Intervista a Mons. Bernard Fellay del 20 aprile 2013, per la rivista del Distretto degli Stati Uniti The Angelus
 
The Angelus: Quale fu la sua prima reazione quando seppe di essere uno dei sacerdoti scelti da Mons. Lefebvre per l’ordinazione episcopale?

 

Mons. Fellay: La mia prima reazione è stata di pensare che dovevano esserci dei candidati migliori, - se possibile, allontana a me questo calice! -. Poi ho pensato ai miei confratelli, ai miei fratelli sacerdoti, poiché è evidente che si tratta di una croce pesante da portare: si tratta di dedicarsi agli altri.
 
The Angelus: Ricorda i suoi sentimenti e il suo stato d’animo in quel 30 giugno 1988, dopo essere stato consacrato vescovo per mano di Monsignore?
Mons. Fellay: Non ricordo granché dei miei sentimenti e delle mie emozioni, ma ricordo come l’assemblea fosse elettrizzata. L’atmosfera era veramente elettrica. Non ho mai visto niente di simile. Mi ricordo bene, sia nel corso della cerimonia sia dopo: una gioia immensa, nient’altro. Fu stravolgente.
 
The Angelus: Nel suo libro "Itinerario spirituale", Mons Lefebvre  parla di un sogno che aveva avuto nella cattedrale di Dakar. Può spiegarci in cosa le consacrazioni del 1988 furono un adempimento a questo?
Mons. Fellay: Sorprendentemente, direi che non vedo alcun legame tra i due avvenimenti. In realtà, non credo che ce ne sia uno. Io non penso che la consacrazione dei vescovi sia direttamente legata all’opera stessa di Monsignore: si tratta semplicemente di un mezzo di sopravvivenza. Essa non è essenziale per quest’opera, che consiste nel formare e nell’edificare dei sacerdoti secondo il Cuore di Gesù. Questa è la cosa principale.
E' vero è che senza vescovi non avremmo sacerdoti, ma non era sicuramente l'elemento essenziale del suo lavoro. Cioò è essenziale per sopravvivere, ma non per la natura dell’opera.
 
The Angelus: Mons. Lefebvre insisteva sul carattere straordinario della sua decisione di consacrare e la distingueva anche da un atto scismatico, sottolineando il fatto che egli non intendeva trasmettere alcuna giurisdizione episcopale, ma solo il potere d’ordine. Nel corso degli ultimi 25 anni, alcuni hanno criticato la scelta di uno di questi vescovi come Superiore generale, sostenendo che una tale atto suggerisce la rivendicazione giurisdizionale. Può rispondere a questo argomento e spiegare come il ruolo del Superiore generale non comporta alcuna pretesa di giurisdizione?
Mons. Fellay: Prima di tutto, perché Mons. Lefebvre, al momento delle consacrazioni, non voleva che un vescovo divenisse Superiore generale? Era proprio per facilitare le relazioni con Roma. Se il Superiore generale fosse stato un vescovo, egli sarebbe stato oggetto di una sanzione da parte di Roma e questo avrebbe reso più difficili le discussioni, diversamente da come avveniva con don Schmidberger, in quel momento nostro Superiore. La sua decisione si basava chiaramente sulle circostanze, non si trattava di una questione di principio. E' stata una questione di prudenza e non una diretta esclusione che un vescovo divenisse in avvenire Superiore generale.
Tuttavia, bisogna distinguere due tipi di giurisdizione. Esiste una giurisdizione normale, ordinaria, che un Superiore generale esercita sui suoi membri, e a parte la giurisdizione ordinaria del vescovo. In quanto vescovi, noi attualmente non possediamo una giurisdizione ordinaria, ma in quanto Superiore generale, io possiedo l’altro tipo di giurisdizione. Sono due cose diverse.
 
Lo spirito di Mons. Lefebvre
 
The Angelus: Vi è un ricordo particolare che Lei conserva di Monsignore e che Le piacerebbe farci conoscere?
 
Mons. Fellay: Da un lato la sua semplicità e il suo buon senso, dall’altra la sua alta visione delle cose. Questa era sempre soprannaturale: egli si volgeva sempre a Dio. È evidente che era guidato dalla preghiera, dalla Fede, dall’unione con Dio. Per lui, era normale ed evidente essere sempre, nelle azioni ordinarie, unito a Nostro Signore.
 
