di tutta la Chiesa e che corrispondono all'oggetto secondo del magistero infallibile. Ne fanno parte la legge liturgica universale che prescrive il modo di rendere a Dio il culto che gli è dovuto; la canonizzazione, che è la legge con cui la Chiesa prescrive la venerazione di un fedele defunto che   in vita abbia praticato la santità perfetta; l'approvazione solenne degli ordini religiosi, che è la legge con cui la Chiesa prescrive il rispetto e la stima per una regola di vita che è un mezzo certo di santificazione. L'infallibilità di queste leggi si spiega perché la Chiesa con esse dà a tutti i fedeli l'espressione dei mezzi richiesti per la conservazione del deposito della fede[2]. Queste leggi non sono quindi l'espressione di un potere puramente legislativo; esse corrispondono formalmente all'esercizio di un potere magisteriale, perché, alla radice, mettono in gioco la rivelazione[3]. Stabilendo infallibilmente certi fatti, che sono al di fuori del dominio delle verità rivelate, la Chiesa presuppone la professione di un principio formalmente rivelato, che si tratta di difendere, tramite le sue applicazioni concrete.

Su questo come su altri punti, l'aggiornamento conciliare doveva lasciare delle tracce. Le riforme derivate dal concilio Vaticano II hanno toccato tutti i campi. Si è imposto e s'impone ancora ai fedeli cattolici non solo un nuovo magistero ed una nuova teologia, ma anche una nuova liturgia, una nuova messa, dei nuovi riti sacramentali, dei nuovi santi, delle nuove canonizzazioni e infine delle nuove comunità, dei nuovi “ ordini ”, dei movimenti di cui ci si può chiedere in cosa sarebbero religiosi. Tutto ciò non può non porre dei problemi reali, il più spinoso dei quali è sicuramente quello dell'infallibilità di queste nuove leggi. Ora, la questione dell'infallibilità dipende essa stessa  da un'altra che è quella della validità di tale legislazione. Infatti, queste leggi sono infallibili in quanto leggi, allo stesso modo in cui un insegnamento del magistero è (a certe condizioni) infallibile in quanto è precisamente atto di magistero. L'infallibilità è una proprietà che presuppone la definizione essenziale dell'atto al quale corrisponde. Se si cambia tale definizione, per ciò stesso si cambia anche la proprietà che ne deriva. Se l'atto diventa dubbio, lo diventa anche la sua infallibilità. Perciò, se si vuole risolvere la difficoltà posta da queste novità postconciliari, ci sono solo due soluzioni. Nella prima soluzione, constatiamo che le nuove leggi nate dal Vaticano II sono leggi legittime alle condizioni volute e allora si deve dire che esse sono infallibili. Nella seconda soluzione, constatiamo che queste nuove iniziative nate dal Vaticano II sono il più delle volte dubbie e non presentano più le garanzie sufficienti perché si possa riconoscere in esse delle leggi legittime, nel senso tradizionale del termine e ciò autorizza a dubitare della loro infallibilità. Ma, in ogni caso, non è possibile dare una soluzione ammettendo che queste nuove iniziative postconciliari sono leggi legittime alle condizioni volute e negando che siano infallibili. Perché questa infallibilità, benché ancora non definita solennemente, è un dato acquisito di tutta la teologia secolare e dell'insegnamento del magistero ordinario: si può dire che essa sia prossimamente definibile e che sarebbe temerario negarla. Seguendo Mons. Lefebvre, noi difendiamo la seconda soluzione. Noi diciamo che la nuova legislazione postconciliare (nuova messa e nuova liturgia, nuove canonizzazioni, nuovo diritto canonico) non è infallibile e non vincola, perché abbiamo serie ragioni di dubitare della sua stessa natura di legge. In questa argomentazione, tutto dipenderà dalla legittimità delle nuove canonizzazioni e delle nuove beatificazioni.

In una prima parte, ricorderemo i principi tradizionali concernenti la natura e l'infallibilità delle canonizzazioni, riguardo alla beatificazione. In una seconda parte, esamineremo le difficoltà poste dalle iniziative postconciliari.

                                                        PRIMA PARTE - I PRINCIPI TRADIZIONALI

Per procedere con ordine, in questa prima parte cominceremo col definire la beatificazione e la canonizzazione (§ 1) prima di mostrare che la canonizzazione è infallibile in quanto tale e prescindendo dalla circostanza sopraggiunta con l'aggiornamento del Vaticano II (§ 2).

 1) Alcune definizioni

 a) La beatificazione

La beatificazione è un atto con cui il sommo pontefice concede il permesso di rendere un culto pubblico al beatificato, in alcune parti della Chiesa, fino a che il beato sia canonizzato. Questo atto dunque non è un precetto; è un atto temporaneo e non definitivo; è riformabile. La beatificazione si riduce a permettere il culto. L'atto di beatificazione non enuncia direttamente né la glorificazione né le virtù eroiche del servo di Dio beatificato [4].

 b) La canonizzazione

La canonizzazione è l'atto con cui il vicario di Cristo giudicando in ultima istanza e emettendo una sentenza definitiva iscrive nel registro dei santi un servo di Dio precedentemente beatificato. L'oggetto della canonizzazione è triplice, perché questo atto non concerne solo il culto. Il papa dichiara in primo luogo che il fedele defunto è nella gloria del paradiso; in secondo luogo dichiara che il fedele defunto ha meritato di giungere a questa gloria esercitando delle virtù eroiche che valgono d'esempio per tutta la Chiesa; in terzo luogo, per dare meglio d'esempio queste virtù e ringraziare Dio di averle rese possibili, prescrive che venga reso un culto pubblico a questo fedele defunto. Su questi tre punti: la canonizzazione è un precetto; essa vincola tutta la Chiesa; è un atto definitivo e irriformabile. Il registro dei santi non è il Martirologio; e d'altronde l'espressione  “ iscrivere nel registro dei santi ”non si riferisce ad un documento materiale, ma evoca solo l'intenzione della Chiesa che, con l'atto della canonizzazione, annovera ormai nel numero dei suoi santi il nuovo canonizzato e impone a tutti i fedeli di venerarlo come tale. L'atto della canonizzazione dichiara in modo definitivo la santità del canonizzato così come la sua glorificazione e di conseguenza ne prescrive il culto a tutta la Chiesa; altra cosa è il prescrivere alla Chiesa universale la celebrazione della messa e la recita dell'ufficio in onore di quel santo: è una determinazione che esige un atto supplementare, specifico e distinto della canonizzazione. L'iscrizione di un personaggio nel Martirologio non significa la canonizzazione infallibile di quest'ultimo. Il Martirologio è la lista che racchiude non solo tutti i santi canonizzati, ma anche i servi di Dio che hanno potuto essere beatificati, sia dal Sommo Pontefice, sia dai vescovi prima del XII secolo, data in cui il papa si riserva il privilegio di procedere alle beatificazioni ed alle canonizzazioni. I titoli di “ sanctus ” o di “ beatus ” nel Martirologio non hanno il significato preciso che permetterebbe di fare il distinguo tra santo canonizzato e beato. 

