dal libro

Lo hanno detronizzato.

Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare.

brani scelti

 

 

 

seguito

Parte Quarta - Una rivoluzione in tiara e piviale.

Capitolo XXVIII - La libertà religiosa del Vaticano II

 

Mi si obietterà che sono «negativo», che non sono capace di considerare i valori positivi dei culti erronei. Ho risposto a questa pretesa quando vi ho parlato della «ricerca» (227). Mi si ribatterà allora che l’orientamento fondamentale delle anime degli adepti del falsi culti rimane retto e che bisogna rispettarlo, e rispettare allo stesso modo il culto nel quale tale orientamento è coinvolto. Io non potrei oppormi al culto senza danneggiare queste anime, senza spezzare il loro essere rivolte a Dio. Dunque, a titolo del suo errore religioso, l’anima in questione non ha certo il diritto di esercitare il suo culto; ma per il fatto che essa è ugualmente, per così dire, «collegata a Dio», a tal titolo avrebbe diritto all’immunità nell’esercizio del suo culto. Ogni uomo avrebbe così un diritto naturale all’immunità civile in materia religiosa.

Ammettiamo per il momento questo sedicente orientamento naturalmente retto di ogni anima verso Dio nell’esercizio del proprio culto. Non è del tutto evidente che il dovere di rispettare il suo culto per questa ragione sia un dovere di giustizia naturale. Anzi, mi sembra piuttosto che si tratti di un puro dovere di carità! Se è così, tale dovere di carità non attribuisce agli adepti dei falsi culti alcun diritto naturale all’immunità, ma suggerisce al Potere civile di accordare loro un diritto civile all’immunità. Ma proprio il Concilio proclama per ogni uomo, senza provare nulla, un diritto naturale all’immunità civile. Mi sembra al contrario che l’esercizio di culti erronei non possa oltrepassare lo statuto di un semplice diritto civile all’immunità, che è tutt’altra cosa!

Distinguiamo bene da un lato la virtù di giustizia che, assegnando agli uni i loro doveri, dà agli altri il diritto corrispondente, cioè la facoltà di esigere, e dall’altro lato la virtù di carità che, certamente, impone agli uni dei doveri, senza attribuire però agli altri diritto alcuno.

 

Un orientamento naturale di ogni uomo verso Dio?

Il Concilio (DH 2-3) invoca, oltre alla dignità radicale della persona umana, la sua naturale ricerca del divino: ogni uomo, nell’esercizio della sua religione, quale essa sia, sarebbe infatti orientato verso il vero Dio, alla ricerca pur se inconscia del vero Dio, «collegato a Dio», se si vuole, e a tal titolo avrebbe un diritto naturale ad essere rispettato nell’esercizio del suo culto.

Dunque se un buddista fa bruciare bastoncini d’incenso dinanzi all’idolo di Budda, secondo la teologia cattolica compie un atto d’idolatria, ma alla luce della nuova dottrina scoperta dal Vaticano II esprime «lo sforzo supremo di un uomo alla ricerca di Dio» (228). Di conseguenza questo atto religioso ha diritto al rispetto, quest’uomo ha diritto a non essere impedito di compierlo, ha diritto alla libertà religiosa.

Innanzitutto c’è un’evidente contraddizione nell’affermare che tutti gli uomini dediti ai falsi culti sono da sé, naturalmente, volti verso Dio. Un culto erroneo, da sé, non può che deviare le anime da Dio, dal momento che le inoltra su una via che, da sé, non conduce a Dio.

Si può ammettere che, nelle false religioni, alcune anime possano essere orientate verso Dio, ma ciò accade perché esse non si vincolano agli errori della loro religione! Che esse si volgano verso Dio non accade tramite la loro religione, ma malgrado questa! Di conseguenza, il rispetto che sarebbe dovuto a queste anime non implica che si debba rispetto alla loro religione.

Ad ogni modo, l’identità e il numero di tali anime, che Dio si degna di volgere a Sé tramite la sua grazia, rimangono assolutamente nascosti e sconosciuti. Non è certo la maggioranza. Un sacerdote oriundo di un paese a religione mista mi parlava un giorno della sua esperienza di coloro che vivono nelle sette eretiche; mi esternava la sua sorpresa nel constatare quanto queste persone siano solitamente molto ostinate nei loro errori e poco disposte a prendere in considerazione le osservazioni che può rivolgere loro un cattolico, poco docili allo Spirito di Verità …

L’identità delle anime veramente orientate verso Dio nelle altre religioni rimane dunque il segreto di Dio e sfugge al giudizio umano. È dunque impossibile fondarvi alcun diritto naturale o civile. Significherebbe  basare l’ordine giuridico della società su pure supposizioni aleatorie o arbitrarie. In definitiva significherebbe fondare l’ordine sociale sulla soggettività di ognuno e costruire la casa sulla sabbia …

