mons. Bernard FellayLa Fraternità San Pio X, i rapporti con la Santa Sede, la situazione generale della Chiesa

In un’intervista rilasciata domenica 28 gennaio 2017 a TVLibertés (TVL), un’emittente privata francese, mons. Bernard Fellay, Superiore generale della Fraternità San Pio X, ha fatto il punto sulla situazione attuale della Chiesa e sui rapporti tra la FSSPX e la Santa Sede. Proponiamo qui di seguito ai nostri lettori la traduzione italiana dell’intervista in versione integrale.

TVL: Lei è, dal 1994, Superiore generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata nel 1970 da mons. Lefebvre a Friburgo, in Svizzera, paese del quale Lei è originario. La Fraternità conta oggi 613 sacerdoti, 117 frati, 80 oblate, 215 seminaristi. Nella Chiesa, come è noto, ogni società religiosa ha una sua propria vocazione, legata ai carismi della sua fondazione (ad esempio la povertà per i francescani, lo zelo missionario per i domenicani, ecc.). Qual è, secondo Lei, la spiritualità propria della Fraternità San Pio X?

Mons. Fellay: La spiritualità propria della Fraternità San Pio X… è di non averne una sua particolare! Bisogna precisare in che senso, ovviamente. Ne abbiamo una, è chiaro, ma non è a noi propria, bensì la Fraternità ha fatto propria la spiritualità della Chiesa. Dunque è molto più universale. E in che cosa consiste? Nella salvezza che ci viene dalla croce di Nostro Signore Gesù Cristo, e dunque: nel sacerdozio, perché Nostro Signore ci salva attraverso il suo sacerdozio, e nell’atto sacerdotale, che è la croce, vale a dire la Messa. In questo consiste la spiritualità della Fraternità: ci occupiamo insomma dei sacerdoti, di formare sacerdoti, di santificarli, sperando che poi compiano il loro dovere, per tutta la Chiesa.

TVL: Una spiritualità fondata, dunque, sul sacerdozio e sulla santa Messa.

Mons. Fellay: Esatto.

TVL: Il 21 novembre scorso, con la lettera apostolica Misercordia et misera, papa Francesco ha rinnovato, per i sacerdoti della Fraternità San Pio X, la facoltà di dare validamente e lecitamente le assoluzioni sacramentali. Al tempo stesso, la dichiarazione postsinodale Amoris lætitia, che concede ai divorziati risposati, a certe condizioni, la possibilità di accedere alla comunione, non è certo un testo che vi soddisfa. Come interpreta questi due atti in via di principio così contraddittori?

Mons. Fellay: Potrei sbagliarmi, ma penso che scaturiscano da uno stesso impulso, e questo impulso è l’interesse del Santo Padre per i “reietti” di ogni tendenza.

TVL: Per le “periferie”?

Mons. Fellay: Esatto, per le periferie. Certo, noi non siamo una periferia nel senso stretto del termine (non siamo dei carcerati, per esempio), ma siamo comunque dei reietti, diciamo, dell’apparato ecclesiastico. E, in questo senso, siamo degli emarginati. Perciò credo – ripeto, mi posso sbagliare – che questa ne sia l’origine: la volontà di occuparsi di questo tipo di persone che, mi sembra, il Papa rimprovera, se si può dire così, alla Chiesa nel suo complesso di aver dimenticato o messo da parte.

TVL: A proposito del testo Amoris lætitia: un gruppo di cardinali (Burke, Brandmüller, Caffarra, Meisner) ha inviato al Papa quelli che secondo la terminologia tecnica si definiscono dei dubia, cioè hanno posto delle domande, richiedendo dei chiarimenti su questo testo. Era da parecchio tempo che una cosa del genere non si verificava nella Chiesa (cioè il fatto che dei vescovi interpellino pubblicamente il Papa relativamente ad un atto del suo magistero). Nel 1969 anche la riforma liturgica segnò una rottura con la tradizione precedente, e all’epoca due cardinali (Ottaviani e Bacci) hanno levato la loro voce, ma poi, dopo aver reso note al Pontefice le loro perplessità, si sono «rimessi in riga». Non sembra che ci sia stata, da cinquant’anni a questa parte, una resistenza organizzata di cardinali e vescovi contro le derive dottrinali (come ad esempio quella dei nuovi catechismi). Secondo Lei i tempi sono cambiati?

Mons. Fellay: C’è qualcosa che sta cambiando, è vero. Credo che ciò dipenda dal fatto che la situazione si è aggravata. Non tanto sul piano dei princìpi; però questi princìpi portano adesso i loro frutti, se ne vedono le conseguenze. Non penso che siamo giunti già alle conseguenze ultime, ma la situazione diventa davvero grave, molto grave… Talmente grave che un certo numero di vescovi e di cardinali ritiene, in coscienza, di dover dire: «Adesso basta». Non sono molto numerosi quelli che si manifestano in pubblico, mentre quelli che lo fanno privatamente sono molti di più. Questo movimento crescerà? È ancora troppo presto per dirlo. Penso che si debba sperare, anzi io spero e mi arrischio a credere che continuerà in questa direzione, perché le cose vanno davvero male. E il fatto che si cominci finalmente a dirlo sarà l’occasione per iniziare a riflettere, una buona volta, sulle cause di tutto questo e dunque sui veri rimedi.