 c) Similitudini e differenze

La beatificazione e la canonizzazione hanno entrambe come oggetto di rendere possibile il culto di un fedele defunto, il che presuppone che quel fedele abbia esercitato in vita delle virtù esemplari e ottenuto la gloria. La differenza è che la beatificazione non fa che rendere quel culto possibile (è un permesso) e non fa che supporre la gloria e le virtù esemplari; mentre la canonizzazione rende quel culto obbligatorio (è un precetto) ed impone ai fedeli di credere esplicitamente alla realtà della gloria e delle virtù eroiche del santo. In tutto ciò, l'essenziale è la virtù esemplare (o eroica) del fedele defunto ed è quella che si cerca di verificare nei due processi, quello della beatificazione e quello della canonizzazione. Infatti, il culto presuppone questa virtù come l'effetto presuppone la sua causa. I miracoli sono essi stessi presi in considerazione solo come segni che attestano la virtù eroica. Senza virtù eroica, non c'è santità né venerazione.

  d) Conseguenze

Esiste una differenza tra un santo ed un santo canonizzato. La canonizzazione non causa ma indica la santità di una persona. E la indica come esempio. Questo spiega perché non si canonizzino né tutte né molte persone. L'esempio, per essere eloquente, deve essere unico o raro. Moltiplicare i santi equivale a sminuire la loro esemplarità[5] : quand'anche i santi fossero numerosi, un piccolo numero di essi e non la maggior parte dovrebbero essere elevati sugli altari. D'altra parte, la Chiesa dà sempre gli esempi di cui i fedeli hanno bisogno, nel contesto di un'epoca. In questo senso, la canonizzazione è un atto politico, nella migliore accezione del termine: non un atto di demagogia partigiana, ma un atto che procura il bene comune di tutta la Chiesa, un atto di rilevanza sociale, un atto che tiene conto delle circostanze. Santa Giovanna d'Arco è stata canonizzata nel 1920, più di 500 anni dopo la sua morte; santa Teresa del Bambin Gesù lo è stata nel 1925, meno di 30 anni dopo la sua morte. I due esempi furono utili alla Chiesa, ma il primo sarebbe stato difficilmente capito prima, o troppo presto, prima che la distanza del tempo avesse sbiadito il contesto e le conseguenze di una lotta secolare...C'è un'altra differenza da osservare, tra salvezza e santità. Una persona morta in odore di santità è salva. Ma ci si può salvare senza aver vissuto come un santo. Agli occhi dei fedeli, la canonizzazione ha come scopo principale ed effetto immediato di segnalare (per darla d'esempio) la santità di vita. Anche se si sono potute salvare ed andare in paradiso, non si canonizzano delle persone che in vita non hanno dato esempi di santità

 2) L'infallibilità

Tale questione è duplice. Innanzitutto, il giudizio del sommo pontefice è infallibile quando canonizza un santo (§ 2.1)? Inoltre, è verità di fede che questo giudizio sia infallibile, di modo che il negarlo equivarrebbe ad enunciare un'eresia (§ 2.2)? Si potrebbe già rispondere a ciascuna di queste due domande, basandosi sui discorsi di papa Sisto V (1585-1590) in occasione del primo concistoro che precedette la canonizzazione di san Didazio nel 1588: “ Il papa dimostrò appoggiandosi sulle Sacre Scritture, sugli argomenti della ragione presi dalla teologia e su ogni sorta di prove che il Pontefice romano, vero successore di san Pietro e principe degli apostoli per il quale Cristo ha pregato chiedendo che la sua fede non venisse meno, quel Pontefice che è il vero capo della Chiesa, fondamento e colonna della verità che dirige e guida lo Spirito Santo, non può sbagliarsi né essere indotto in errore quando canonizza i santi. E affermò che tale verità deve non solo essere creduta come una pia credenza, ma costituisce l'oggetto di un atto di fede certissimo e necessario; e per stabilire questo punto produsse tutti gli argomenti di peso e d'autorità divina. Aggiungendo anche, cosa assai manifesta, che le leggi della Chiesa e del papa sono certe e sicure se concernono la disciplina della fede e dei costumi e si fondano su dei principi certi e dei fondamenti solidi ”[6]. Nondimeno, queste parole del papa emanano da lui come da un dottore privato. Perciò si deve esaminare questa duplice questione più dettagliatamente e considerare le ipotesi dei vari teologi. 

2.1) La canonizzazione è infallibile

 L'infallibilità delle canonizzazioni oggi è dottrina comune e certa per la maggior numero dei teologi[7]. E tutti i manuali dopo il Vaticano I (e prima del Vaticano II), da Billot fino a Salaverri, lo insegnano come una tesi comune in teologia[8].

Il principale rappresentante degli avversari dell'infallibilità delle canonizzazioni è Cajetan (1469-1534) nel suo Trattato delle indulgenze, nel capitolo 8. Secondo lui, l'infallibilità di una canonizzazione non è né necessaria né possibile[9]. Questa opinione prima di Cajetan era già difesa da Agostino Trionfo o Agostino d'Ancona (1243-1328), nella sua Somma sul potere della Chiesa. Il suo ragionamento fondamentale è identico a quello di Cajetan. Consiste nel dire che, non potendo giudicare direttamente l'intimo delle coscienze, la Chiesa non può discernere infallibilmente la santità di una persona. A partire dal Vaticano II, alcuni teologi conciliari hanno ripreso questa posizione anti-infallibilista. Alcuni di loro hanno addotto le difficoltà d'ordine storico per mettere in dubbio l'infallibilità delle canonizzazioni[10]. L'opinione difesa da Agostino d'Ancona e Cajetan è stata ripresa recentemente da padre Daniel Ols. op. professore dell'Università pontificia dell'Angelicum e relatore della Congregazione per la causa dei santi, in uno studio sui Fondamenti teologici del culto dei Santi[11]. Infine, Mons. Brunero Gherardini, in un articolo pubblicato nella rivista Divinitas[12], traccia un bilancio della controversia sull'argomento. Questo studio rinnova la problematica nella misura in cui tiene conto delle varie reazioni suscitate dalle recenti canonizzazioni di Giovanni Paolo II[13]. La fine dell'articolo[14] presenta una serie di obiezioni che andrebbero in direzione dell'infallibilità.

Seguendo san Tommaso[15], la maggior parte dei canonisti[16]  e dei teologi[17] difendono la tesi dell'infallibilità delle canonizzazioni. Notiamo che il problema posto è molto preciso: san Tommaso non si chiede se il papa è infallibile quando canonizza un santo. La sua problematica riguarda il sapere se tutti i santi che sono canonizzati dalla Chiesa siano in gloria o se alcuni di essi possano trovarsi all'inferno. Questo modo di porre il problema orienta già tutta la risposta. Per san Tommaso, la canonizzazione richiede l'infallibilità prima di tutto perché comporta la professione di una verità che è virtualmente rivelata. Ciò non esclude gli altri due aspetti: l'esempio della vita del santo e il culto prescritto. Ma esiste un ordine tra i tre giudizi che il papa enuncia allorché canonizza un santo. Il primo giudizio verte su un fatto teorico ed enuncia che una persona defunta ha perseverato fino alla fine nella pratica eroica della virtù soprannaturale e ora è glorificata nella beatitudine eterna. Il secondo giudizio fa imitare a tutta la Chiesa come esemplari le virtù eroiche messe in pratica in vita dalla persona canonizzata. Il terzo giudizio è un precetto che impone il culto pubblico di quel santo a tutta la Chiesa. La canonizzazione dà come esempio le virtù eroiche del santo e rende il suo culto obbligatorio. Ma essa presuppone innanzitutto il fatto della glorificazione di quel santo. Benedetto XIV, che cita e fa sue queste riflessioni di san Tommaso, considera che il giudizio della canonizzazione si basi in ultima analisi sull'enunciato di  una verità speculativa, dedotta dalla rivelazione[18].

