Incipiebat enim mori... Domine descende, priusquam moriatur filius meus. (Ioan. 4. 47. et 49.)

Le passioni per se stesse non sono male né dannose: quando elle sono regolate secondo la ragione e la prudenza non recano già danno, ma profitto all'anima. Quando all'incontro son disordinate, cagionano rovine irreparabili a chi le segue; poiché la passione, allorché prende possesso del cuore, oscura la verità e non fa più vedere quel che è buono e quel che è male. Perciò l'Ecclesiastico pregava Dio a liberarlo da un animo appassionato: Animae irreverenti et infrunitae ne tradas me. Guardiamoci dunque da farci dominare da qualche passione iniqua. Nel corrente vangelo si narra, che un certo Regolo avendo un figlio che stava in prossimo pericolo di morte (incipiebat enim mori), e sapendo che Gesù Cristo era venuto in Galilea, andò a ritrovarlo, lo pregò che venisse a guarirlo: Descende, priusquam moriatur filius meus.

Lo stesso ben può dirsi di chi comincia a farsi dominare da qualche passione: egli incipit mori, sta vicino a morire colla morte dell'anima, che è molto più da temersi, che quella del corpo; onde se vuole restar vivo, dee pregare il Signore che presto lo liberi da quella passione: Domine, descende priusquam moriatur anima mea; altrimenti resterà miseramente perduto. Or questo è quello che oggi voglio dimostrarvi, il gran pericolo in cui sta di dannarsi colui che si fa dominare da qualche maligna passione.

Scrisse Salomone: Solummodo hoc inveni quod fecerit Deus hominem rectum, et ipse se infinitis miscuerit quaestionibus. Iddio creò l'uomo retto, cioè giusto in quanto all'anima, ma egli dando orecchio al serpente, si espose a' combattimenti, e restò vinto da quello; e ribellandosi a Dio le passioni si ribellarono contro lui stesso; e queste poi sono quelle di cui parla s. Paolo, che formano una continua guerra fra la carne e lo spirito: Caro enim concupiscit adversus spiritum, spiritus autem adversus carnem. Ciò però non ostante ben può l'uomo coll'aiuto della divina grazia resistere, e non lasciarsi dominare dalle passioni; anzi può egli dominarle e soggiogarle alla ragione, come il Signore disse a Caino: Sed sub te erit appetitus eius, et tu dominaberis illius. Siano grandi quanto si vogliono gl'insulti della carne e del demonio per farci traviare dalla via di Dio, disse Gesù Cristo: Ecce enim regnum Dei intra vos est. Dentro di noi egli ha costituito un regno ove la volontà è la regina che dee dominare sopra tutti i sensi e le passioni. E qual più bel pregio ed onore può avere un uomo, che l'essere padrone delle sue passioni?

Questa è propriamente la mortificazione interna, tanto raccomandata da' maestri di spirito, Regere motus animi, e qui consiste la salute dell'anima. La sanità del corpo consiste nel temperamento degli umori; quando uno di loro eccede l'ordine, causa la morte. All'incontro la sanità dell'anima consiste nel buon regolamento delle passioni per mezzo della ragione; ma quando la passione domina la ragione, prima rende l'anima sua schiava e poi la uccide.

Molti mettono tutto lo studio nella composizione esterna, in comparire modesti e rispettosi, ma conservano poi nel cuore affetti malvagi contro la giustizia, la carità, l'umiltà o la castità. A costoro sta apparecchiato il castigo che il Salvatore minacciò agli scribi e farisei, i quali stavano attenti a tener netti i bicchieri ed i piatti, e dentro loro nudrivano pensieri ingiusti ed immondi: Vae vobis, scribae et pharisaei hypocritae, quia mundatis quod de foris est calicis et paropsidis; intus autem pleni estis rapina et immunditia. Dice il profeta reale, che tutta la gloria di un'anima, che è vera figlia di Dio, sta di dentro nella buona volontà: Omnis gloria eius filiae regis ab intus. Onde che mai serve, scrive s. Girolamo, astenersi da' cibi, e poi tener l'animo pieno di superbia? O astenersi dal vino, e poi stare ubbriaco d'iracondia? Quid prodest tenuari abstinentia, si animus superbia intumescit? Quid vinum non bibere, et odio inebriari? Costoro non si spogliano de' vizi, ma li ricoprono col manto della divozione. Bisogna dunque che l'uomo si spogli di tutte le passioni malvagie, altrimenti non sarà egli re de' suoi affetti, ma loro schiavo, ed in esso regnerà il peccato, contro di quel che ci esorta l'apostolo: Non ergo regnet peccatum in vestro mortali corpore, ut obediatis concupiscentiis eius. L'uomo allora solamente è re di se stesso, scrive s. Tommaso, quando regola colla ragione il corpo ed i suoi affetti carnali: Rex est homo per rationem, quia per eam regit totum corpus et affectus eius. Ma quando serve a' suoi vizi, dice s. Geronimo: Perdit honorem regni, quando anima vitiis servit. Perde l'onore e diventa schiavo del suo peccato, secondo disse s. Giovanni: Qui facit peccatum servus est peccati.