TVL: Nella sua conferenza in occasione delle Journées de la Tradition dell’8 ottobre scorso a Port-Marly, Lei ha accennato ad un afflusso continuo di contatti tra la Fraternità San Pio X e un certo numero di sacerdoti e di vescovi. Nonostante questo non si può dire, perlomeno per quanto riguarda la Francia, che i vescovi si mostrino molto aperti alle richieste di celebrazioni secondo la forma straordinaria del rito romano in applicazione del motu proprio Summorum Pontificum. Secondo Lei, che attraverso i suoi viaggi ha potuto esperire la situazione del mondo cattolico nel suo insieme, è questa una situazione propria solo alla Francia?

Mons. Fellay: Sinceramente no. C’è qualcosa di vero, senz’altro: i francesi restano francesi, sono un po’, come dire… inclini al diverbio, ma penso che per quel che riguarda la crisi nella Chiesa sia un fenomeno piuttosto generale. E anche guardando le reazioni, onestamente, bisogna dire che questo movimento è ancora, nel contesto generale della Chiesa, minoritario. Ma esiste ed è generalizzato. Certo non sono moltissimi i vescovi che ci hanno contattato o che ci hanno detto: «Siamo con voi», ma la cosa prende piede. Un po’ alla volta prende piede.

TVL: Nel contesto di queste riflessioni sulle vostre relazioni con la Santa Sede papa Francesco vi ha fatto la proposta di una prelatura personale per la Fraternità San Pio X. Questa situazione canonica vi garantirebbe un’indipendenza totale dai vescovi. Mons. Athanasius Schneider, che abbiamo intervistato qualche mese fa e che ha effettuato delle visite ai vostri seminari per conto della Santa Sede, vi esorta ad accettare questa proposta nonostante, anzi appunto perché è consapevole che la situazione della Chiesa non è ancora soddisfacente al 100%. Non c’è, a lungo termine, il rischio di creare una Chiesa sostanzialmente autonoma, autocefala, nel caso in cui dovesse perdurare questa situazione di, diciamo così, separazione continua da Roma, dal Papa, dalla curia romana, dai vescovi? Per firmare una proposta da parte di Roma aspettate forse l’elezione al soglio di Pietro di un “Pio XIII” – cosa che senz’altro ci auguriamo, ma che resta pur sempre solo un’ipotesi di scuola?

Mons. Fellay: Non credo che sia necessario aspettare che sia tutto a posto, che tutti i problemi siano risolti nella Chiesa. Ci sono tuttavia un certo numero di condizioni che sono necessarie e, per noi, la condizione essenziale è quella di poter sopravvivere. Perciò ho reso noto alla Santa Sede, senza nessuna ambiguità, che – proprio come aveva detto a suo tempo mons. Lefebvre – c’è una condizione sine qua non, cioè una condizione che, se non è accettata, noi non faremo questo passo: questa condizione è che restiamo così come siamo, il che significa che vogliamo conservare tutti i princìpi che ci hanno tenuto in vita finora, che ci hanno fatto restare cattolici.

Noi abbiamo, in effetti, delle gravi rimostranze e muoviamo delle obiezioni riguardo a ciò che è avvenuto nella Chiesa a partire dall’ultimo Concilio. Si tratta del famoso problema del modo in cui si è praticato l’ecumenismo, ad esempio, e di quello della cosiddetta libertà religiosa, espressione un po’ complessa con cui ci si riferisce, da un lato, alla dottrina che regolamenta i rapporti tra la Chiesa e lo Stato, e dall’altro se e a che titolo si debba concedere a ciascuno il diritto di esercitare la propria religione. Un tempo, in effetti, la Chiesa insegnava che in certi casi questo va tollerato, e si può anche dire che oggi, vista la situazione attuale e la grande mescolanza di religioni, questa tolleranza deve essere molto ampia. Ma resta pur sempre una tolleranza, e quando si tollera, si tollera un male, non si può dire che sia un bene ciò che viene tollerato… E oggi vediamo bene cosa succede, quando certe religioni pullulano (penso di non aver neppure bisogno di specificare quale in particolare): diventano motivo di terrore. C’è qualcosa che non va. Bisogna restare molto lucidi su questo. E penso che, da questo punto di vista, si stiano facendo dei progressi. Penso che si stia avanzando nella buona direzione, nel senso che Roma sta mettendo un freno a questo corso. È un fenomeno abbastanza recente: è da circa due anni che ci viene detto che ci sono delle questioni, anzi delle proposizioni che sono state enunciate dal Concilio che non sono dei «criteri di cattolicità». Il che significa che si ha il diritto di non essere d’accordo e, al tempo stesso, di essere considerati cattolici. E queste proposizioni sono appunto le questioni sulle quali noi disputiamo.