Resta da provare che questo triplice giudizio sia infallibile. Per farlo,  non disponiamo di argomenti di autorità di magistero, perché l'infallibilità delle canonizzazioni non è definita come un dogma. San Tommaso si accontenta di fornire quello che sarebbe l'equivalente di un argomento d'autorità: una riduzione all'assurdo. Se vogliamo, è l'autorità dei primi principi della ragione e della logica. Ci sono due riduzioni: se si nega l'infallibilità della canonizzazione s'incorre in un doppio pregiudizio inverosimile da una parte nell'ordine pratico e dall'altra nell'ordine speculativo. Prima riduzione all'assurdo sull'ordine pratico: se la canonizzazione non fosse infallibile, i fedeli potrebbero venerare come santo un peccatore; quelli che l'avessero conosciuto da vivo sarebbero portati a credere sull'autorità della Chiesa che il suo stato di peccatore in realtà non fosse tale ; ora questo sarebbe come confondere nella mente dei fedeli la virtù e il vizio e sarebbe un errore pregiudizievole per la Chiesa. Seconda riduzione all'assurdo sul piano teorico: sant'Agostino dice che se c'è un errore nell'insegnamento della rivelazione divina, consegnata nelle Scritture, la fede viene privata del suo fondamento; ora, così come la nostra fede si fonda sull'insegnamento delle Scritture, si basa anche sull'insegnamento della Chiesa universale; dunque, se si trova un errore nell'insegnamento della Chiesa universale, similmente la nostra fede è privata del suo fondamento; ora Dio non può privare la nostra fede del suo fondamento; dunque  gli insegnamenti della Chiesa universale, tra cui la canonizzazione, devono essere infallibili come l'insegnamento delle Scritture. Dominique Bannez completa questa argomentazione precisando che se si afferma la possibilità d'errore nella canonizzazione dei santi, si scandalizza la Chiesa militante nei suoi costumi, si rende sospetta la sua professione di fede, e si fa ingiuria alla Chiesa trionfante del cielo.

Per corroborare questi argomenti difensivi, san Tommaso utilizza in seguito un argomento della ragione teologica. Il giudizio della canonizzazione è un giudizio del papa in una materia che implica una certa professione di fede, poiché venerare un santo ed imitare le sue virtù è dire implicitamente che lo si crede giunto alla gloria del cielo. Ora, nelle materie che riguardano la professione di fede, il giudizio del papa è infallibile perché Dio lo ha promesso. Il giudizio della canonizzazione quindi è infallibile. E' qui che possiamo ricorrere ai chiarimenti dati da  Giovanni di san Tommaso, per capire perché l'assistenza divina qui sia richiesta in modo particolare. Il giudizio della canonizzazione può intendersi come una conclusione che risulta dalle due premesse. La prima è una condizione formalmente rivelata: chiunque perseveri fino alla fine nella pratica eroica delle virtù soprannaturali ottiene la ricompensa eterna nella gloria. La seconda è un fatto probabile, attestato dalle testimonianze umane: tale fedele ha perseverato fino alla fine nella pratica eroica delle virtù soprannaturali. La conclusione derivante da queste due premesse quindi è ottenuta per mezzo di testimonianze, ed è per questo che essa non deriva da una vera dimostrazione scientifica, assolutamente vincolante. Il giudizio della canonizzazione fa intervenire un ragionamento che i vecchi logici avrebbero considerato come probabile. Vi si ritrova ciò che normalmente deve verificarsi in ogni ragionamento teologico, poiché la proposizione enunciata in conclusione qui si  ricollega, benché indirettamente, ad una verità di fede[19]. Tale legame è solo indiretto perché, tra la verità formalmente rivelata e la conclusione, interviene la mediazione di una verità la cui certezza non è più quella della fede. Ma anche se solo indiretto, il legame esiste e la conclusione si radica nonostante tutto in una professione di fede formale ed esplicita. La differenza che porta  a dire che questo ragionamento è soltanto probabile è che, per stabilire una conclusione teologica, si passa da una proposizione razionale evidente e certa; mentre per stabilire il giudizio della canonizzazione si passa dalle testimonianze. Ecco perché l'assistenza divina è necessaria, proprio a livello del discernimento di queste testimonianze: l'infallibilità non potrebbe accompagnare una iniziativa in cui ci si appella alla contingenza e la cui certezza resta soltanto probabile.

Si potrebbe obiettare che se si considera la canonizzazione come infallibile, la si mette sullo stesso piano delle solenni definizioni ex cathedra, cosa che pare inconcepibile. Benedetto XIV risponde con tutta la tradizione teologica più sicura[20] che una tale assimilazione è al contrario nell'ordine delle cose. Certo, non si può ridurre univocamente la canonizzazione alla definizione dogmatica infallibile; ma si può nondimeno considerare che l'atto del magistero solenne infallibile si realizzi in modi analogicamente diversi. Un atto del papa che ha per fine la conservazione del bene comune di tutta la Chiesa è un atto di definizione infallibile. Ora, il papa conserva il bene comune di tutta la Chiesa non solo quando agisce strettamente come Dottore supremo, per insegnare ma anche quando agisce più ampiamente come Pastore supremo, per governare. L'insegnamento del dottore non esaurisce tutta l'attività del pastore. E spetta al pastore fare delle leggi che provvedano al bene comune di tutta la Chiesa: in quanto tali, queste leggi non esprimono la verità formalmente rivelata; ma, nella misura in cui esse sono stabilite per il bene  dell'unità di fede, sono analoghe alla definizione infallibile[21]. Aggiungiamo una ragione supplementare per giustificare questa analogia:  infatti sopra abbiamo dimostrato, appoggiandoci a san Tommaso ed ai suoi commentatori, che se la canonizzazione è  di conseguenza un esempio ed una legge, essa è anche formalmente e innanzitutto una professione mediata di fede. A questo titolo potremmo già assimilarla ad una definizione. La canonizzazione potrebbe ricondursi all'esercizio del magistero solenne infallibile e personale del sommo pontefice, a motivo del suo oggetto secondario. Tra altri autori, padre Salaverri cita degli esempi in cui vediamo che i termini usati dai papi Pio XI e Pio XII esprimono senza alcun dubbio possibile la loro esplicita volontà di esercitare un atto solenne infallibile[22]. E Mons. Lefebvre diceva spesso che papa san Pio V aveva “ canonizzato il rito della messa ”: voleva esprimere così l'infallibilità delle leggi liturgiche per analogia con quella delle canonizzazioni; e supponeva dunque quest'ultima come equivalente molto probabilmente ad un atto personale del magistero solenne del papa.