The Angelus: Come sviluppate nei vostri sacerdoti e seminaristi lo spirito unico di Mons. Lefebvre per ciò che concerne la pietà sacerdotale, la solidità dottrinale e l’azione contro-rivoluzionaria?
 
Mons. Fellay: Prima di tutto, nella misura del possibile, noi cerchiamo di mettere i seminaristi in contatto con Mons. Lefebvre stesso: con la sua voce, i suoi insegnamenti, i suoi libri… Facciamo ascoltare le registrazioni delle sue conferenze ai seminaristi. In questo i Francesi sono avvantaggiati! Ma stiamo lavorando per tradurle, perché in modo che tutti i seminaristi possano ascoltarle. In inglese, alcune sono state trascritte a forma di libro: "Lo hanno detronizzato", "Santità e Sacerdozio" e "La Messa di sempre".
In secondo luogo, cerchiamo di realizzare e di applicare nei nostri seminari i mezzi che lui stesso ci ha dati: il piano di studi e le conferenze preparate da lui, ad esempio. Lui ha fissato il loro ordine e la maniera in cui si strutturano. La nostra filosofa e la nostra teologia sono fondate sull’insegnamento di San Tommaso, come raccomandato dalla Chiesa. Gli Atti del Magistero formano un corso particolarmente caro a Monsignore: vi si studiano le encicliche dei grandi papi del XIX secolo fino a Pio XII, nella loro battaglia contro l’introduzione dei principi illuministici nella Chiesa e nella società. Non portiamo avanti fedelmente tutto questo con frutto.
 
Lo sviluppo della Fraternità dopo il 1988
 
The Angelus: Dopo le consacrazioni del 1988, quali sono stati nella Fraternità i cambiamenti positivi e negativi più importanti?
Mons. Fellay: Non so se vi sono stati molti cambiamenti. Noi diventiamo un po’ più vecchi, nonostante restiamo una congregazione giovane. Ma adesso abbiamo dei sacerdoti anziani, cosa che non avevamo nel 1988. Si dirà che si tratta di un cambiamento superficiale. Avevamo quattro vescovi e oggi ne abbiamo tre. Anche questo è un cambiamento. Ma in sé non è niente di fondamentale, niente di essenziale. Abbiamo più case in un numero maggiore di paesi, ma questo più che un cambiamento è il normale sviluppo di un’opera. Noi rimaniamo fedeli alla linea di condotta di Mons. Lefebvre. In effetti, guardando agli ultimi anni, Monsignore aveva detto, nel 1988, che Roma sarebbe rivenuta a noi 5 o 6 anni dopo le consacrazioni; la cosa è durata 24 o 25 anni e in tutta evidenza la situazione non è ancora matura. I cambiamenti nella Chiesa, sperati da Mons. Lefebvre – il ritorno alla Tradizione – non ci sono ancora. Ma è evidente che se le autorità ecclesiastiche continueranno come fanno adesso, la distruzione si aggraverà e un giorno dovranno fare marcia indietro, e allora in quel giorno verranno verso di noi.
D’altra parte, guardiamo a quello che è accaduto in questi anni: si è riconosciuto che la Messa di sempre non era stata abrogata, le scomuniche del 1988 sono state tolte e noi abbiamo acquisito nella Chiesa un’influenza che non avevamo mai avuta prima. Senza parlare della critica sempre più importante del Concilio, anche a Roma e fuori dalla cerchia della Fraternità, cosa che a questo livello è un fenomeno relativamente nuovo.
 
The Angelus: Può descrivere i progetti e i lavori che sono stati realizzati nel corso degli ultimi 25 anni dopo le consacrazioni?
Mons. Fellay: Semplice: dopo le consacrazioni, i vescovi della Fraternità San Pio X hanno ordinato più sacerdoti di quanti ve ne fossero al tempo delle consacrazioni nel 1988. È dunque chiaro che i vescovi erano necessari per lo sviluppo dell’apostolato della Fraternità; senza i vescovi la Fraternità sarebbe morente: i suoi vescovi sono indispensabili per la continuazione dell’opera. Vi sono anche le cresime, che fanno i soldati di Cristo pronti a battersi per Dio e per il Suo Regno. Infine, non possiamo negare l’esistenza di questa influenza sull’intera Chiesa perché la Tradizione ritrovi i suoi diritti.
 