Aggiungerò questo: sono stato sufficientemente a contatto con le religioni dell’Africa (animismo, islam), ma si può dire altrettanto per la religione dell’India (induismo), per affermare che fra i loro adepti si constatano le deplorevoli conseguenze del peccato originale, in particolare la cecità dell’intelligenza e il timore superstizioso. A tal riguardo, sostenere, come fa il Vaticano II, un orientamento naturalmente retto di tutti gli uomini verso Dio è assolutamente irrealistico e una pura eresia naturalista! Dio ci liberi dall’errore soggettivista e da quello naturalista! Essi sono il segno inequivocabile del liberalismo che ispira la libertà religiosa del Vaticano II. Ma non possono portare che al caos totale, alla Babele di religioni!

 

La mansuetudine evangelica

La rivelazione divina però, assicura il Concilio, «mostra il rispetto di Cristo verso la libertà umana degli esseri umani nell’adempimento del dovere di credere alla parola di Dio» (DH 9); Gesù «mite ed umile di cuore» ordina di «lasciar crescere la zizzania sino alla messe», «non rompe la canna fessa e non ammorza il lucignolo che fuma» (DH 11, cfr. Mt 13,29; Is 42,3).

Ecco la risposta. Quando il Signore ordina di lasciar crescere la zizzania, non le accorda un diritto di non essere strappata, ma dà questo consiglio ai mietitori «al fine di non strappare allo stesso tempo il buon grano». Consiglio di prudenza: talvolta è meglio non scandalizzare i fedeli con lo spettacolo della repressione degli infedeli; meglio talvolta evitare una guerra civile che verrebbe suscitata dalla non tolleranza. Allo stesso modo, se Gesù non rompe la canna fessa e ne fa una regola pastorale per i suoi apostoli, e per carità verso coloro che sono smarriti, per non distoglierli ancor più dalla verità, il che potrebbe accadere se si usassero contro i loro culti mezzi coercitivi. È chiaro, c’è talvolta un dovere di prudenza e di carità, da parte della Chiesa e degli Stati cattolici, verso gli adepti dei culti erronei; ma tale dovere non conferisce di per sé alcun diritto! Invece di distinguere la virtù di giustizia (quella che attribuisce dei diritti) dalla virtù di prudenza e da quella di carità (che da se stesse non conferiscono che doveri), il Vaticano II sprofonda nell’errore. Fare della carità una giustizia è pervertire l’ordine sociale e politico della città.

E anche se per assurdo si dovesse considerare che Nostro Signore accorda alla zizzania almeno un diritto «a non essere strappata», tale diritto rimarrebbe assolutamente relativo alle ragioni particolari che lo motivano, non sarebbe mai un diritto naturale e inviolabile! «Laddove non c’è da temere di strappare allo stesso tempo il buon grano, dice sant’Agostino, che la severità della disciplina non dorma» (229), che non si tolleri l’esercizio dei falsi culti! E lo stesso san Giovanni Crisostomo, così poco incline alla soppressione dei dissidenti, non esclude però la repressione dei loro culti: «Chi sa del resto, dice, se una certa parte di questa zizzania non si tramuterebbe in buon grano? Se adesso la strappaste, nuocereste alla messe futura, strappando coloro che potrebbero cambiare e divenire migliori. Certamente Egli (il Signore) non proibisce di reprimere gli eretici, di chiudere loro la bocca, di rifiutare loro la libertà di parola, di disperdere le loro assemblee, di rifiutare i loro giuramenti; ciò ch’Egli proibisce è di spargere il loro sangue e di metterli a morte» (230-a). L’autorità di questi due Padri della Chiesa mi sembra sufficiente a rigettare l’interpretazione abusiva che il Concilio dà della mansuetudine evangelica. Senza dubbio Nostro Signore non ha predicato le dragonnades (230-b), ma non è un buon motivo per travestirlo da apostolo della tolleranza liberale!

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227) Cfr. capitolo XXIV.

228) Giovanni Paolo II, discorso all’udienza generale, 22 ottobre 1986.

229) Contra epist. Parmeniani, 3, 2; citato da san Tommaso, Catena aurea, in Matthaeum XIII, 29-30.

230-a ) Omelia 46 su san Matteo, citata da san Tommaso, loc. cit. La questione della condanna a morte degli eretici non ha importanza ai fini del nostro discorso.

230-b ) Persecuzioni contro i calvinisti francesi operate, prima e dopo la revoca dell’editto di Nantes (1685) dai dragoni di Luigi XIV. I calvinisti venivano obbligati ad alloggiare questi dragoni, soldataglia rozza e violenta, che moltiplicando le angherie e le uccisioni, obbligarono molti calvinisti a sottomettersi o a emigrare.

 

 

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