Ci ammonisce s. Giacomo che noi dobbiamo servirci del corpo e de' suoi appetiti, come ci serviamo de' cavalli: ai cavalli poniamo il freno in bocca, e così li meniamo dove vogliamo: Equis fraena in ora mittimus ad consentiendum nobis, et omne corpus illorum circumferimus. E così quando in noi sentiamo qualche passione che ci spinge a soddisfarla, è necessario frenarla col freno della ragione; altrimenti se vogliamo fare ciò che dimanda, ella ci farà diventare simili alle bestie, che non vanno ove le guida la ragione, ma ove le spinge il lor brutale appetito: Homo cum in honore esset, comparatus est iumentis insipientibus, et similis factus est illis. È peggio, dice s. Giovanni Grisostomo, l'essere assomigliato ai giumenti, che nascere giumento: Peius est comparari, quam nasci iumentum, nam naturaliter non habere rationem tolerabile est. Il non aver ragione per propria natura, dice il santo, non è cosa che disdica; ma il nascere uomo dotato di ragione, e poi vivere da bestia, seguendo gli appetiti della carne, senza far conto della ragione, è cosa intollerabile, poiché è operare peggio che da bestia. Che direste voi, se mai vedeste un uomo che per suo genio abitasse nelle stalle coi cavalli, si cibasse di orzo e paglia, e dormisse sopra del letame come essi dormono? Peggio fa davanti a Dio chi si fa portare dove lo strascina la passione.

Così viveano i gentili, che tenendo ottenebrata la mente senza distinguere il bene dal male, andavano dove il senso li trasportava: Non ambuletis, esclama s. Paolo, sicut et gentes ambulant in vanitate sensus sui, tenebris obscuratum habentes intellectum7. E perciò si erano lasciati in mano de' loro vizj, dell'impudicizia e dell'avarizia, ubbidendo alla cieca a ciò che essi lor comandavano: Qui desperantes, semetipsos tradiderunt impudicitiae, in operationem immunditiae omnis, in avaritiam. A questo miserabile stato si riducono ancora quei cristiani, che disprezzando la ragione e Dio, fanno quel che loro detta la passione; e Dio poi in pena del lor peccato gli abbandona, come abbandonò i gentili in mano de' loro malvagi desideri: Propter quod tradidit illos Deus in desideria cordis eorum1. Castigo più grande d'ogni castigo.

Scrive s. Agostino, che vi sono due città che possono in noi edificarsi, una dall'amore di Dio, l'altra dall'amor proprio: Coelestem (civitatem) aedificat amor dei usque ad contemptum sui, terrestrem aedificat amor sui usque ad contemptum Dei. Sicché se in noi regna l'amor di Dio, disprezzeremo noi stessi; se regna l'amor proprio, disprezzeremo Dio. Ma qui sta la vittoria, a cui seguirà la corona della gloria beata, nel vincere noi stessi. Questo era quel gran documento, che sempre inculcava s. Francesco Saverio ai suoi discepoli: Vince teipsum, vince teipsum. Tutti i pensieri e sensi dell'uomo, dice la scrittura, sono inclinati al male sin dalla sua puerizia: Sensus enim, et cogitatio humani cordis in malum prona sunt ab adolescentia sua. Onde bisogna che in tutta la nostra vita attendiamo a combattere e vincere le male inclinazioni che in noi continuamente nascono, come nascono le erbe cattive negli orti. Dirà taluno: ma come posso io liberarmi dalle passioni cattive, e fare che in me non nascano? Ti risponde per me s. Gregorio: Aliud est has bestias aspicere, aliud intra cordis caveam tenere. Altro è, dice il santo, mirar fuori di noi queste bestie, così chiama il santo le male passioni, altro è ricettarle nel nostro cuore: sempreché elle stan fuori di noi, non possono farci danno; ma quando noi lor diam luogo nel cuore, elle ci divorano.

