Accade ini uno dei licei più antichi e prestigiosi di Trieste. Non sarà forse il caso di risvegliare le cocienze?

Riflessioni a margine di un gesto squallido e indegno

di Giulio Micheli

 Il giorno 23 ottobre u.s. Davide Zotti, docente di una scuola superiore di Trieste, entrato in una classe del terzo anno, fa l’appello e stacca dalla parete dell’aula il Crocifisso. Motiva il suo gesto davanti agli studenti (per la maggior parte minorenni) denunciando l’insofferenza a lavorare sotto il simbolo di una Istituzione che continua ancora oggi a calpestare la sua “dignità di omosessuale”.

La scuola è l’I.S.I.S. “Giosuè Carducci – Dante Alighieri”, il superliceo che recentemente è nato dalla fusione e accorpamento di due antiche scuole, in cui generazioni di triestini hanno studiato: il Liceo Ginnasio “Dante Alighieri” e quello che era un tempo l’Istituto Magistrale, poi Liceo Socio Psico Pedagogico, infine Liceo delle Scienze Umane “Giosuè Carducci”.

Il giorno successivo, 24 ottobre, il quotidiano locale “Il Piccolo” ne dà dettagliato ragguaglio in cronaca e, come immaginabile, la notizia fa rapidamente il giro delle tre sedi cittadine su cui è articolata la scuola (che conta al suo interno ben cinque indirizzi di studio: Liceo Classico, Liceo Linguistico, Liceo Musicale, Liceo delle Scienze Umane e Liceo delle Scienze Umane Opzione Economico-Sociale): si bisbiglia nei corridoi, gli studenti commentano sulla porta delle aule, in sala insegnanti le professoresse benpensanti arrossiscono un po’ e gettano lì frasi di circostanza, nel timore (speranza?) che si possa toccare qualche aspetto pruriginoso della questione.

In qualità di docente della medesima scuola fin dall’anno scolastico 2001-2002, con una interruzione di tre anni in quanto impegnato in altro incarico, ben consapevole della delicatezza della materia, mi sento in dovere di compiere (e condividere) alcune riflessioni in merito ai fatti accaduti.

Ora non è mio intendimento redigere qui un trattato di Diritto Ecclesiastico o di Disciplina dei Concordati con esame di sentenze delle varie Corti di Giustizia italiane ed europee, per dimostrare che è stata violata una norma sancita da un Codice. Mio intento non è neanche quello di sfruculiare teorie accademiche di illustri psicologi o pedagoghi per esaminare le implicazioni che un gesto del genere possa avere sugli studenti (persone ancora in formazione) che vi hanno assistito. Tanto meno la mia volontà è quella di assurgere a giudice ed arbitro circa la moralità o immoralità delle scelte comportamentali e sessuali del collega (Sacra Scrittura e Magistero contengono già sufficienti e sovrabbondanti elementi di giudizio in tal senso, concludendo in maniera definitiva ogni ulteriore dibattito sulla materia).

Il mio contributo vuole solo essere voce di un forte disagio, provocatomi da quanto accaduto, soprattutto in una prospettiva educativa e formativa, da cui come docenti non possiamo prescindere e a cui non possiamo rinunciare.

La triste vicenda mi offende, mi indigna, mi preoccupa; mi offende in quanto cristiano cattolico, mi indigna in quanto persona, mi preoccupa in quanto docente. Il fatto accaduto è molto grave di per sé e credo non si debba essere per forza credenti per rendersene conto. Non si tratta meramente dello spostamento di un oggetto, ci mancherebbe! La valenza simbolica di quell’azione è fortissima, e non dev’essere certo sfuggita al collega autore del gesto sacrilego: si è trattato di togliere di mezzo Dio.

Allontanare Dio dalla società, dai luoghi pubblici in cui ci si ritrova, è un ritornello forse anche ormai abusato nel pensiero dominante, a partire dall’affermazione del razionalismo cartesiano nato nel secolo XVII, che ha generato figli più o meno ossequiosi quali l’illuminismo, il criticismo kantiano e l’empirismo (sec. XVIII), l’idealismo, l’esistenzialismo ed il positivismo (sec. XIX), fino ad arrivare, nel secolo XX alla radicale soggettivizzazione della morale, svincolata da ogni fonte normativa soprannaturale, che pone nell’individuo stesso e nella sua coscienza personale il punto di partenza ed il fine ultimo del proprio agire.