The Angelus: Certi critici della Fraternità la paragonano alle comunità Ecclesia Dei, che non hanno vescovi, tolto Campos, e ne concludono che le consacrazioni non erano necessarie, perché queste comunità continuano ad esistere senza dei vescovi propri. In che misura la differente storia negli ultimi 25 anni della Fraternità e delle comunità Ecclesia Dei, dimostra più chiaramente oggi la giustezza del giudizio di Monsignore, e cioè che un vescovo della Fraternità era necessario, non solo per assicurare la sopravvivenza della Fraternità, ma anche per salvaguardare l’integrità della sua missione?
Mons. Fellay: Innanzi tutto, tutti i membri dell’Ecclesia Dei capiscono che se noi non avessimo avuto dei vescovi, essi stessi non esisterebbero. Direttamente o indirettamente, essi dipendono dalla vita della Fraternità. Questo è molto chiaro. Ma attualmente i frutti del loro apostolato sono totalmente soggetti alla buona volontà dei vescovi diocesani. Questi limitano drasticamente qualsiasi solido desiderio di stabiliare una vita cattolica tradizionale, restringendo in questo senso le possibilità dell’apostolato. La comunità Ecclesia Dei sono obbligate a mischiarsi con le novità del Vaticano II, il mondo e il Novus Ordo. Questa è la grande differenza fra la Fraternità e le comunità Ecclesia Dei.
Tuttavia, io constato che certe comunità Ecclesia Dei si avvicinano sempre di più a noi, anche non è sicuramente il caso di tutte.
 
The Angelus: Mons. Lefebvre era sfiancato dai viaggi per il mondo effettuati nel corso degli anni che hanno preceduto le consacrazioni, visto che era il solo vescovo tradizionale (ad eccezion di Mons. de Castro Mayer, che generalmente limitava il suo apostolato alla propria diocesi). Di conseguenza, egli scelse di consacrare quattro vescovi invece che uno solo. Il numero dei fedeli della Tradizione è aumentato nel corso degli ultimi 25 anni, tuttavia, sfortunatamente, il numero dei vescovi della Fraternità oggi è ridotto a tre. Bastano tre vescovi per assicurare il lavoro? Occorre consacrarne egli altri?
Mons. Fellay: In effetti è dal 2009 che noi lavoriamo solo con tre vescovi. È evidente che la cosa funziona.
Quindi non vi è alcuna urgenza o grande necessità per consacrarne un altro.
Certo, noi dovremo porci la domanda per l’avvenire. se e quando le circostanze che hanno indotto Mons. Lefebvre a prendere una tale decisione si presenteranno di nuovo, noi adotteremo le stesse soluzioni.
 
L’iniziativa di una normalizzazione canonica
 
The Angelus: Nonostante Mons. Lefebvre abbia sempre auspicato una serena relazione con le autorità romane, le consacrazioni furono seguite da ostilità e da rinnovate persecuzioni. Nel corso dell’ultimo decennio, almeno, Lei ha cercato di mettere fine a queste ostilità e a queste percezioni, senza tuttavia mettere in pericolo i principii della missione della Fraternità. Fino ad oggi questi sforzi sono falliti, malgrado la sua buona volontà: perché, secondo Lei?
Mons. Fellay: Innanzi tutto, vorrei precisare che l’iniziativa di una normalizzazione è venuta da Roma e non da noi. Non sono stato io a fare il primo passo. Io ho cercato di vedere se la situazione fosse tale da permetterci di andare avanti senza perdere la nostra identità. È evidente che ancora non è il caso.
Perché?
Le autorità si aggrappano sempre ai principii pericolosi e avvelenati introdotti nella Chiesa dal Concilio. È per questo che non possiamo seguirle.
Non ho idea di quanto tempo avremmo bisogno o quante tribolazioni dovremo soffrire. Forse dieci anni, forse meno, forse più. Questo è nelle mani di Dio.
 
The Angelus: Rimane aperto a dei nuovi contatti da parte di Roma e in particolare del nuovo Papa?
Mons. Fellay: Certo che rimango aperto! È la Chiesa di Dio. Lo Spirito Santo è sempre là per andare oltre gli ostacoli metti in atto nella Chiesa dopo il Vaticano II. Se Nostro Signore vuole raddrizzare le cose, lo farà. Dio solo sa quando, ma noi dobbiamo essere sempre pronti. Una soluzione reale e completa può venire solo quando le autorità torneranno ad operare in quella direzione
 
