di don Elias Stolz

Nata a Mercatello sul Metauro il 27 dicembre 1660 da Francesco Giuliani e Benedetta Mancini, battezzata il giorno seguente con il nome di Orsola, la futura suor Veronica fu una delle mistiche più straordinarie della storia! La sua vita era una sequela ininterrotta di fatti meravigliosi.

La famiglia Giuliani non era particolarmente facoltosa; i genitori erano buoni e bravi cristiani; il padre lavorava come pubblico ufficiale, la madre era una donna tutta famiglia e chiesa. Dio donò loro ben sette figlie, di cui due tornarono dal Padre in Cielo in tenera età. Delle cinque rimaste quattro si consacrarono al Signore! Veronica era la più piccola fra le sue sorelle, ma ben presto mostrò la grandezza con cui Dio l’aveva ornata.

A soli cinque mesi, vedendo un’immagine della Santissima Trinità, prese a camminare da sola per venerarla; e ancora non aveva sette mesi, quando già era capace di articolare le parole… Trovandosi in braccio della domestica che si era recata in un negozio per comprare dell’olio, la piccola Orsola riprese il negoziante poco onesto: “Date il giusto, ché Dio vi vede”.

Orsola era nata con un “istinto di pietà”, aveva un gusto particolare per le cose del Cielo, un cuore traboccante di amore, un amore che mirava soprattutto verso Dio! Spesso la piccola bambina stava ai piedi di un’immagine della Santissima Vergine con il divin Figlio, immersa in un colloquio amorevole. Voleva anche Lei tenere in braccio quel Bambino divino, con Lui voleva condividere tutto, perfino la sua merenda: “Vieni, o Gesù, a mangiare con me. Senza di te non voglio mangiare”. Era abituata offrire a Lui tutto ciò che piaceva a lei! Talvolta disse al Bambino di scendere per prendere i suoi doni; poi si nascondeva per vedere se scendeva… Un giorno, nel cogliere una rosa, si punse; corse quindi dal suo Gesù offrendogli la rosa: “Se ti piace, vieni a pigliarla”. Ed ecco che l’immagine parve che si movesse… “In un baleno, parvemi vedere Gesù davanti a me. Mi pigliò quella rosa e tosto fuggì.”

Nacque nella bambina un’intimità singolare con Gesù e Maria. Molti sono gli episodi che si potrebbero riferire intorno al suo sviscerato e totale amore per Gesù e Maria. La Santa: “In qualunque luogo io avessi veduto Gesù e Maria, mi fermavo; e se per caso non potevo, come non ero veduta da altri, ritornavo nel medesimo luogo, e mi mettevo a discorrere con Gesù, come avrei fatto con una creatura. E parmi di ricordare che delle volte esso ragionava con me, e rispondeva a tutto”.

Prima di morire la pia madre chiamò a sé le sue cinque figlie assegnando a ciascuna una piaga del crocifisso come rifugio e oggetto particolare di devozione. Ad Orsola, di sei anni, toccò quella del Sacro Cuore.

Nella santa era nato un grande desiderio di patire per amore di Gesù; amava leggere o ascoltare la vita dei martiri. Voleva diventare come loro, perché sapeva che in questo modo era più vicina al suo tanto amato Gesù. Una volta mise di proposito una manina nel fuoco di uno scaldino e se la scottò tutta senza versare lacrime. Si disciplinava con una grossa corda; camminava sulle ginocchia; disegnava croci in terra con la lingua; stava lungamente a braccia aperte in forma di croce; si pungeva con gli spini; si costruiva croci sproporzionate sulle sue spalle, bramosa di fare tutto quello che aveva fatto il Signore, il quale, durante la Settimana Santa, le si faceva vedere coperto di piaghe.

Aveva una grande compassione dei poverelli ai quali dava con tanta generosità, perché vedeva in loro Gesù. Crebbe in lei sempre più il desiderio di fare la prima Comunione. Con la solita semplicità supplicava Maria Santissima di darle Suo Figlio nel cuore! Il 2 febbraio 1670 fu esaudito il suo desiderio. Gesù allora le disse che sarebbe stata la Sua sposa diletta!

Entrò nel monastero delle Cappuccine di Città di Castello il 17 luglio 1677, a solo 17 anni, cambiando il suo nome di Battesimo in Veronica. È impossibile descrivere il cumulo di grazie, doni, privilegi, visioni, estasi, carismi singolari che Dio elargì incessantemente alla sua diletta. I fenomeni mistici che in lei si verificarono furono controllati a lungo e severamente dalle autorità competenti. Dopo che Gesù ebbe elevato suor Veronica al suo mistico sposalizio, la soddisfò anche nella sua ardente brama di patire per Lui. In modo misterioso, ma reale e visibile, sperimentò uno ad uno tutti i martiri e gli oltraggi della sua Passione. Il venerdì santo del 1697 le apparvero le stimmate e nel cuore ebbe impressi gli strumenti della Passione. Di continuo esclamava: "Le croci e i patimenti son gioie e son contenti". Giunse a dire: "Né patire, né morire, per più patire". Diceva a Gesù: "Sitio! Sitio! Ho sete non di consolazioni, ma di amarezza e di patimenti". Si può dire che fin dall'infanzia pregasse: "Sposo mio, mio caro bene, crocifiggetemi con Voi! Fatemi sentire le pene e i dolori dei vostri santi piedi e delle vostre sante mani...". Soffriva talmente tanto, anche in modo visibile agli altri, che veniva chiamata la "sposa del Crocifisso".