 2.2) Il valore dottrinale di questa infallibilità

Benedetto XIV[23] dimostra che i teologi non sono unanimi quando si tratta di pronunciarsi sul valore dottrinale dell'infallibilità delle canonizzazioni. Alcuni ritengono che tale infallibilità non sia un dogma di fede definito: tra questi, notiamo i domenicani Giovanni di san Tommaso e Domenico Bannez, il gesuita Francesco Suarez e i Carmelitani di Salamanca. Altri credono che tale conclusione equivalga ad un dogma di fede. Osserviamo che il problema è duplice: il valore dottrinale dell'infallibilità della canonizzazione si scompone in due aspetti. C'è il valore dell'assenso  richiesto da parte nostra al fatto teorico su cui verte il giudizio della canonizzazione: è di fede definita che un santo canonizzato sia indubitabilmente nella gloria del paradiso? E c'è il valore dell'infallibilità dell'atto della canonizzazione: è di fede definita che il papa non possa sbagliare quando procede all'atto della canonizzazione? Gli autori (Benedetto XIV, Giovanni di san Tommaso e Bannez) s'interessano ai due aspetti, ma privilegiano soprattutto il primo.

E' di fede definita che un santo canonizzato sia indubitabilmente nella gloria del paradiso? La tesi più comune in teologia è quella in cui si dimostra che la glorificazione di un santo canonizzato possa essere infallibilmente definita non come di fede, cioè come rivelata formalmente ma come rivelata virtualmente. Negare questa verità non comporta la nota d'eresia perché non è una verità formalmente rivelata e perché la sua negazione porterebbe pregiudizio alla fede solo indirettamente: se questa verità rivelata virtualmente costituisce l'oggetto di una definizione infallibile nel contesto dell'atto della canonizzazione, essa sarà definita non come di fede divina e cattolica ma come certa o di fede cattolica; negarlo sarebbe dunque erroneo o falso; e secondo Giovanni di san Tommaso sarebbe anche: scandaloso per tutta la Chiesa perché indurrebbe i fedeli a peccare dando loro come esempio un dannato; empio perché sarebbe contrario al culto dovuto a Dio; ingiurioso perché andrebbe contro l'onore dovuto al santo canonizzato.

E' di fede definita che il papa non possa sbagliare quando canonizza un santo? Benedetto XIV afferma che l'infallibilità dell'atto della canonizzazione non è ancora definita come di fede ma che potrebbe esserlo. A favore di tale eventualità, si può considerare che il concilio di Trento nei suoi decreti insegna che si deve rendere un culto ai canonizzati[24]; che si devono venerare le loro reliquie[25]. E nelle bolle di canonizzazione merita la censura “ sapiens hæresim et proximum errori in fide ”. Perché ciò equivarrebbe a mettere in causa il potere ecclesiastico ed il buon governo della società della Chiesa, a negare l'infallibilità delle leggi universali che hanno il fine di salvaguardare la fede e i costumi. Benedetto XIV afferma che negare tale infallibilità equivarrebbe se non alla nota di eresia almeno a quella della temerarietà; questa negazione implicherebbe anche ingiuria ai santi e scandalo per la Chiesa. Meriterebbe in tal modo le sanzioni più gravi[26].

                                                         SECONDA PARTE - LE DIFFICOLTA' DERIVATE DAL CONCILIO

Di fatto, la difficoltà  fino a questo punto si pone senza possibilità di discussione con un'unica canonizzazione, quella di José-Maria Escrivà de Balaguer (1902-1975), beatificato il 17 maggio 1992 e canonizzato il 6 ottobre 2002, da papa Giovanni Paolo II. Ci sono anche due beatificazioni sorprendenti (quella di Giovanni XXIII e quella di Madre Teresa), ma visto che la beatificazione non è infallibile, il problema fino ad ora non aveva la stessa urgenza. Non è la stessa cosa con l'annuncio ufficiale della beatificazione prossima di Giovanni Paolo II, perché quest'ultima legittimerà, in modo particolarmente sensibile, l'operato di questo pontefice, cioè l'attuazione del concilio Vaticano II, principalmente sui due punti cruciali del principio della libertà religiosa e dell'ecumenismo. D'altra parte, se è vero che una beatificazione è un atto transitorio, che ha per suo fine normale la canonizzazione, abbiamo motivo di temere, a causa della posta in gioco, che il fascicolo Giovanni Paolo II non si fermi ora che è sulla buona strada. Qui come altrove, i cattolici hanno di che motivare la propria perplessità. Senza pretendere di fornire la chiave di tutta la faccenda (che è riservata a Dio), possiamo almeno rilevare tre difficoltà maggiori, che bastano a rendere dubbia la fondatezza di queste beatificazioni e canonizzazioni nuove. Le prime due rimettono in causa l'infallibilità e la sicurezza di questi due atti. La terza rimette in causa la loro stessa  definizione.

 1) Prima difficoltà: L'insufficienza della procedura

L'infallibilità non evita una certa diligenza umana. L'assistenza divina che causa l'infallibilità delle definizioni dogmatiche si esercita alla maniera di una Provvidenza. Quest'ultima, lungi dall'escludere che il papa esamini con cura le fonti della rivelazione trasmesse dagli apostoli, esige al contrario questo esame per sua stessa natura. In occasione del concilio Vaticano I, il relatore incaricato di difendere in nome della santa Sede il testo del capitolo IV della futura costituzione Pastor æternus, definendo l'infallibilità personale del papa, insistette su questo punto.

 “ L'infallibilità del pontefice romano è ottenuta non con la rivelazione né con l'ispirazione ma con l'assistenza divina. Perciò il papa, in virtù della sua funzione, e a causa dell'importanza del fatto è tenuto a usare i mezzi richiesti per mettere sufficientemente in luce la verità ed enunciarla correttamente; e questi mezzi sono i seguenti: riunione dei vescovi, dei cardinali, dei teologi e ricorso ai loro consigli. Questi mezzi saranno differenti secondo le materie trattate e dobbiamo proprio credere che quando Cristo promise a san Pietro ed ai suoi successori l'assistenza divina, questa promessa racchiudesse anche i mezzi richiesti e necessari affinché il Pontefice potesse enunciare infallibilmente il suo giudizio ”[27] .

Ciò è ancora più vero per la canonizzazione: questa presuppone la più seria verifica delle testimonianze umane che attestano la virtù eroica del futuro santo, così come l'esame della testimonianza divina dei miracoli, almeno due per la beatificazione e ancora altre due per una canonizzazione. La procedura seguita dalla Chiesa fino al Vaticano II era espressione di questo estremo rigore. Il processo di canonizzazione presupponeva esso stesso un doppio processo compiuto in occasione della beatificazione, uno che si svolgeva davanti al tribunale dell'Ordinario, che agiva in proprio nome; l'altro che era di esclusiva competenza della Santa Sede. Il processo di canonizzazione comportava l'esame del breve di beatificazione, seguito dall'esame dei due nuovi miracoli. La procedura terminava quando il Sommo Pontefice firmava il decreto; ma prima di apporre quella firma, teneva tre concistori successivi.