The Angelus: Quali segni si devono attendere che ci dimostrino che si è compiuto il ritorno alla Tradizione delle autorità romane, o quanto meno è cominciato?
Mons. Fellay: È molto difficile dire dove inizierà. Col Papa Benedetto XVI abbiamo avuto all’inizio il grande segno della liturgia, e forse alcuni altri sforzi meno forti. E questo è avvenuto malgrado una forte opposizione.
Evidentemente, l’iniziativa non ha sortito il risultato sperato, come vediamo adesso. Ma il movimento dovrà necessariamente venire dalla testa. Tuttavia, un movimento può anche venire dal basso: vescovi, preti e fedeli del Novus Ordo che vogliono ritornare alla Tradizione. Io credo anche che questa tendenza sia già in atto, benché ancora ridotta. Non è ancora la corrente dominante, ma è sicuramente un segno. Il cambiamento profondo dovrà venire dall’alto, dal Papa. Potrà venire da diversi lati, ma in definitiva esso dovrà mirare a rimettere Dio e Nostro Signore Gesù Cristo al loro posto nella Chiesa, cioè al centro.
 
The Angelus: Supponiamo la conversione a partire dal vertice, a Roma, come potrebbe svolgersi la restaurazione dell’intera Chiesa?
Mons. Fellay: È molto difficile dirlo ora. Per adesso, se non cambia niente, si potrebbe verificare una persecuzione interna e delle grandi lotte all’interno della stessa Chiesa. Se accadesse qualcos’altro, se per esempio ci fosse una persecuzione e quindi in seguito il Papa tornasse alla Tradizione, la situazione potrebbe essere del tutto diversa. Dio sa quale piano seguirà per rimettere in buon ordine la Sua Chiesa!
 
The Angelus: Che si può fare per accelerare un tale ritorno alla Tradizione?
Mons. Fellay: Pregare, fare penitenza! Ognuno dovrà compiere il proprio dovere di stato, incoraggiare la devozione al Cuore Immacolato di Maria e recitare il Rosario. Quanto al Rosario: io non sono contrario ad una nuova crociata.
 
The Angelus: Che può dire a coloro che l’accusano di avere pianificato (o pianificare) la compromissione con il Concilio e la Chiesa post-conciliare?
Mons. Fellay: Si tratta di pura e semplice propaganda diffusa da coloro che vogliono dividere la Fraternità. Io non so da dove traggono queste idee. Certo, essi hanno approfittato della situazione molto delicata dell’anno scorso, per accusare il Superiore di cose che non ha mai fatto e che non ha mai avuto intenzione di fare. Io non ho mai avuto l’intenzione di compromettere i principii della Fraternità.
Comunque sia, ci si ponga la domanda: a chi gioverebbe una divisione nella Fraternità, se non ai suoi nemici? Costoro che dividono la Fraternità con la loro dialettica, dovrebbero riflettere sui motivi della loro azione. Con costoro, intendo dire Mons. Williamson e i sacerdoti che lo seguono.
 
The Angelus: Guardando indietro negli ultimi anni, c'è qualcosa che lei avrebbe fatto diversamente?
Mons. Fellay: Oh, certamente, si è sempre più saggi dopo la battaglia. Insisterei di più su quello che ho sempre detto e che non credevo fosse necessario sottolineare: qualunque sia l’accordo, vi sarà sempre una condizione sine qua non: nessun compromesso, è impossibile! Noi restiamo quelli che siamo. Questo è ciò che ci fa cattolici e noi vogliamo rimanere cattolici.
Avrei anche migliorato le comunicazioni e vi ho già lavorato. Io sono rimasto paralizzato dalle fughe di notizie. Oggi farei le cose diversamente.
 
The Angelus: Al di là delle relazioni con Roma, quali sono le sue speranze per la Fraternità e la Chiesa per i 25 anni a venire?
Mons. Fellay: Che nei 25 anni a venire noi si assista al ritorno della Chiesa alla sua Tradizione, affinché si veda una nuova fioritura della Chiesa.
 
The Angelus: In che modo i fedeli e i sacerdoti possono onorare e commemorare questo XXV anniversario delle consacrazioni?
Mons. Fellay: Onorare il nostro fondatore e cercare di imitare le sue virtù: la sua umiltà, la sua povertà, la sua prudenza e la sua fede. In più, studiare gli insegnamenti di Mons. Lefebvre al fine di comprendere i principii che ci guidano: l’amore per Nostro Signore, per la Chiesa, per Roma, per la Messa e per il Cuore Immacolato di Maria.
 
 
Fonte: Traduzione italiana dell'intervista apparsa su Angelus Press