Tutte le passioni maligne nascono dall'amor proprio: questo è il principal nemico che ci combatte, e questo abbiamo da vincere col negare a noi stessi, siccome insegna Gesù Cristo a coloro che vogliono seguirlo: Qui vult venire post me, abneget semetipsum. Scrive Tommaso da Kempis: Non intrat in te amor Dei, nisi exulet amor tui. Se non discacciamo dal cuore l'amore proprio, non può entrarvi l'amor di Dio. Dicea la b. Angela da Foligno, che ella temea più dell'amor proprio, che del demonio, perché l'amor proprio ha più forza del demonio a farci cadere. Lo stesso dicea s. Maria Maddalena de' Pazzi, come si legge nella sua vita: Il maggior traditore che abbiamo è l'amor proprio, il quale fa come Giuda, in baciarci ci tradisce; chi vince lui vince tutto; chi non lo vince è perduto. Soggiungea poi la santa: Chi non può ucciderlo in un colpo, gli dia il veleno. E volea dire che non potendo noi distruggerlo affatto, perché questo maledetto nemico, come dice s. Francesco di Sales, non muore se non dopo la nostra morte, almeno procuriamo d'indebolirlo quanto si può; poiché quando è forte, esso uccide noi. Questa è la mercede, scrive s. Basilio, che rende l'amor proprio a chi lo segue, la morte: Stipendium amoris proprii mors est, initium omnis mali. L'amor proprio non cerca quello che è giusto ed onesto, ma solo quello che piace al senso; perciò disse Gesù Cristo: Qui amat animam suam, cioè il senso o sia la propria volontà, perdet eam. Chi dunque ama veramente se stesso e vuol salvarsi, deve negare al senso tutto ciò che gli domanda vietato da Dio; altrimenti perderà Dio e se stesso.

Due poi sono le passioni principali che più regnano in noi, la concupiscibile e l'irascibile, cioè l'amore e l'odio. Ho detto principali, perché ognuna di loro porta seco il corteggio di altre passioni viziose, quando ella è viziosa. La concupiscibile porta seco la temerità, l'ambizione, l'ingordigia, l'avarizia, la gelosia, lo scandalo. L'irascibile porta seco la vendetta, l'ingiustizia, la maldicenza, l'invidia. Consiglia s. Agostino che nella guerra che abbiamo colle passioni, non dobbiamo pretendere di abbatterle tutte insieme in un solo conflitto: Calca iacentem, dice il santo, conflige cum resistente. Bisogna calpestare la passione che abbiamo gittata a terra, sì che ella non abbia più forza di combatterci; e poi dobbiamo passare ad abbattere l'altra passione che resiste.

Ma soprattutto dobbiamo indagare qual è in noi la passione dominante. Chi la vince vince tutto; chi si fa vincere da quella sarà perduto. Iddio ordinò a Saulle che avesse distrutti tutti gli amaleciti con tutti i loro animali e robe; ma Saulle distrusse le cose più vili, e perdonò al re Agag la vita, e conservò le cose più preziose: Et pepercit Saul, et populus, Agag... et universis, quae pulcra erant etc., quidquid vero vile fuit demoliti sunt. Saulle poi fu in ciò imitato dagli scribi e farisei, ai quali disse nostro Signore: Vae vobis, scribae et pharisaei hypocritae; qui decimatis mentham et anetum et cyminum et reliquistis quae graviora sunt legis, iudicium et misericordiam et fidem. Erano attenti a render le decime cose più vili, e poi trascuravano le cose più principali della legge, come la giustizia, la carità col prossimo e la fede in Dio. Così fanno alcuni, si astengono da certi difetti di minor conto, ma si lasciano dominare dalla passione che in essi prevale; ma se non danno la morte a questa non otterranno mai la vittoria della salute. Il re di Siria ordinò ai suoi capitani che avessero atteso ad uccidere solamente il re, senza badare agli altri: Ne pugnetis contra minimum, vel contra maximum, nisi contra solum regem. E così avvenne, uccisero Acabbo il re, ed ottennero la vittoria.

