gesù percossodi don Gabriele D'Avino

Secondo la testimonianza di Aristotele alcuni filosofi antichi, tra cui Empedocle, ponevano all’origine del mondo e del suo dinamismo la coppia di contrari Amore – Odio[1]; lo Stagirita si affretta nella sua Metafisica a confutare tale teoria, la quale tuttavia, se non basta a spiegare l’origine del mondo e del movimento, conserva una profonda intuizione psicologica.

 Individuate nell’Amore e nell’Odio due passioni dell’anima, subito si vede come effettivamente esse siano all’origine di tutte le altre, poiché tra esse correlative.

Ma, importante notarlo, la stessa passione di Odio deriva a sua volta dall’Amore, su cui integralmente si basa.

La parola odio evoca immediatamente immagini negative di avversioni moralmente condannabili; in realtà la parola italiana ha una connotazione negativa che comprende nel suo significato una dissonanza di natura che ha già superato i limiti, che è già protesa verso la distruzione dell’oggetto odiato: un significato complesso, una “risultante” di componenti affettive diverse e già elaborate. Del resto, anche nel Vangelo Nostro Signore accenna all’odio come un sentimento negativo da rigettare per sostituirvi l’amore, perfino nei confronti dei nemici (Mt, 5, 44).

San Tommaso tuttavia inizia a parlare dell’odio come di una passione primordiale semplicemente contraria all’amore; mentre quest’ultima ha come oggetto il bene, la prima ha come oggetto il male o ciò che è considerato (anche erroneamente) tale. Inizialmente, dunque, tale passione come tutte le altre è neutra e consiste in una sorta di “ripugnanza” o “dissonanza” della natura nei confronti di ciò che è percepito come un ostacolo al raggiungimento del proprio bene (Ia IIae, Q. 29, a. 1).

Ad esempio, il leone che adocchia una gazzella da inseguire, la quale costituisce per lui hic et nunc il bene da raggiungere, avrà in odio il fiume che si frappone tra lui e la sua preda: prima ancora dunque di decidere ed eventualmente attuare un piano d’attacco, queste due passioni (ancora “statiche”) saranno all’origine delle sue azioni future.

Nell’uomo, in cui le passioni non sono mai completamente slegate dalla ragione, l’odio primordiale che si presenterà all’appetito sensitivo in presenza di un male non avrà in una prima fase alcuna connotazione negativa: una persona che si accorga di avere una malattia istintivamente l’avrà in odio, cioè alla sua natura ripugnerà quest’ostacolo al bene sensibile che costituisce il godimento di una buona salute; e ciò prima ancora che si sviluppi la passione di tristezza ed eventualmente quella di fuga o di disperazione.

Tutto ciò rende chiaro il fatto che l’odio ha la sua origine nell’amore, così come il male non esiste se non in relazione ad un bene (Q. 29 a. 2): è solo nel momento in cui un oggetto è in qualche modo contrario al bene che si ha o che si vuole perseguire che nasce la passione di odio. Il fiume non ha particolari motivi di essere “odiato” dal leone se non nel momento in cui l’animale lo percepisce come un ostacolo. Similmente la malattia non è odiata per altri motivi che per la sua evidente contrarietà alla salute, che è per tutti un bene sensibile.

Nessuno odia se non un male: ecco perché San Tommaso fa notare come, simpliciter loquendo, nessuno può odiare se stesso, cioè nessuno può fare di sé un male tale da essere oggetto di completa repulsione, sarebbe infatti contro natura (a. 4). Al massimo, si può dire di odiare se stessi in senso lato, quando cioè si ama un bene apparente che in realtà costituisce un male: è il caso del peccatore che prepara per sé la dannazione eterna, ma che in realtà ama se stesso quanto alla parte puramente sensibile, che tuttavia è solo un bene secundum quid, cioè sotto un certo aspetto. Perfino il suicida non si odia per se, ma anzi l’atto supremo di odio per la vita è dettato in ogni caso da un amore, quello ad esempio della propria tranquillità, della (presunta) cessazione delle sofferenze che lo attanagliano, ecc.

Tali considerazioni possono esserci utili nella vita spirituale nella misura in cui impariamo a distinguere quelli che sono soltanto moti naturali da quelle che invece sono affezioni dirette e controllate dalla ragione: il penitente non dovrà accusarsi in confessionale di avere “antipatia” per una persona; l’antipatia naturale può esistere e può non essere dettata da alcun motivo ragionevole: in questo caso non è peccaminosa perché, appunto, naturale. Il peccato semmai subentrerà quando tale antipatia genererà volontariamente l’avversione, il disprezzo del prossimo, quando si farà positivamente del male, quando si gioisce di tale antipatia e la si intrattiene, e così via.

La passione di odio riguarda dunque il male: ecco perché in un certo senso, diverso naturalmente da quello in cui Nostro Signore parla del Vangelo, è possibile avere in avvesione i nemici, non certo in quanto uomini capaci di beatitudine, ma precisamente in quanto peccatori che pongono impedimenti alla beatitudine (IIa IIae Q. 25 a. 6 c.); in questo senso Gesù stesso parla di "odiare" perfino il padre e la madre allorché possano costituire un ostacolo alla vita eterna (Lc 14, 26).

La perfezione della nostra vita spirituale quanto alla regola relativa alla passione di odio si avrà dunque quando saremo riusciti ad incanalarla verso il suo oggetto, che è il male, nelle sue molteplici forme: in particolare (allorché le nostre passioni saranno il più possibile sottomesse alla ragione) quando i nostri sforzi saranno protesi nel dirigerla verso il male più grande che possa esistere, il peccato. È ciò che il Salmista esclama parlando del giusto, e che San Paolo interpreta in senso messianico a proposito del Giusto per eccellenza che è Nostro Signore: «Dilexisti justitiam et odisti iniquitatem» (Ps. 44, 8), «Hai amato la giustizia e odiato l’iniquità»



[1] Metafisica, A, 4, 985 a 23

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