Per rispondere, invece, alla seconda parte della sua domanda: c’è un rischio di scisma, dello stabilirsi di una Chiesa parallela? Noi lottiamo contro questo pericolo. Ho discusso di questo problema con il Papa stesso e siamo entrambi d’accordo sul fatto che ci sono già attualmente un certo numero di disposizioni pratiche che rendono lo scisma praticamente impossibile. Cioè nella pratica, negli atti di tutti i giorni, noi esprimiamo e mostriamo a Roma la nostra sottomissione, il fatto che riconosciamo queste autorità, e ciò non soltanto alla Messa, non soltanto nominando il Papa e il Vescovo locale nel canone della Messa, bensì anche in altre cose. C’è l’esempio del Papa stesso che ci ha dato il potere di confessare. Ci sono anche degli atti giuridici: è un po’ complicato da spiegare, ma può succedere che un sacerdote commetta dei delitti canonici, e in questi casi noi facciamo riferimento a Roma, che ci accorda la facoltà e a volte anzi ci richiede di emettere un giudizio su tali casi. Si tratta, quindi, veramente di relazioni normali. Non si tratta soltanto della giurisdizione per le confessioni, c’è tutto un insieme di cose. Quest’estate è stato confermato che il Superiore generale può davvero ordinare liberamente i sacerdoti della Fraternità senza dover domandare il permesso al Vescovo locale. È un testo che viene da Roma; certo non viene proclamato sopra i tetti, ma dice realmente che le ordinazioni della Fraternità sono lecite (dice, infatti, che il Superiore può ordinare «liberamente»). Ecco, dunque, qualche esempio di atti giuridici, e dunque canonici, che sono già instaurati e che, a mio avviso, escludono la possibilità di uno scisma. Anche se, naturalmente, bisogna comunque fare sempre attenzione a questo pericolo, su questo non c’è dubbio.

TVL: Allora oggi, concretamente, che cosa manca?

Mons. Fellay: Manca il timbro! E, appunto, l’affermazione (stavolta chiara e senza equivoci) che queste garanzie saranno rispettate.

TVL: E questo timbro e questa garanzia può darli solo il Papa.

Mons. Fellay: Sì, è il Papa che deve farlo.

TVL: Per concludere quest’intervista e per dare un segno di speranza: celebreremo quest’anno il centenario delle apparizioni di Fatima. Qual è, secondo Lei, l’attualità di questi avvenimenti per la Chiesa e per la Fraternità San Pio X?

Mons. Fellay: Più che per la Fraternità… per la Fraternità, direi, è solo in via consequenziale. Di Fatima si sa che c’è un segreto, un messaggio che annuncia delle cose difficili, forse terribili (una parte di esso è conosciuta, un’altra non è molto conosciuta), ma, in ogni caso, «alla fine», dice la Vergine Maria, «il mio cuore Immacolato trionferà». Vi è dunque l’annuncio di una vittoria del cielo, del Cuore Immacolato di Maria, che andrà di pari passo con una consacrazione della Russia, vedrà la Russia convertirsi (che quindi tornerà cattolica, sarà reintegrata nella Chiesa cattolica), ci sarà un tempo di pace che sarà concesso alla Chiesa. Se ne può dunque trarre la conclusione che lo stato di crisi nel quale ci troviamo oggi sarà finito; certo i dettagli non li conosciamo, ma, evidentemente, se noi diciamo – e non siamo i soli a dirlo – che c’è una crisi nella Chiesa, speriamo anche che in questo momento di trionfo questa fase della Chiesa sia superata. Fino a che a che punto si arriverà in questa crisi, questo non lo so. Ma abbiamo questa sicurezza che alla fine ci sarà un trionfo. E noi lo aspettiamo, anzi lo affrettiamo con le nostre preghiere. Certo, sappiamo che questo in ultima analisi dipende dal Signore…

TVL: Lei ha lanciato, in particolare, una «crociata del rosario» in quest’occasione.

Mons. Fellay: Sì, esatto, domandando ai fedeli di pregare usando la preghiera che la Vergine Maria ci ha raccomandato, per domandarle che per l’appunto ciò che Lei ha domandato si compia, cioè che arrivi questo trionfo, che sia fatta questa consacrazione (ma come Lei lo ha domandato, in quanto ce n’è già stata qualcuna e ha anche già sortito qualche effetto). Ciò che soprattutto si può notare è che gli avvenimenti storici – dunque non solo quelli della Chiesa, ma anche quelli del mondo, come ad esempio i grandi avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale – sono legati a dalle date della Vergine Maria. E Maria stessa ha detto che la pace delle nazioni è stata messa dal Signore «nelle sue mani». C’è un intervento del governo di Dio sugli uomini che è reale. Perciò domandare al Signore che nella sua bontà lo eserciti in modo tale che gli uomini la smettano di demolire tutto e si sottomettano al suo giogo, può essere solo una cosa buona.

 

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