Con la costituzione apostolica Regimini Ecclesiæ universæ del 15 agosto 1967 ed il motu proprio Sanctitatis clarior del 17 marzo 1969 papa Paolo VI ha modificato questa procedura: l'innovazione essenziale è la sostituzione del duplice processo dell'Ordinario e della Santa Sede con un unico processo che è ormai guidato dal vescovo in virtù della sua propria autorità, e col sostegno di una delegazione della Santa Sede. La seconda riforma ha avuto luogo in seguito alla promulgazione del Nuovo Codice del 1983, con la Costituzione apostolica Divinus perfectionis magister di Giovanni Paolo II, il 25 gennaio 1983. Questa particolare legge cui ormai rimanda il Codice, abroga ogni disposizione precedente. Essa è completata da un decreto del 7 febbraio 1983. Secondo queste nuove norme, l'essenziale del processo è affidato alle cure del vescovo Ordinario: questi indaga sulla vita del santo, i suoi scritti, le sue virtù ed i suoi miracoli e costituisce un fascicolo trasmesso alla Santa Sede. La Sacra Congregazione esamina tale fascicolo e si pronuncia prima di sottoporre il tutto al giudizio del papa. Sono richiesti un solo miracolo per la beatificazione e ancora uno solo per la canonizzazione.

L'accesso al fascicolo dei processi di beatificazione e di canonizzazione non è agevole, cosa che non ci dà nessuna possibilità di verificare la serietà con cui è applicata questa nuova procedura. Ma è innegabile che, presa di per sé, essa già non sia rigorosa come la vecchia. Essa realizza ancor meno le garanzie richieste da parte degli uomini di Chiesa affinché l'assistenza divina assicuri l'infallibilità della canonizzazione, e a maggior ragione l'assenza di errore di fatto nella beatificazione. D'altronde, papa Giovanni Paolo II ha deciso di fare uno strappo alla procedura attuale, (che stipula che l'inizio di un processo di beatificazione non possa farsi  prima di cinque anni dalla morte del servo di Dio) autorizzando l'introduzione della causa di Madre Teresa appena tre anni dopo il suo decesso. Benedetto XVI agisce allo stesso modo per la beatificazione del suo predecessore. Il dubbio ne risulta più legittimo, quando si conosce la fondatezza della proverbiale lentezza della Chiesa in queste materie.

 2) Seconda difficoltà: La collegialità 

Se si esaminano attentamente queste nuove norme, ci si accorge che la legislazione ritorna a come era prima del 12° secolo: il papa lascia ai vescovi la cura di giudicare immediatamente sulla causa dei santi e si riserva solo il potere di confermare il giudizio degli Ordinari. Come spiega Giovanni Paolo II, questa regressione è una conseguenza del principio della collegialità: “ Noi pensiamo  che alla luce della dottrina della collegialità insegnata dal Vaticano II sia molto conveniente che i vescovi siano associati più strettamente alla Santa Sede quando si tratta di esaminare la causa dei santi ”[28]. Ora, la legislazione del 12° secolo confondeva la beatificazione e la canonizzazione come due atti di portata non infallibile[29]. Ciò c'impedisce di assimilare in modo puro e semplice le canonizzazioni nate da questa riforma con degli atti tradizionali di un magistero straordinario del Sommo Pontefice; questi atti sono quelli in cui il papa si accontenta di autentificare l'atto di un vescovo ordinario residenziale. Noi disponiamo qui di un primo motivo che ci autorizza a dubitare seriamente che le condizioni richieste all'esercizio dell'infallibilità delle canonizzazioni siano davvero soddisfatte.

Il Motu proprio Ad tuendam fidem del 29 giugno 1998 rafforza tale dubbio. Questo testo normativo ha lo scopo d'introdurre spiegandoli dei nuovi paragrafi nel Codice del 1983, aggiunta resa necessaria dalla nuova Professione di fede del 1989. In un primo tempo, l'infallibilità delle canonizzazioni è posta per principio.  La Professione di fede del 1989 distingue infatti tre domini di verità che sono oggetto dell'insegnamento del magistero: delle verità formalmente rivelate e infallibilmente definite; delle verità autenticamente insegnate; delle verità proposte definitivamente e infallibilmente, perché hanno un legame di connessione logica o di necessità storica con la rivelazione formale. Nell'Istruzione Donum veritatis del 1990, che è il commento autentico di questa Professione di fede, il cardinale Ratzinger dà come esempio di questo terzo dominio: l'ordinazione sacerdotale esclusivamente riservata agli uomini; l'illiceità dell'eutanasia; la canonizzazione dei santi. Il Motu proprio del 1998 conferisce un'autorità maggiore a questi due testi: il papa li insegna riprendendoli per conto proprio e li introduce nel Diritto canonico. Ma in un secondo tempo, il testo di Ad tuendam fidem  stabilisce delle distinzioni, che diminuiscono la portata dell'infallibilità delle canonizzazioni, poiché ne risulta che tale infallibilità non si intende  più chiaramente in senso tradizionale. E' per lo meno ciò che appare leggendo il documento redatto dal cardinale Ratzinger come commento ufficiale del Motu proprio del1998[30] . Questo commento precisa in che modo  possa ormai il papa esercitare il suo magistero infallibile. Finora, avevamo l'atto personalmente infallibile e definitorio della locutio ex cathedra così come i decreti del concilio ecumenico. Oramai, avremo anche un atto che non sarà né personalmente infallibile né definitorio per se stesso ma che resterà un atto del magistero ordinario del papa: questo atto avrà come oggetto di discernere una dottrina come insegnata infallibilmente dal Magistero ordinario universale del Collegio episcopale. Di conseguenza, il papa esercita in questo terzo modo un atto del magistero che è infallibile in ragione dell'infallibilità del Collegio episcopale; e questo atto non sarà definitorio per se stesso, perché si limiterà a ciò che insegna il Collegio episcopale[31] . In questo caso, il papa agisce come interprete del magistero collegiale[32] . Ora, se si osservano le nuove norme promulgate nel 1983 dalla Costituzione apostolica Divinus perfectionis magister di Giovanni Paolo II, è chiaro che nel caso preciso delle canonizzazioni il papa – per i bisogni della collegialità – eserciterà il suo magistero in questo terzo modo. Se si tiene conto al tempo stesso  sia della Costituzione apostolica Divinis perfectionis magister del 1983 che del Motu proprio Ad tuendam fidem del 1998, quando il papa esercita il suo magistero personale per procedere ad una canonizzazione, sembra proprio che la sua volontà sia d'intervenire come organo del magistero collegiale: le canonizzazioni quindi non sono più garantite dall'infallibilità personale del magistero solenne del papa. Lo sarebbero  in virtù dell'infallibilità del Magistero ordinario universale del Collegio episcopale? Finora, tutta la tradizione teologica non ha mai detto che fosse così, ed ha sempre visto le canonizzazioni come il frutto di una assistenza divina assegnata solo al magistero personale del papa, assimilabile alla locutio ex cathedra. Ecco un secondo motivo che ci autorizza a dubitare seriamente dell'infallibilità delle canonizzazioni compiute da queste riforme post-conciliari.

