Chiesa di Saint Nicolas du Chardonnet, ParigiNaima-Christine Benammar: Kabyle (1) musulmana convertita al cattolicesimo

Io sono nata in Algeria e sono arrivata in Francia all’età di quattro anni. Qui sono vissuta dieci anni per poi ritornare, con la mia famiglia, nel mio paese d’origine, dove sono rimasta per 20 anni, prima di tornare di nuovo in Francia. La mia esperienza algerina mi ha profondamente segnata. Volevo porvi fine e vivere una nuova vita. Sono vissuta sotto la morsa di ferro dell’islam e ho dovuto subire un matrimonio forzato.

Tuttavia, non mi sono dimenticata di questi anni e ho conservato i legami con la mia famiglia.

Durante questo periodo della mia vita non sentivo nessun interesse per la religione. Mio padre era poco praticante e non mi ricordo di averlo mai visto pregare. Vivevamo l’islam come una somma di tradizioni, di rilevanza soltanto sociale. Osservavamo il digiuno del ramadan, celebravamo le feste, ma non c’era una particolare devozione. Certo, credevo in Dio, ma il dio dell’islam mi appariva duro.

Da piccola, in Francia, avevo notato che alcuni dei miei compagni di classe francesi andavano al catechismo. Questo mi incuriosiva, ma la cosa non è andata oltre. A mio padre facevo delle domande su Gesù, ma egli mi rispondeva semplicemente:“I Cristiani si sbagliano, essi sono ingannati”.

Una benefica amicizia

Il mio vero contatto con il Cristianesimo ha avuto inizio nel 2000, all’alba del nuovo millennio. Ho incontrato un uomo con cui ho fatto amicizia. Il caso, o piuttosto la Provvidenza, ha fatto sì che fosse un cattolico praticante. È stato una di quelle amicizie in cui si può parlare apertamente di tutto: di religione, ma anche di politica, della monarchia, della repubblica, o di altro. Queste conversazioni, all’inizio, erano per me un po’ difficili. Per certi aspetti io ero perplessa, perché non ero preparata a questo. Curiosamente, ho notato che sull’islam il mio amico ne sapeva più di me.

Il mio amico mostrava molta pazienza e col tempo ho incominciato a pensare. Mi è capitato, all’inizio, di non essere contenta, ma offesa, quando il mio amico criticava, a volte duramente, l’islam. In diverse occasioni mi sono trovata a difendere la religione della mia famiglia.

Purtroppo, le nostre differenze hanno portato a una rottura che è durata per ben due anni. Nel frattempo ho continuato a riflettere e mi sono interessata  di più al cristianesimo. Ho letto e mi sono documentata. Ho cercato di capire meglio i Vangeli. Mi sono recata nella biblioteca della città dove vivevo ed ho trovato un libro del professor Barbet sulla Sindone di Torino che ha attirato la mia attenzione.

Poco alla volta è nato in me il desiderio di chiedere il battesimo. Volevo, allora, parlare con chi aveva guidato i miei primi passi in materia religiosa. La nostra amicizia è ripresa quando gli ho detto, per lettera, che volevo essere battezzata.

Egli ha constatato che io avevo fatto dei grandi passi e più tardi mi ha confidato di dimenticare i nostri precedenti contrasti.

Naturalmente, è stato lui il mio padrino di battesimo. Sono stati momenti di gioia indescrivibile e di grande emozione. Avevo fatto il mio cammino da sola e avevo raggiunto solo una prima cima. Scoprivo il messaggio d’amore di Cristo, il concetto di sacrificio, mi sentivo leggera e gli angeli del cielo mi sostenevano.

La famiglia e la conversione

Vivevo ancora con la mia famiglia, a casa di una sorella. La mia conversione mi aveva cambiata e questo si vedeva. All’inizio nessuno mi prese sul serio, poi ci sono state delle reazioni. Una delle mie sorelle reagiva con fischi piuttosto benevoli, l’altra sembrava piuttosto indifferente.

Mio cognato, il marito di mia sorella, musulmano molto osservante, l’ha presa molto male. Mi considerava  impura e ha proibito alla sua bambina di tre anni, mia nipote, di avvicinarsi a me.

Ha iniziato a perseguitarmi: distruggeva e buttava via i miei rosari e mi ha anche aggredito fisicamente. Io, però, non mi sono lasciata intimidire e un giorno, per reazione, ho buttato via il suo Corano. Inutile dire che l’atmosfera era molto tesa.

Ho seguito le lezioni di catechismo nella mia parrocchia suburbana per due anni. Quando ho ricevuto il battesimo, però, andavo da quattro o cinque mesi a Messa a Saint-Nicolas-du-Chardonnet (La chiesa della Fraternità San Pio X a Parigi. ndr). Il mio padrino la frequentava regolarmente e un giorno aveva voluto farmi scoprire la Messa di San Pio V. “Chissà cosa dirai!”, aveva detto. Quanto a me, volevo vedere da vicino coloro che sono chiamati "fondamentalisti". Non ho visto, però, nessun barbuto in kami (2). Sono stata particolarmente colpita dalla bellezza della liturgia. La musica mi ha subito affascinata e sono stata particolarmente toccata dalla grazia dei paramenti e dallo splendore della Messa domenicale. Ho anche notato la devozione dei numerosi fedeli che vengono da tutte le razze e da tutti gli ambienti.

In confronto, la mia chiesa suburbana, con la sua liturgia semplificata, sembrava molto noiosa. L’assemblea dei fedeli, come la pratica religiosa, somigliava troppo a piccole riunioni di famiglia, senza orizzonte, senza grandezza. Inoltre, il mio padrino era stato negativamente colpito dalle parole del sacerdote, che sembravano poco conformi alla dottrina cattolica, come quando, un giorno, mi ha detto: “Fintanto che non sei battezzata, non sei peccatrice”. Questo mi è sembrato strano e perfino scioccante.

Così ora vado a Saint-Nicolas, perché le persone che, come me, hanno fatto delle esperienze dolorose, hanno bisogno di ascoltare e sperimentare parole forti. A chi fa il grande passo di cambiare religione, la tiepidezza non piace. A Saint-Nicolas, le omelie sono chiare e dirette senza ambiguità e fanno una buona impressione. Così, quando è venuto il momento di fare la cresima, ho scelto naturalmente la chiesa dove la tradizione è viva e risplende in tutta la sua gloria. Adesso vado a Messa, partecipo alle processioni, faccio il pellegrinaggio di Chartres, mi reco a Lourdes. Io vivo la mia fede nella gioia e nel raccoglimento. Io sono cattolica.

Note:

1. Popolazione berbera che vive in Algeria.

2. Tunica bianca che i  musulmani mettono per andare in moschea e che alcuni, per fanatismo, indossano in modo permanente.

Fonte: Je me suis convertie à Saint-Nicolas du Chardonnet – ed. Clovis 2009

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