Per un periodo fu trattata come una folle, una simulatrice e una bugiarda. Le fu tolto ogni diritto , perfino quello di comunicarsi. Ma lei non mostrò nessun segno di tristezza, ma al contrario, una tranquillità indescrivibile e un umore gioioso. A queste sofferenze univa di continuo indicibili penitenze, accesissime preghiere per la conversione dei peccatori.

La santa morì il 9 luglio 1727, dopo 33 giorni di malattia. Nel suo cuore verginale furono trovati scolpiti gli emblemi della passione così come li aveva descritti e persino disegnati per ordine del confessore. Il suo corpo è venerato sotto l'altare maggiore della chiesa delle Cappuccine a Città di Castello. Fu beatificata da Pio VII il 18 giugno 1804. Gregorio XVI la canonizzò 35 anni dopo, il 26 maggio 1839.

Per obbedienza al vescovo e al confessore del monastero, la santa aveva scritto, dal 1695 al 1727, in un Diario, nonostante la grandissima ripugnanza che provava, le esperienze della sua vita interiore. Riempì ben 21.000 pagine raccolte in 44 volumi.

Proponiamo in seguito alcuni testi tratti dal diario della sposa del Crocifisso, chiamato dagli autori “Poema del dolore e dell’amore”

«Dio ha voluto salvarci per mezzo della croce. In essa scopriamo fino a che punto è arrivato il suo Amore. La sofferenza è un mistero: Dio non l’ha eliminata, ma, in Gesù, l’ha provata fino in fondo, trasformandola in un luogo di redenzione. Anche per noi, la sofferenza può diventare l’esperienza in cui scopriamo l’infinito Amore di Dio e veniamo raggiunti dalla sua salvezza. Oh! se potessi andare per tutto il mondo, e proclamare a tutti i viventi che tenessero conto di questo prezioso tesoro della croce! La quale è così cara, che non la posso levare dalla mia mente. Il giorno, lavoro con essa; la notte, riposo in essa; ma tanto non mi basta. (D I, 58)

Il Signore mi fece capire che ormai era tempo che io piantassi nel giardino del mio cuore una pianta così salutifera, che dalle sue radici produce frutti di tutto suo gusto; ma che non temessi di vederla con quelle spine, perché esse avrebbero portato più consolazione: perché fra spine, croce e patire, qui si devono cogliere i frutti e i fiori che danno gusto a Dio. Mi sentivo tutta disposta a compiere il volere del mio Signore. Così ho cominciato a dire: Mio Signore, il giardino è tuo, pianta pure questa croce e quel che può essere di tuo gusto e sentivo un contento così grande della volontà di Dio. (D VI, 137)

Mi parve di provare certe comunicazioni intime sopra l’amore immenso e la carità infinita di Dio. Mi faceva conoscere me stessa e i divini attributi e mi diceva: Io sono Gesù Crocefisso, quello che ha redento il mondo. Sono stato posto in croce, ho versato tutto il mio sangue, per redimere le persone vostre. (D II, 613) Mi pare che il Signore mi abbia fatto capir bene ogni punto della sua ss.ma passione… come se mi avesse detto: Veronica, io sono quello che ho fatto tanto per la tua redenzione. Ti ho redenta col mio preziosissimo sangue; ho sollevato le tue afflizioni, con pene ed agonie di morte, come fu quella che, per il tuo riscatto, accettai in Croce e nel calice amaro della mia passione; ed ho sofferto tutto per amor tuo. É vero: quello che ha fatto per tutti lo ha fatto per ciascuna creatura, in particolare. (D II, 1208)

(Veronica ad un suo confessore) Quando si pensa che Dio sia lontano, allora è più vicino. Il Signore si compiace di vedere i suoi servi nel puro patire, perché in questo si uniscono di più a Dio: e che altro cerchiamo? Lei più e più volte mi ha detto che non vi è cosa più cara che la sofferenza e fare la volontà di Dio; ma non vede che ora è tempo di approfittarsi e di godere, mentre lo fa partecipe della sofferenza? Oh, quanto è cara, sì, è cara, è cara! Con animo generoso desideriamo trarne vantaggio: non vi è cosa più cara in questa vita che il patire; non vi è cosa più preziosa che la croce; non vi è contento più grato né allegrezza più vera che fare la volontà di Dio, sommo Bene; non vi è spasso né sollievo più dilettevole che cercare il patire; non vi è riposo più soave che stare in croce con l’amato Bene. E in questo non bisogna che noi cerchiamo il sentimento e gusto del nostro spirito. (D VI, 152)»