 3) Terza difficoltà: La virtù eroica 

L'oggetto formale dell'atto magisteriale delle canonizzazioni è la virtù eroica del santo. Così come il magistero è tradizionale perché insegna sempre le medesime verità immutate, così la canonizzazione è tradizionale perché deve segnalare sempre la medesima eroicità delle virtù cristiane, a partire dalle virtù teologali. Dunque, se il papa dà come esempio la vita di un fedele defunto che non ha praticato le virtù eroiche, o se le presenta in un'ottica nuova, ispirata più alla dignità della persona umana che all'azione soprannaturale dello Spirito Santo, non si vede in che modo quest'atto possa essere una canonizzazione. Cambiare l'oggetto significa cambiare l'atto.

Questo cambiamento di ottica, ci è attestato innanzitutto da un segno. A partire dal Vaticano II, il numero delle beatificazioni e delle canonizzazioni ha assunto proporzioni inaudite. Giovanni Paolo II così ha effettuato da solo più canonizzazioni di ciascuno dei suoi predecessori del 20° secolo e anche più di tutti i suoi predecessori riuniti, dalla creazione della Congregazione dei Riti da parte di Sisto V nel 1588. Il papa polacco si è spiegato egli stesso riguardo all'aumento del numero delle canonizzazioni in un discorso ai cardinali in occasione del concistoro del 13 giugno 1984: “ Si dice talvolta che oggi ci sono troppe beatificazioni. Ma oltre al fatto che ciò riflette la realtà che per grazia di Dio è quella che è, ciò corrisponde anche ai desideri espressi dal Concilio. Il Vangelo è  talmente diffuso nel mondo ed il suo messaggio si è radicato così profondamente che è proprio il gran numero delle beatificazioni a riflettere in modo vivo l'azione dello Spirito Santo e la vitalità che fa scaturire nel campo più essenziale per la Chiesa, quello della santità. Infatti è il Concilio che ha  messo particolarmente in luce il richiamo universale alla santità ”. Ciò si spiega perché la santità a partire dal Vaticano II è considerata come un dato comune. L'idea della vocazione universale alla santità è al centro del capitolo 5 della costituzione Lumen gentium.  Vocazione universale, che comporta due conseguenze. In primo luogo, è da osservare che questo testo non parla affatto della distinzione da una parte tra il richiamo lontano alla santità che in principio si verifica per tutti, e dall'altra tra il richiamo prossimo (ed efficace) che di fatto non si verifica per tutti[33] .In secondo luogo, è da osservare anche che il testo passa sotto silenzio la distinzione tra una santità comune ed una santità eroica in cui consisterebbe la perfezione propriamente detta[34] : il termine stesso di “ virtù eroica ” non appare più da nessuna parte in questo capitolo 5 della costituzione Lumen gentium. E di fatto, a partire dal concilio, quando i teologi parlano dell'atto della virtù eroica, tendono più o meno a definirlo distinguendolo piuttosto dall'atto di virtù semplicemente naturale, invece di distinguerlo da un atto ordinario di virtù soprannaturale[35] . Ecco una prima ragione che ci autorizza a dubitare che le beatificazioni e le canonizzazioni compiute dopo il Vaticano II s'identifichino con ciò che la Chiesa aveva sempre voluto fare finora esercitando simili atti.

Questo cambiamento d'ottica traspare anche se si osserva l'orientamento ecumenico della santità, dopo il Vaticano II. L'orientamento ecumenico della santità è stato affermato da Giovanni Paolo II nell'enciclica Ut unum sint così come nella lettera apostolica Tertio millenio adveniente. Il papa allude ad una comunione di santità che trascende le differenti religioni, manifestante l'azione redentrice di Cristo e l'effusione del suo Spirito su tutta l'umanità[36]  . Quanto a papa Benedetto XVI siamo costretti a riconoscere che dà della salvezza una definizione che va nel medesimo senso ecumenico, e che falsa per ciò stesso la nozione di santità, correlativa della salvezza soprannaturale[37] . Ecco una seconda ragione per cui non si può che esitare nel vedere negli atti di queste nuove beatificazioni e canonizzazioni una reale continuità con la Tradizione della Chiesa.

                                                         CONCLUSIONE

 Tre serie ragioni autorizzano il fedele cattolico a dubitare della fondatezza delle nuove beatificazioni e canonizzazioni. In primo luogo, le riforme seguite al Concilio hanno comportato delle insufficienze certe nella procedura e  in secondo luogo esse introducono una nuova intenzione collegiale, due conseguenze che sono incompatibili con la sicurezza delle beatificazioni e l'infallibilità delle canonizzazioni. In terzo luogo, il giudizio che si esprime nel processo fa intervenire una concezione per lo meno equivoca e dunque dubbia della santità e della virtù eroica.

Nel contesto derivato dalle riforme postconciliari, il papa ed i vescovi propongono alla venerazione dei fedeli cattolici degli autentici santi, ma canonizzati al termine di una procedura insufficiente e dubbia. E' così che l'eroicità delle virtù di Padre Pio, canonizzato dopo il Vaticano II, non pone alcun dubbio, mentre non si può che esitare davanti al nuovo stile di processo che ha condotto a proclamare le sue virtù.

D'altra parte, la stessa procedura rende possibile delle canonizzazioni un tempo inconcepibili, in cui  si assegna il titolo di santità a dei fedeli defunti la cui reputazione resta controversa e presso i quali l'eroicità della virtù non brilla d'insigne splendore. E' sicuro che, nell'intenzione dei papi che hanno compiuto queste canonizzazioni di un genere nuovo, la virtù eroica sia quella che era per tutti i loro predecessori, fino al Vaticano II? Questa situazione inedita si spiega a causa della confusione introdotta dalle riforme postconciliari. Non sapremmo dissiparla a meno di attaccare alla radice e interrogarci circa la fondatezza di queste riforme.

 Don Jean-Michel Gleize

 


[1]    San Tommaso d'Aquino, Contra gentes, libro 1, capitolo 6.

[2]    Cardinale Louis Billot, sj, L'Eglise.II. Sa constitution intime, Courrier de Rome, 2010, n° 578-582, p. 189-193.

[3]    Il potere di magistero non è soltanto il potere di enunciare il vero puramente speculativo; ha per oggetto anche la verità pratica. Cosa che porta un buon numero di autori a considerare il potere di giurisdizione come un insieme potenziale, le cui parti analoghe sarebbero il magistero e il governo. Sullo stato di tale questione, cf Timothée Zapalena, sj, De Ecclesia Christi, pars altera, tesi XVI, p. 120 e sg.

[4]    Billot, ibidem, nota 152, p. 206.

[5]    “Giovanni Paolo II ha fatto più canonizzazioni di quanto abbiano fatto tutti i papi di questo secolo. Ma in tal modo, non si salva la dignità della canonizzazione. Se le canonizzazioni sono numerose, non possono essere, non diciamo valide, ma prese in considerazione né costituire l'oggetto di venerazione da parte della Chiesa universale. Se le canonizzazioni si moltiplicano, il loro valore diminuisce ” (Romano Amerio, Stat veritas. Seguito di Iota unum. Glossa 39 sul § 37 della lettera apostolica Tertio millenio adveniente, p. 117).

[6]    Citato da Benedetto XIV, De la béatification des serviteurs de Dieu et de la canonisation des saints, libro 1, capitolo 43, n° 2.

[7]    Cardinale Louis Billot, sj, L'Eglise. II. Sa consitution intime, Courrier de Rome, 2010, n° 601, p. 208-209; Arnaldo Xavier da Silveira, “ Appendice: Lois et infallibilité ” in La nouvelle messe de Paul VI: qu' en penser? DPF, 1975, p. 164.