È il trionfo del relativismo. Come si vede, tanto più pericoloso quanto più avvalora la liceità, la moralità e dunque la dignità di una qualsivoglia azione, perché/purché sentita, percepita, come buona dalla coscienza individuale. Non esisterebbe dunque una morale oggettiva, esterna all’uomo, ancorata ad un codice di origine superiore, ma esisterebbero viceversa tante morali soggettive, quante sono le “sensibilità” individuali.

Segno e obiettivo comune di tutte le tappe di questo “percorso di emancipazione” della morale non può che essere il tentativo di relegare il Cristianesimo, e più in generale la vita di fede, ad un’esperienza soggettiva, del tutto attinente alla sfera privata della persona, escludendo pertanto ogni dimensione sociale, collettiva e pubblica dell’espressione religiosa. È l’ennesimo rigurgito del peccato originale, vecchio quanto l’uomo, che spinge alla sostituzione di Dio con l’uomo stesso.

Sebbene una tale visione sia penetrata perfino in certi ambienti della Chiesa stessa, dapprima con il modernismo classico e successivamente con il neomodernismo tra i secoli XIX e XX, essa non fu mai accolta né mai ha fatto parte della dottrina contenuta nel Depositum Fidei. Anzi, il modernismo classico è stato condannato da Pio IX nell’Enciclica Quanta cura con l’annesso Syllabus (8 dicembre 1864), dal Sant’Uffizio con il Decreto Lamentabili sane exitu (3 luglio 1907) e da San Pio X con l’Enciclica Pascendi Dominici gregis (8 settembre 1907), con il Motu Proprio Praestantia Scripturae Sacrae (18 novembre 1907) e con il Motu Proprio Sacrorum Antistitum (1 settembre 1910); il neomodernismo è stato definitivamente condannato dal Venerabile Pio XII con l’Enciclica Humani generis (12 agosto 1950).

Appare evidente ad ogni intelletto dotato di buon senso che una visione relativistica e soggettivistica della morale non può che dare spazio al perseguimento del proprio interesse, all’autogiustificazione del proprio operato, all’arbitrio indiscriminato.

Il gesto blasfemo compiuto dal collega mi indigna in quanto persona e mi preoccupa in quanto docente. Trovo del tutto scorretto trasferire i propri problemi, le proprie frustrazioni e le proprie personali rivendicazioni in una sede quale quella della propria professione.

A maggior ragione se si svolge una professione come la nostra, ovvero quella dell’insegnante, su cui grava, pesantissima, la responsabilità della formazione dei giovani. Quale messaggio passerà a loro da questi fatti? Quale il codice di valori che trasmettiamo alle nuove generazioni? Quello secondo cui ognuno è “libero” di fare quello che gli pare fin tanto che segue la propria “coscienza”? Ma è questa vera libertà, o non piuttosto una subdola forma di anarchia e di sovversione dei valori autentici?

Nel caso di specie si è assistito ad un tentativo (maldestro e ben poco elegante) di spacciare per esercizio di libertà personale l’imposizione di un punto di vista parziale e settario. Si è cercato di far passare come diritto un sopruso dalla violenza psicologica difficilmente calcolabile, camuffato sotto termini quali “democrazia”, “disobbedienza civile”, “battaglia di civiltà”, “diritti umani” e simili, che hanno ormai nauseato se non altro per la ripetitività ossessionante con cui ci vengono ammanniti dal pensiero dominante, del politicamente corretto.

Ma vale la pena domandarci: è così che si contribuisce alla formazione di persone che abbiano capacità di discernimento, quindi un giudizio autonomo, quindi – in definitiva – alla formazione di persone libere?

La rimozione del Crocifisso dall’aula scolastica viola palesemente norme legali in vigore. Mi vien da chiedermi quanto possa essere convincente per uno studente sedicenne / diciassettenne un gesto che di fatto si pone fuori dalla legalità, posto in essere da un soggetto (il docente) che al contrario dovrebbe rappresentare garanzia di legalità, correttezza ed equità.