Lo stesso avviene in noi; se non uccidiamo il re, cioè la passione dominante, non mai potremo ottener la salute. La passione quando domina l'uomo, la prima cosa che fa l'accieca e non gli fa vedere il suo pericolo. Ma come può evitare di non cadere in qualche precipizio un cieco che si fa guidare da un cieco, qual è la passione che non siegue la ragione, ma solo il senso ed il piacere? Caecus autem si caeco ducatum praestet, ambo in foveam cadunt. Dice s. Gregorio, che questa è l'arte del demonio di accendere sempre vieppiù la passione che ci predomina, e così fa cadere molti in orribili eccessi. Erode per la passione di regnare giunse a spargere il sangue di tanti bambini innocenti. Arrigo VIII. per l'affetto verso una donna, si cagionò tanti mali spirituali, tolse la vita a più degnissime persone, e finalmente perdette anche la fede. Ma che maraviglia, se chi è dominato dalla passione, più non ci vede! E perciò non fa più conto di niente, non di correzioni, non di scomuniche, e neppure della stessa sua dannazione; attende solo a sfogar la sua passione e dice: vengane quel che si voglia, basta che mi soddisfi. E siccome una virtù eminente porta seco altre virtù, così un vizio eminente porta altri vizj: In catena iniquitatis foederata sunt vitia, dice s. Lorenzo Giustiniani.

È necessario dunque, allorché vediamo che qualche passione comincia in noi a regnare, subito abbatterla, prima che prenda forza, come scrive s. Agostino: Ne cupiditas robur accipiat, cum parvula est, allide illam. Lo stesso scrisse s. Efrem: Nisi citius passiones sustuleris, ulcus efficiunt. La piaga quando non si serra, presto diventa ulcera insanabile. Per provare ciò coll'esempio, un certo monaco antico, come riferisce s. Doroteo, comandò ad un suo discepolo che svellesse da terra un piccolo cipresso: ubbidì quegli e subito lo svelse: gl'impose poi che svellesse un altro più grandetto, ma per quello vi bisognò più fatica: poi che svellesse un altro che tenea le radici profonde, ma il discepolo non poté sradicarlo; onde dopo ciò gli disse: così, figlio mio, sono le nostre passioni, quando han poste le radici nel cuore non potremo più estirparle. Uditori miei, abbiate sempre avanti gli occhi questa massima, che o l'anima si ha da mettere sotto i piedi la carne, o la carne si metterà sotto i piedi l'anima.

Bella è la regola insegnata da Cassiano su questa materia. Procuriamo, dice, che le nostre passioni mutino oggetto, e così elle da viziose diverranno sante. Colui è inclinato a sdegnarsi contro tutti coloro che non lo rispettano; muti egli oggetto, rivolga questo suo sdegno in odiare il peccato, che può fargli più danno che tutti i demonj dell'inferno. Quell'altro è inclinato ad amare le persone che hanno qualche bella parte; rivolga il suo amore verso Dio, che ha tutte le belle parti per farsi amare. Ma il miglior rimedio contro le passioni è la preghiera, il raccomandarsi a Dio affinché ce ne liberi. E quando la passione più ci molesta bisogna accrescere le preghiere. Allora poco giovano le ragioni e nostre riflessioni, perché la passione oscura tutto; anzi allora, quanto più si riflette, più sembra dilettevole quell'oggetto che la passione ci rappresenta; onde non v'è altro riparo che ricorrere a Gesù Cristo ed a Maria ss. pregandoli con lagrime e sospiri: Domine, salva nos, perimus. Ne permittas me separari a te. Sub tuum praesidium confugimus, sancta Dei genitrix. Deh via solleviamoci dalla terra, anime create per amare Dio, lasciamo di tenere occupati i nostri pensieri ed affetti nelle cose vili di questo mondo, lasciamo di amare il fango, il fumo, ed il letame, ed impieghiamoci con tutte le nostre forze ad amare il sommo, l'infinito bene, l'amabilissimo nostro Dio, il quale ci ha creati per sé e ci aspetta in cielo per renderci beati e farci godere la stessa gloria che egli gode in eterno.

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