[8]    Salaverri nel suo De Ecclesia, tesi 17, § 726 afferma che è una verità almeno teologicamente certa se non implicitamente definita.

[9]    Cajetan, “ Trattato 15 sulle indulgenze ”, capitolo 8 in Opuscola omnia, Georg Olms Verlag, Hildesheim, 1995. p. 96.

[10]  Per esempio, il benedettino De Vooght invoca il celebre caso di san Giovanni Nepomuceno [la cui esistenza storica sarebbe molto incerta] per concludere così: “ Io credo che dall'avventura di san Giovanni di Pomuk possiamo trarre la conclusione che il papa non è infallibile nella canonizzazione dei santi ” (“ Le dimensioni reali dell'infallibilità papale ” in L'Infallibilità: il suo aspetto filosofico e teologico- Atti del colloquio del Centro internazionale di studi umanisti e dell'Istituto di studi filosofici, Roma, 5-12 febbraio 1970, p. 145-149).

[11]  Daniel Ols, po, “ Fondamenti teologici del culto dei Santi ” in Aa. Vv. dello Studium Congregationis de causis sanctorum, parte teologica, Roma, 2002, p. 1-54. Ammettendo per ipotesi un errore da parte della Chiesa che avesse canonizzato un santo inesistente o perfino (per assurdo) dannato, padre Ols afferma che ciò non presenterebbe un inconveniente per la fede. Poiché l'infallibilità è necessaria solo se l'errore comporta un danno per la fede, le canonizzazioni non la richiederebbero. Infatti, c'è inconveniente per la fede se l'errore della Chiesa in una canonizzazione porta i fedeli a professare in pratica l'eresia o l'immoralità; ora tale condizione non ha luogo dato che la pratica dei fedeli che deriva dalla canonizzazione prescinde dall'esistenza e dalla glorificazione reali del santo canonizzato: in caso d'errore, la persuasione personale dei fedeli basterebbe a fondare la loro devozione.

[12]  Mons. Prof. Brunero Gherardini, “ Canonizzazione ed infallibilità ” in Divinitas  numero del 2° semestre 2003, p. 196-221.

[13]  Queste posizioni più o meno recenti sono presentate al § 6 dell'articolo citato, p. 211-214.

[14]  Al § 7, p. 214-221.

[15]  Nel suo Quodlibet 9, articolo 16.

[16]  Citati da Benedetto XIV, ibidem, n° 5. Cf Billot, ibidem, n° 601, nota 157, p. 208-209.

[17]  Citiamo soprattutto: Dominique Bannez (su 2a 2ae, q 1, art 10, dubium 7, 2ª conclusione); Giovanni di san Tommaso (su 2a 2ae, q 1, dispitatio 9, articolo 2), Melchiorre Cano (De locis theologis, libro 5, capitolo 5, questione 5, articolo 3, 3ª  conclusione, § 44).

[18]  Benedetto XIV, ibidem, n° 12. Vedi anche Billot, ibidem, 600, p. 207.

[19]  Giovanni di san Tommaso, ibidem, n° 11: “ quasi reductive pertinet ad fidem ”. Cf. Billot, ibidem, n° 601, 208-209: “ Alcuni hanno pensato che san Tommaso non fosse  certo di questa infallibilità della Chiesa nella canonizzazione dei santi, dato che nella questione quodlibetale n° 9, questione 5, articolo 16 dice: “Si deve credere piamente che il giudizio della Chiesa in queste materie è infallibile,” Innanzitutto, rispondiamo che, anche se san Tommaso fosse stato indeciso su questo punto, la nostra conclusione non perderebbe nulla della sua certezza. Infatti, non sarebbe una cosa inaudita nella Chiesa, ed è stato anche osservato spesso, che una dottrina ritenuta prima probabile o più probabile in seguito fosse diventata assolutamente certa, una volta chiarita la questione, e anche prima che la Chiesa ne donasse una definizione solenne.  In secondo luogo, rispondiamo che il dottore angelico non ha mai esitato su questo punto , perché dice non “ si può credere piamente ” ma “ si deve credere piamente ”, e rifiuta senza alcun equivoco tutti gli argomenti invocati a sostegno della negativa. Quanto all'argomento invocato a favore dell'affermativa, se egli non lo rifiuta, è perché lo considera come conclusivo, così come vuole l'uso ”.

[20]  Ibidem, capitolo 44, n° 4.

[21]  Nello studio sopra citato, padre Ols esamina la formula classica utilizzata per la proclamazione solenne della canonizzazione: “ Decernimus ” o “ Definimus ”. Ricorrendo a delle espressioni di questo genere, dice, e contrariamente a ciò che ha luogo nel quadro delle definizioni dogmatiche, i papi non dicono mai che propongono una verità da credere né che la propongono obbligando a questo o a quell'assenso. E il nostro autore conclude che la formula solenne della canonizzazione non esprime niente d'infallibile. Certo, la formula di canonizzazione esprime una cosa diversa da una definizione dogmatica ed è per questo la sua espressione è solo analoga a quella delle definizioni dogmatiche che esprimono le verità formalmente rivelate. Ma ciò non prova né che solo queste ultime esprimono un giudizio infallibile né che solo queste ultime siano definitorie.

[22]  De Ecclesia, tesi 17, § 725-726. “ Infallibilem Nos, uti catholicæ Ecclesiæ supremus Magister sententiam in hæc verba protulimus ” ; “ Nos ex Cathedra divini Petri uti supremus universalis Christi Ecclesiæ Magister infallibilem hisce verbis sententiam solemniter pronuntiavimus ” (Pio XI); “ Nos universalis catholicæ Ecclesiæ Magister ec Cathedra una super Petrum Domini voce fundata falli nesciam hanc sententiam solemniter hisce pronuntiavimus verbis ” ; “ Nos in Cathedra sedentes, inerranti Petri magisterio fungentes solemniter pronuntiavimus ” (Pio XII). In tal modo Salaverri pensa che l'infallibilità delle canonizzazioni sia implicitamente definita da Pio XI e Pio XII. Vedi anche Billot, ibidem, n° 601, p. 209.

[23]  Ibidem, capitolo 45, n° 1-21.

[24]  Concilio di Trento, 25ª sessione, decreto del 3 dicembre 1563 sull'invocazione, la venerazione e le reliquie dei santi e sulle immagini sacre, DS 1821. “ Quelli che negano che si devono invocare i santi che in cielo godono di una felicità eterna; oppure quelli che affermano che questi ultimi non  pregano per gli uomini o che invocarli affinché preghino per ciascuno di noi è idolatria, o che ciò è contrario alla Parola di Dio e si oppone all'onore di Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini; oppure che è stupido supplicare vocalmente o mentalmente coloro che regnano nei cieli: tutti costoro pensano in modo empio ”. Benedetto XIV dice che questo testo equivale ad una definizione infallibile.

[25]  Ibidem, DS 1822. “ Inoltre, quelli che affermano che non si devono né onore né venerazione alle reliquie dei santi, oppure che i fedeli invocano inutilmente loro ed i loro sacri ricordi, ed è vano visitare i luoghi del loro martirio per ottenerne aiuto, tutti costoro devono essere totalmente condannati, come la Chiesa ha già condannato e condanna ancora oggi ”.