Le nostre scuole sono oggi piene di progetti e di attività extracurricolari volti a perseguire l’educazione alla legalità, al rispetto (delle persone e delle regole), alla convivenza; il “Carducci – Dante” non fa eccezione in questo. Ma nel nostro caso proprio dalla scuola stessa proviene l’invito, anzi l’esempio concreto (che, sappiamo, ha molta più forza di qualsiasi discorso teorico), di comportamento illecito. O non fa forse parte del processo di crescita e di formazione anche imparare ad accettare situazioni, norme e regole che personalmente non ci stanno bene, ma vanno rispettate comunque? Norme, regole o leggi di cui non vediamo o non riconosciamo l’utilità pratica e immediata per noi (anzi, ci sono dure e severe) ma vanno rispettate ugualmente in quanto leggi (dura lex sed lex)?

Perché se ci riteniamo autorizzati dalla propria personale sensibilità a scegliere solo ciò che è bene per noi e rifiutare ciò che per noi è male (anche se è bene per qualcun altro), allora il prossimo passo di un Zotti, o di altro cattofobico al suo posto, sarà quello di far tirar fuori dagli zaini dei ragazzi le copie della Commedia e far strappare di netto l’intero Canto decimoquinto dell’Inferno, in cui il Divin Poeta narra la triste sorte di coloro che furono «d’un peccato medesmo al mondo lerci» (Inf. XV, 108). Ahi, ahi, ahi! Questo bigotto, retrogrado ed oscurantista di un Dante! (ma ho come l’impressione che forse Papa Bonifazio l’avrebbe pensata un po’ diversamente…)

Oppure farà strappare dai libri di Storia dell’arte tutte le pagine che riportano le illustrazioni di opere d’arte sacra (cioè più del 90% delle opere), in particolare le Crocifissioni: vuoi mettere? Come si può pensare di riuscire a far serenamente lezione in un’aula, sapendo che negli zainetti degli studenti si nasconde un pacco tanto di immagini vergognose, che rimandano ad una Chiesa così odiosa? Sembra esagerato? Un paradosso? Non credo; anzi, ci siamo vicini, non manca molto.

A tal proposito ricorderei a qualunque collega animato da tanto zelo iconoclasta che la nostra Scuola ha anche un indirizzo di Liceo Musicale: chissà quanti spartiti di musica sacra frusciano sotto i banchi! Chissà quanti Magnificat, Messe, Oratori, Passioni, Requiem, Te Deum, Miserere, De Profundis, Pater Noster, Ave Maria, strisciano furtivamente per i corridoi del “Carducci – Dante” senza che i più se ne accorgano: materiale buono soltanto per il caminetto, ora che si va verso il freddo e le bollette del riscaldamento aumentano sempre!

Non senza amarezza tocca constatare i livelli di aberrazione cui è giunta la società in cui ci tocca di vivere: altro che trionfo di civiltà e di democrazia! Ritengo che se Socrate o Pericle avessero modo di osservare la nostra realtà, rendendosi conto di che cosa intendiamo oggi comunemente con il termine “democrazia”, a loro tanto caro, quasi sacro, certamente avrebbero un legittimo sussulto anche dopo più di due millenni. Viviamo in un clima spirituale, culturale, artistico, morale, per certi versi peggiore di quello del Basso Impero.

La speranza di miglioramento per il futuro è costituita dai nostri ragazzi, dai nostri studenti, dai nostri allievi che oggi sono nelle nostre aule e un domani fin troppo vicino ci sostituiranno nelle cattedre, negli ospedali, nelle aziende. Nonostante tutto continuo a nutrire grande fiducia in loro, perché quotidianamente ho modo di osservarli, di parlarci, di discuterci e mi rendo conto che per la maggior parte sono ancora puri, sani, capaci e volenterosi. Vorrei augurare a loro di non mollare, di fare quello sforzo immenso che è necessario per non farsi sopraffare da qualunque elemento di distrazione, per rimanere ancorati saldamente ai grandi Valori, agli ideali intramontabili, per diventare così veri e autentici Uomini e Donne, nel senso più pieno e pregnante del termine.

Stat Crux dum volvitur orbis.

Giulio Micheli

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