san tommaso d'aquinodi don Gabriele D'Avino

Perché una persona in preda all’ira diventa rossa in viso? Perché invece chi ha una forte paura impallidisce? Che relazione c’è tra un evento che sconvolge l’anima e la secrezione delle lacrime, che sono universalmente note come segno di tristezza? A fronte delle pur numerose risposte di natura biologica e medica, non sono trascurabili i dati della filosofia classica, che, ponendosi su un altro piano, non sono affatto in contraddizione con le prime ma le completano ed anzi le fondano.

 Il trattato di San Tommaso d’Aquino sulle passioni dell’anima, nella Prima secundae della Somma Teologica, rappresenta ancora oggi una sorprendente analisi psicologica dell’uomo nella sua costituzione affettiva e sensitiva. L’uomo è composto di anima e corpo, questo è l’assunto fondamentale della psicologia aristotelico – tomista, laddove la parola psicologia non è intesa in senso moderno ma in quello classico – etimologico di “studio dell’anima” (la psiche propriamente detta).

L’uomo ha dunque un corpo, con degli organi, delle funzioni, una costituzione molecolare e così via. San Tommaso non se ne occupa, è compito questo della biologia, della chimica, della fisica, della medicina; le scienze moderne sono oggi sufficientemente in grado di darci un gran numero di risposte sul funzionamento organico della parte materiale dell’uomo.

Ma l’uomo ha anche un’anima, principio vitale e unificante del corpo, ad esso legato sostanzialmente, dal momento della concezione fino a quello della morte; le due componenti – anima e corpo – sono parti di un tutto che è l’uomo.

L’anima, oltre alle sue funzioni vegetative (nutrimento, crescita, riproduzione) studiate ed analizzate dalle scienze che chiamiamo empiriche, possiede quelle razionali che la distinguono dagli animali privi di ragione (funzioni svolte dalle sue due potenze, intelligenza e volontà). Ma l’anima umana ha anche le funzioni sensitive che gli permettono un certo tipo di conoscenza che chiamiamo appunto sensibile, attuata attraverso i cinque sensi esterni (vista, udito, olfatto, gusto, tatto) e quelli che Aristotele classifica come sensi interni (memoria, cogitativa, senso comune, immaginazione: si vedano, per la trattazione dei sensi esterni ed interni, i libri II e III del trattato de Anima di Aristotele).

Quando si parla di passioni in senso moderno si vuole far riferimento ad impressioni emotive, a sconvolgimenti dell’anima, a forti turbamenti, ed altro ancora.

In realtà, il significato classico del termine latino “passio” nel linguaggio tomista è: “moto della facoltà appetitiva dell’anima proveniente dall’immaginazione di un bene o di un male, che produce una qualche modificazione corporale” (v. il manuale di B.H. Merkelbach, Summa Theologiae moralis, t. I, n° 90).

In altre parole, la passione è un moto, un movimento, perché l’anima, quando le si presenta davanti un bene o un male, in qualche modo reagisce (sentire est quoddam pati, diceva ancora Aristotele: cioè la sensazione produce un movimento, che l’anima “subisce”).

Essa è un moto della facoltà appetitiva, perché appena all’anima si presenta un bene o un male sensibile (ad es. del cibo, la minaccia di un dolore fisico) non si limita a conoscerlo (ciò che fanno le facoltà conoscitive), ma è invece portata a volerlo o a rifiutarlo.

Infine, la passione è sì un atto dell’anima immateriale, ma, essendo proveniente dall’apprensione di un oggetto sensibile, produce anche un effetto sul corpo. La passione di ira, ad esempio, si tradurrà nel rossore del volto; la paura, nel pallore; la gioia, nel sorriso; la tristezza, nelle lacrime, e così via.

Beninteso, come dicevamo all’inizio questi fenomeni sono spiegabili anche attraverso cause organiche (maggiore o minore circolazione del sangue, ecc.); ma sarebbe un grave errore voler opporre ciò che invece si deve solamente comporre: vale a dire che i dati delle scienze empiriche ci spiegano il funzionamento di un dato fenomeno fisico (il rossore del viso) e ciò non contraddice l’analisi prettamente filosofica, e della sana filosofia, che individuerà una passione (ad es. l’ira, nel caso del rossore) come causa psichica dell’effetto constatato.

Le passioni, dunque, così come furono individuate e classificate dagli antichie riprese da san Tommaso, sono undici: amore, odio, desiderio, fuga, gioia, tristezza, speranza, disperazione, audacia, paura, collera.

Si potrà certo discutere sul numero, sull’opportunità della divisione, sull’effettivo valore di tale catalogazione; ciò non toglie che, filosoficamente parlando, tali dati conservano ancora oggi tutto il loro valore a patto di comprenderne la portata: lo studio delle passioni che san Tommaso affronta nella Somma non pretende di sostituirsi né alla biologia né alla medicina, e i più recenti studi psichiatrici o psicologici (nel senso moderno del termine) se condotti con buon senso e senza preconcetti non entreranno in contraddizione con le conclusioni tomiste, poiché queste ultime (lo ripetiamo) sono di carattere strettamente filosofico, dell’autentica filosofia della natura che si basa sulla semplice osservazione del reale.