[26]  Ibidem, n° 28. “ Ogni persona che osasse affermare che il pontefice si è sbagliato per questa o qualunque altra canonizzazione, e che un qualsiasi santo da lui canonizzato non debba essere onorato da una lode appropriata sia da noi accusato di essere se non eretico almeno temerario; di essere scandaloso per tutta la Chiesa; ingiurioso per i santi; di favorire gli eretici che negano l'autorità della Chiesa per la canonizzazione dei santi; di avere un odore di eresia perché essa aprirebbe  ai fedeli la via di ridicolizzare i fedeli; di difendere una proposizione errata e di essere soggetto alle più gravi sanzioni ”.

[27]  Discorso tenuto a nome della Deputazione della fede da S. E. Mons. Gasset, vescovo di Brixen, in occasione della 84ª assemblea generale dell'11 luglio 1870, in risposta al 53° emendamento sul quarto capitolo della costituzione De Ecclesia in Mansi, t. 52, col. 1213. Vedi anche: Cardinale Louis Billot, sj, L'Eglise. II- Sa consitution intime, Courrier de Rome, 2010, n° 991, p. 486.

[28]  “Costituzione apostolica Divinus perfectionis magister, AAS, 1983, p. 351. “ Putamus etiam prælucente doctrina de collegialitate a concilio Vaticano II proposita valde convenire ut ipsi episcopi magis Apostolicæ Sedi socientur in causis sanctorum tractandis.” Questo testo di Giovanni Paolo II è citato da Benedetto XVI nel suo “ Messaggio ai membri dell'Assemblea plenaria della Congregazione per la causa dei santi ”, in data del 24 aprile 2006 e pubblicato nell'edizione in lingua francese dell'Osservatore romano del 16 maggio 2006, pagina 6.

[29]  E' il parere espresso da Benedetto XIV nel suo trattato Della beatificazione dei servi di Dio e della canonizzazione dei santi, libro 1, capitolo 10, n° 6.

[30]  § 9 della Nota della Sacra Congregazione per la dottrina della fede pubblicata negli AAS del 1998, pp. 547-548.

[31]  Per esempio, la Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, del 22 maggio 1994 è presentata dal cardinale Ratzinger come un atto infallibile dell'infallibilità del magistero ordinario collegiale. Nell'intenzione esplicita della Santa Sede, questo testo non potrebbe essere assimilato ad una locutio ex cathedra.

[32]  AAS del 1998, p. 548: “ Romani pontificis declaratio confirmandi seu iterum affirmandi actus dogmatizationis novus non est sed confirmatio formalis veritatis ab Ecclesia jam obtentæ atque infallibiliter traditæ ”.

[33]  Questa confusione implica una predestinazione del Popolo di Dio tutto intero alla santità ed alla salvezza. E ciò implica anche una definizione della Chiesa in senso protestante. Al contrario, come osserva padre Garrigou.Lagrange (Perfection chrétienne et contemplation, tomo 2, p. 419-427), chiamato non vuol dire eletto o predestinato. Ed è il senso delle parabole del Vangelo (Lc, 18/7, Mt, 20/16, 22/14, 24/24, Mc, 13/20-22). Tutti i cristiani sono chiamati alla santità a causa della grazia del loro battesimo e quindi anche in quanto fanno parte della Chiesa; ma non  tutti vi sono eletti, cosa che porta a negare che la Chiesa sia la società dei predestinati.

[34]  Tuttavia la distinzione tra la virtù comune e la virtù eroica è una distinzione essenziale: come osserva tra gli altri padre Garrigou-Lagrange, la santità eroica corrisponde ad un modo divino di agire che resta specificatamente distinto dal modo umano, e ciò suppone ben più che una semplice differenza di grado. E il modo divino ha luogo quando l'intervento dei doni dello Spirito Santo, che è comune  presso tutti i battezzati, non resta più frequente ma latente o manifesto ma raro, ma diventa al contempo frequente e manifesto. Vedi (Perfection chrétienne et contemplation, tomo 1, p. 404-405.

[35]  Per esempio: Jean-Michel Fabre nella sua opera La Sainteté canonisée, Téqui, 2003, p. 104-105. Anche nel quadro della vita soprannaturale ordinaria, il battezzato è già sottoposto all'influenza dei doni dello Spirito Santo, la quale è caratteristica  dell'attività soprannaturale in generale, e non l'elemento formale che distinguerebbe l'attività eroica. Come sottolinea padre Garrigou-Lagrange, questo elemento sarebbe piuttosto sotto l'influenza dei doni non in quanto tale ma in quanto preponderante e manifesta.

[36]  “ L'ecumenismo dei santi è forse il più convincente. La voce della communio sanctorum parla a voce più alta dei fattori di divisione ” (Tertio millenio adveniente, § 37); “ Nell'irradiazione che emana dal "patrimonio dei santi" appartenenti a tutte le Comunità, il "dialogo della conversione" verso l'unità piena e visibile appare allora sotto una luce di speranza. Questa presenza universale dei santi dà, infatti, la prova della trascendenza della potenza dello Spirito. Essa è segno e prova della vittoria di Dio sulle forze del male che dividono l'umanità.” (Ut unum sint, § 84); “ Sebbene in modo invisibile, la comunione non ancora piena delle nostre comunità è in verità cementata saldamente nella piena comunione dei santi, cioè di coloro che, alla conclusione di una esistenza fedele alla grazia, sono nella comunione di Cristo glorioso. Questi santi vengono da tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, che hanno aperto loro l'ingresso nella comunione della salvezza. Quando si parla di un patrimonio comune si devono iscrivere in esso non soltanto le istituzioni, i riti, i mezzi di salvezza, le tradizioni che tutte le comunità hanno conservato e dalle quali esse sono state plasmate, ma in primo luogo e innanzi tutto questa realtà della santità ” (Ut unum sint, § 84); “ La testimonianza resa a Cristo fino allo spargimento del sangue è diventata patrimonio comune ai cattolici, agli ortodossi, agli anglicani e ai protestanti, come notava già Paolo VI nella sua omelia per la canonizzazione dei martiri Ugandesi ” (Tertio millenio adveniente, § 37).

[37]  Benedetto XVI, “ Discorso pronunciato in occasione dell'incontro ecumenico all'arcivescovado di Praga, domenica 27 settembre 2009 ” in DC n° 2433, p. 971-972: “ Quanti fissano Gesù  di Nazareth con gli occhi di fede sanno che Dio offre una realtà  più profonda e nondimeno inseparabile dall' “ economia ” della carità all'opera in questo mondo: offre la salvezza. Il termine salvezza è ricco di significati tuttavia esprime qualcosa di fondamentale e di universale dell'anelito umano alla felicità ed alla pienezza. Esso allude al desiderio ardente di riconciliazione e di comunione che sgorga dalle profondità dello spirito umano. E' la verità centrale del Vangelo e l'obiettivo verso cui è diretto ogni sforzo di evangelizzazione ed ogni cura pastorale . Ed è il criterio a partire dal quale i cristiani tornano sempre a focalizzarsi nel loro impegno per sanare le ferite delle divisioni passate ”.

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